Intervista a don Davide Schiavon, Direttore della Caritas Tarvisina...
Dopo la prima puntata della nostra nuova rubrica, con la Lectio Divina sul brano di Vangelo di Matteo (25, 31-46), la scorsa settimana abbiamo pubblicato la catechesi di Benedetto XVI su santa Elisabetta d'Ungheria, che abbiamo scelto come "testimonial" d'eccezione per introdurre l'opera di misericordia VESTIRE GLI IGNUDI.
Oggi entriamo ancor più nel vivo di quest'opera, donandovi la preziosissima intervista che ci ha rilasciato don Davide Schiavon, direttore della Caritas Tarvisina. Nella diocesi di Treviso, infatti, la Caritas è una realtà molto viva ed importante. Attivissima nel territorio, si sta adoperando, grazie all'aiuto di tantissime persone, su svariati fronti. Qui trovate il link al sito internet, dove potete trovare tutto ciò di cui si occupa. In particolare, vi segnaliamo il Progetto "Rifugiato a casa mia" di cui è possibile far parte in tutte le diocesi italiane.
Grazie ancora, don Davide, per la tua disponibilità e per quello che la Caritas Travisina fa per tanti fratelli in difficoltà. Ti ricordiamo nelle nostre preghiere...
Buona lettura!
Ciao don Davide! Presentati ai lettori: chi sei, com’è nata la tua vocazione, come sei arrivato a fare il presidente della Caritas di Treviso,…
Sono don Davide Schiavon. Sono nato a San Donà di Piave il 22 marzo 1969. Sono diventato sacerdote il 27 maggio 1995. Ho conseguito la maturità scientifica nel 1988 e nel settembre dello stesso anno sono entrato in seminario. In questi anni di ministero ho svolto servizio come vicario parrocchiale prima a Martellago e poi a Nervesa; sono stato insegnante di religione e funzione obiettivo per l’immigrazione presso l’Istituto comprensivo di Nervesa della Battaglia (6 anni); sono stato dapprima amministratore parrocchiale di Bavaria e poi parroco di Levada e Torreselle di Piombino Dese; per tre anni ho svolto funzione di vicedirettore del giornale diocesano La Vita del Popolo e da 7 anni sono il direttore della Caritas diocesana (N.B.: alcuni incarichi li ho condotti contemporaneamente).
Circa la mia vocazione: fin da bambino ho sempre frequentato la parrocchia e fin da allora sono sempre stato affascinato dalla bellezza del Vangelo e dalla vita missionaria, una vita donata totalmente agli altri per amore. La mia vocazione nasce da un contatto vivo con la sofferenza di persone a me vicine e con la morte di alcuni amici in giovane età. Tutto ciò mi ha interrogato sul senso della vita, sul desiderio di essere accanto a chi soffre per annunciare che non sarà mai solo per Dio Amore non abbandona, sul grande sogno di dare il mio piccolo contributo per abbattere i muri di ingiustizia ed indifferenza e partecipare alla costruzione di un mondo migliore. La mia vocazione è cresciuta contemplando nel tabernacolo la presenza viva di Gesù Cristo, Amore senza fine, ma si è fortificata rimanendo in ascolto della vita dei poveri che sono il tabernacolo più importante della presenza in mezzo a noi di Dio. Il cammino della vita, anche per me sacerdote, conosce fatiche e tante debolezze, legate soprattutto alla mia pochezza, ma in tutto questo la serenità e la gioia di essere strumento, “servo inutile” nelle mani di Dio, mi ricolma il cuore di pienezza.
Entriamo nel vivo della tua “occupazione” attuale. Che cos’è la Caritas, di chi si prende cura?
La Caritas è un organismo pastorale, quindi è il volto della Chiesa, che si prende cura dei poveri con una funzione prevalentemente pedagogica. Non è una organizzazione di volontariato, né un servizio sociale della chiesa. È il cuore pulsante di una chiesa che si interroga dinanzi alle povertà e alle ingiustizie che segnano la vita delle persone, ponendo in essere delle opere segno (servizi alla persona) per aiutare ciascuno (singoli ed istituzioni) ad assumersi le proprie responsabilità per onorare la dignità di ogni uomo e promuovere ogni persona. In questo senso non ci sono categorie predefinite di poveri, ma la Caritas è aperta a mettersi in ascolto di ogni persona che è nel bisogno, sia materiale che relazionale. Per questo motivo il cuore della Caritas è l’ascolto. Sono attivi servizi e progettualità che riguardano le famiglie in difficoltà, la grave marginalità, la disabilità, l’immigrazione, l’educazione alla mondialità e alla pace, la formazione, gli imprenditori in crisi, ecc…
Sei Direttore della Caritas di Treviso. Nella tua diocesi c’è qualche servizio particolare o un fronte su cui c’è più sforzo? Se sì, per quale motivo?
Nella nostra diocesi l’impegno che la Caritas cerca di portare avanti primariamente è quello di accompagnare le comunità cristiane nel vivere concretamente la scelta preferenziale dei poveri, nel tradurre l’eucarestia in scelte concrete di carità, che non è dare il superfluo, ma è condividere il necessario. E accanto a questo si pone di essere sentinella dinanzi a logiche ingiuste e discriminatorie, offrendo con molta umiltà la propria voce di denuncia. La Caritas Tarvisina cerca di svolgere il suo mandato pastorale muovendosi tra la memoria di una storia di misericordia tessuta dall’artista Dio e la profezia di una umanità redenta e rinnovata dal Risorto.
Questa resta la mission fondamentale della nostra Caritas, anche se in questo tempo ci sono due fronti molto impegnativi. Il primo è quello dell’attenzione alle persone che vivono in una situazione di grave marginalità e che con grande facilità vivono un devastante percorso di esclusione sociale. Come Caritas stiamo con la forza del volontariato trasformando la “nostra sede” (ex istituto) in Casa della Carità, una casa aperta a tutti, dove possano trovare cittadinanza i bisogni e la vita di ciascuno. È avviare percorsi di inclusione puntando primariamente sulla costruzione di relazioni di fraternità e prossimità, dove dinanzi all’altro scatta l’ I care, tanto caro a don Lorenzo Milani e anche a noi. Un altro fronte è quello dell’accoglienza dei migranti, che oltre ad essere una modalità concreta di vivere il Vangelo si pone come segno profetico in un territorio che almeno in gran parte dei rappresentanti istituzionali e in una buona parte della popolazione si è dimostrato refrattario verso questa accoglienza.
Cosa significa per te, don Davide, VESTIRE GLI IGNUDI? Si tratta solo di dare vestiti a chi non ne ha, oppure c’è anche una nudità spirituale, umana,…
Per me vestire gli ignudi significa in modo molto concreto aprire il mio cuore a chi ne ha bisogno, perché in esso possa trovare accoglienza e cittadinanza. È riconoscere l’altro nella sua dignità, nel suo valore, imparando a sospendere ogni giudizio ed ogni etichetta. È rimanere in ascolto, donando tempo e spazio della mia giornata, ricordandomi sempre che la vita è un dono di Dio e non una proprietà privata. Lo spazio ed il tempo mi sono donati non per fare i miei progetti, ma perché siano abitati dai fratelli con condividere il meraviglioso cammino della vita. Vestire gli ignudi è promuovere la persona nella sua integralità, è dare il proprio piccolo contributo perché ognuno possa sperimentare la libertà e la liberazione da tutti quei legacci che lo imprigionano nei bassifondi di una sterile e amara sopravvivenza. In sintesi non è solamente essere per, ma è essere con. È vivere nel concreto del quotidiano la fraternità che ci ricorda che siamo chiamati a custodirci gli uni gli altri nella consapevolezza di essere una sola famiglia umana.
Le nudità che incontri ogni giorno come stanno cambiando il tuo cuore?
Credo che l’incontro con i poveri, che però per me sono solo dei fratelli, sia la più importante scuola della mia vita. Non ci sono corsi o master che possano educare il cuore quanto la condivisione di gioie e dolori con gli uomini e le donne che accosto ogni giorno. Questa condivisione quotidiana mi sta allargando il cuore e mi aiuta a comprendere che il tanto che ho ricevuto sono chiamato a condividerlo e a restituirlo. I poveri mi aiutano ogni giorno ad abbattere i muri di giudizio e di indifferenza che il mio orgoglio e la mia superbia avevano eretto dentro di me. I miei occhi stanno imparando a vedere, gli orecchi a sentire, le mani a donare, il cuore ad amare … e questo grazie a questi fratelli, che anche con le loro debolezze e fragilità, mi provocano ad una fedeltà sempre più grande al Vangelo. Per me non c’è gioia più grande di quella di essere stato per gli altri scintilla che li ha condotti all’incontro con la vera Gioia. I poveri mi stanno accompagnando ad entrare piano piano, in punta di piedi dentro il mistero della vita, con un grandedesiderio dipienezza e di libertà.
Nell’immaginetta ricordo della mia ordinazione sacerdotale era riportata questa frase: Nulla ti turbi, nulla ti spaventi. Dio solo basta. Il contatto quotidiano con i poveri mi dona di vivere queste parole non solo come promessa di Dio, ma come realtà di ogni giorno.
Papa Francesco ha indetto il Giubileo Straordinario della Misericordia. Cos’è per te la MISERICORDIA?
Per me la Misericordia è la vita di Dio e di conseguenza è la modalità con cui noi siamo chiamati a vivere i nostri giorni e le relazioni con gli altri. È vivere animati dal desiderio che l’amore doni pienezza di vita a ciascuno, è desiderare il bene dell’altro, è custodire e promuovere la vita, perché ognuno possa essere nella gioia. La misericordia è la verità delle nostre relazioni, è dono di Dio. È la presenza viva del Signore in mezzo a noi.
Misericordia è servire Carità. È condividere un pezzo di pane, è donare un sorriso, è rimanere in ascolto … è ogni azione che è intrisa di Carità e del desiderio che la Vita trionfi sempre. Un mondo migliore è possibile, ma solo se saremo misericordiosi come è misericordioso il nostro Dio. Nella mia vita la misericordia è il cibo quotidiano che mi dona la forza di essere pane spezzato per la fame di tanti fratelli, che mi aiuta ad essere servo per amore, prete secondo il cuore di Dio.
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