È l'«apostata» più discusso d'Egitto. La sua conversione dall'islam al cristianesimo è molto più che un fatto personale e ha nuovamente infiammato il dibattito sulla libertà religiosa nel Paese arabo più popoloso, dove vive anche la più consistente minoranza cristiana.
del 11 novembre 2008
È l'«apostata» più discusso d'Egitto. La sua conversione dall'islam al cristianesimo è molto più che un fatto personale e ha nuovamente infiammato il dibattito sulla libertà religiosa nel Paese arabo più popoloso, dove vive anche la più consistente minoranza cristiana. Il caso di Mohammed Ahmed Hegazi ha fatto scalpore perché l'uomo ha chiesto che la conversione venga riconosciuta anche sui documenti. In Egitto la carta d'identità riporta obbligatoriamente l'appartenenza religiosa e quindi Hegazi continua a figurare ufficialmente come musulmano. In gennaio un tribunale ha respinto la sua richiesta. L'uomo vive in un limbo giuridico e in un inferno esistenziale a causa delle minacce dei fondamentalisti islamici che lo accusano pubblicamente come un traditore. La conversione di Hegazi non è peraltro un episodio isolato in Egitto: sarebbero migliaia i musulmani che ogni anno abbracciano il cristianesimo, quasi sempre in incognito, per non attirare su di sé l'ira degli islamisti radicali e per non rischiare l'emarginazione sociale o la perdita del posto di lavoro.
  Ma anche in altri Paesi islamici si moltiplicano le conversioni, che quasi sempre restano nell'ombra per motivi di sicurezza. Alcuni casi sono stati portati alla ribalta dal Rapporto sulla libertà religiosa dell'associazione Aiuto alla Chiesa che soffre, pubblicato la settimana scorsa. I convertiti sono le punte di un gigantesco iceberg che si muove dentro il mondo islamico, impossibile da quantificare ma le cui dimensioni continuano ad aumentare rilanciando la sfida della libertà religiosa e dei diritti umani in una fase storica caratterizzata dall'influenza crescente delle tendenze più radicali.
  Cosa spinge un musulmano a farsi cristiano, in un contesto spesso proibitivo come un Paese islamico? Accanto a motivi di «attrazione» – il fascino esercitato dalla figura di Gesù, la testimonianza di vita resa dai cristiani, la scoperta del Vangelo come percorso esistenziale che risponde in maniera convincente alle domande sul senso della vita – convivono il rifiuto per la strumentalizzazione ideologica della fede operata dalle formazioni dell'islam «politico» e il desiderio di affrancarsi da una concezione della persona ritenuta soffocante e liberticida.
  In Algeria si assiste da tempo a un ampio movimento di conversioni, che ha il suo epicentro nella regione della Cabilia. Alcuni organi di stampa hanno lanciato l'allarme contro quella che viene enfaticamente definita «l'evangelizzazione » dell'Algeria. Secondo il presidente dell'associazione degli ulema, Abderrahmane Chibane, «alcuni neocrociati provano con tutti i mezzi a cristianizzare gli algerini. La moschea, la scuola, i media e le istituzioni dello Stato devono opporsi!». Dal 2006 è in vigore una legge che punisce chiunque svolga attività religiosa senza autorizzazione e chi cerca con qualsiasi mezzo di «mettere in crisi la fede di un musulmano». Il provvedimento, ufficialmente approvato per combattere il proselitismo dei predicatori evangelici, ha sortito effetti restrittivi anche nei confronti dei cattolici, tanto da provocare la reazione dell'arcivescovo emerito di Algeri, Teissier. E pochi mesi fa le autorità hanno rifiutato di concedere la metà dei visti chiesti dalla Chiesa cattolica per il rinnovo delle comunità religiose o per le visite dei responsabili delle congregazioni presenti nel Paese. Sono sette gli Stati che prevedono la pena capitale per chi abbandona l'islam per abbracciare un'altra religione: Iran, Arabia Saudita, Yemen, Mauritania, Sudan, Somalia e Afghanistan, in cui fece scalpore due anni fa il caso di Abdul Rahman che ha coinvolto anche l'Italia (vedere box). Ma anche dove non si rischia la pena di morte, i pericoli non sono di poco conto: le «punizioni » vanno dal carcere alla cancellazione della patria potestà sui figli, alla perdita del posto di lavoro, e comunque si va incontro all'emarginazione sociale. Tempo fa un funzionario del ministero dell'Educazione di Teheran ha dichiarato che «purtroppo ogni giorno un iraniano si converte al cristianesimo ». Sarebbero un milione i musulmani che negli ultimi cinque anni hanno abbracciato il cristianesimo nelle varie denominazioni evangeliche. Spesso i neoconvertiti devono tenere nascosta la loro nuova fede anche alla famiglia, temendo di essere denunciati. Alle cerimonie nelle chiese cristiane è sempre presente la polizia: ufficialmente a titolo di protezione dei luoghi di culto, in realtà per proibire l'ingresso a coloro che non sono «legalmente cristiani».
  Molto clamore ha destato l'anno scorso in Malaysia il caso di Lina Joy, che si è vista rifiutare prima dall'anagrafe e poi dalla Corte d'appello la richiesta di registrare la sua conversione sulla carta d'identità. Essendo di etnia malay, la donna viene considerata «d'ufficio» una musulmana, quindi non può cambiare religione. In Malaysia tutte le questioni di fede che riguardano i malay vengono giudicate dalla Corte islamica, e così viene «neutralizzata» la Costituzione che garantisce la libertà di religione. Per gli apostati è prevista una «riabilitazione» a base di carcere e multe salate.
  Tra maggio e agosto la polizia dello Yemen ha arrestato nove musulmani colpevoli di essersi convertiti al cristianesimo, cosa espressamente proibita dalla legge. In precedenza altri neoconvertiti erano stati imprigionati e poi liberati dopo essersi «ravveduti». Le organizzazioni per i diritti umani sottolineano l'influenza crescente dei gruppi radicali che determinano un clima di intolleranza e fanno pressione sulle autorità locali per punire severamente i «tradimenti» religiosi. Nonostante l'ambiente ostile con cui spesso devono fare i conti, hanno chiesto il battesimo anche persone che vivono in Iraq, Sudan, Marocco e ancora in altri Paesi. Secondo il gesuita Samir Khalil Samir, uno dei massimi esperti di questioni islamiche in ambito cattolico, nel mondo musulmano circola «una vera e propria ossessione verso le conversioni, che non sono vissute come una scelta personale ma come un 'attentato' portato a quella che viene ritenuta 'la migliore comunità che Dio abbia dato agli uomini': l'apostata è visto come traditore della umma e per questo merita una punizione. Inoltre in molti casi si utilizza il Corano per giustificare l'eliminazione dell'avversario politico, riaffermando un'interpretazione dei sacri testi ostile all'uso della ragione. È vero che non mancano i tentativi, da parte delle correnti liberali, di superare la rigidità di queste posizioni e di lottare per un islam dal volto umano capace di conciliare la fede con i diritti fondamentali, tra cui la libertà religiosa. Ma si deve purtroppo osservare che in molti Paesi le tendenze radicali esercitano un'influenza crescente sia sulle istituzioni statali, sia sulla popolazione ». In questo contesto, il grande fiume carsico delle conversioni rappresenta una continua provocazione per un mondo che deve fare i conti con le sfide della modernità. Ed è verosimile pensare che l'argomento sarà oggetto di confronto anche nell'incontro che si terrà in Vaticano dal 4 al 6 novembre tra una delegazione della Santa Sede e alcuni firmatari della lettera indirizzata l'anno scorso a Benedetto XVI da 138 «saggi» musulmani.
 L'egiziano Hegazi chiede che la sua nuova fede venga riportata sulla carta d'identità Ma il tribunale rifiuta. E i fondamentalisti lo minacciano In sette Stati è prevista la pena capitale per chi «tradisce». Altrove si rischia il carcere.
 
Giorgio Paolucci
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