Lettera ad una alunna sulla felicità 2

Dobbiamo avere la semplicità di riconoscere quanto è grande il nostro cuore, di non bloccare l'ampiezza, la grandezza del nostro desiderio quando lo sentiamo vibrare dentro di noi (quando per esempio vogliamo bene a una persona) e affidarci a chi ci dimostra di prendere sul serio, di non barare sulla questione decisiva della nostra felicità.

Lettera ad una alunna sulla felicità 2

da Quaderni Cannibali

del 13 ottobre 2009

Lettera ad una alunna sulla felicità 1

 

Queste sono le considerazioni che scrivevo agli amici un anno fa.

Quello che mi ha spinto a farlo è prima di tutto la passione per il destino delle persone che mi sono affidate, ma in secondo luogo la convinzione che non è vero che i giovani non hanno domande, infatti non passa giorno che non emergano.

Il problema è che normalmente nella scuola non trovano nessuno disposto a condividerle, appassionato alle domande e ai drammi dei ragazzi perchè non si riconosce che quelli altro non sono che le proprie domande e i propri drammi.

 

Sembra incredibile, ma nella scuola di oggi non si parla quasi più dell’uomo, del suo “cuore”, dei suoi desideri, anche se non c’è disciplina, contenuto che non ne offra l’occasione, ecco perchè le lezioni diventano spesso una noia mortale e i ragazzi si chiedono: perchè mai dovrei studiare delle cose che non c’entrano con la mia vita?

 

 

 

Carissimi, volevo riprendere la mail scritta alla mia alunna.

 

Ti ricordi l’esperienza della tristezza di cui parlava la mia alunna Francesca?

Lei diceva: a me piace tantissimo andare a ballare in discoteca con gli amici e mi diverto tantissimo. Poi finita la festa gli amici mi accompagnano a casa, li saluto e salgo in camera mia. Quando mi metto sotto le coperte c’è qualche minuto prima di addormentarmi, in quei momenti mi sento insoddisfatta e triste, per fortuna arriva subito il sonno a farmi dimenticare quel brutto sentimento.

 

Chi di noi non ha vissuto questa esperienza? Vado a una festa, vado a ballare, mi diverto, ma dopo c’è questa strana tristezza.

 

Il punto qual è? Cosa imparo da questa esperienza di tristezza. Normalmente non imparo nulla, non ci penso e così dopo un po’ mi dimentico di quella tristezza e torno come prima.

Ma allora è stato inutile andare alla festa, andare a ballare, se non ho imparato nulla di me stesso, nulla di come è fatto il mio IO, il mio CUORE!

 

Se invece ci penso a quel che mi è successo, se cerco di capire, di giudicare quel che mi è successo, imparo qualcosa di importante di me stesso: che il mio IO, il mio cuore è più grande della festa, del ballo! Allora incomincio a capire perché sono triste: dipendo tutto dalla grandezza del mio IO, del mio cuore, del mio desiderio.

 

L’esperienza (l’essere andata alla festa, a ballare) serve a capire come sono fatta, serve a capire come è grande il mio desiderio (de-sidereus= mancanza di stelle).

Il primo problema non è la risposta a questo desiderio, ci aiuteremo poi a scoprirla, ma il prendere atto, il riconoscere come è fatto il mio cuore e che nulla e nessuno può rispondere.

 

Questo è importantissimo per non farmi ingannare, per non correre dietro come un’oca a tutte le cose che mi propongono e non mi possono rendere felice!

Un amico diceva: è come se uno mi desse un’aspirina per guarire un tumore!

No, io non ci sto perché so quanto è grande il mio bisogno. Dobbiamo diffidare da tutti i venditori, i mercanti di felicità.

 

Dobbiamo avere la semplicità di riconoscere quanto è grande il nostro cuore, di non bloccare l’ampiezza, la grandezza del nostro desiderio quando lo sentiamo vibrare dentro di noi (quando per esempio vogliamo bene a una

persona) e affidarci a chi ci dimostra di prendere sul serio, di non barare sulla questione decisiva della nostra felicità.

Ma la questione essenziale è prima di tutto imparare dalla nostra esperienza.

 

Ciao, Franco

 

Franco Bruschi, insegnante a Tradate

http://http://www.culturacattolica.it/

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