Tutta la vicenda del Qatargate, di cui molto si parla in questi giorni, ci apre a questa riflessione sull’importanza dell’onestà che deve essere una virtù vissuta da tutti i cittadini non solo dai politici.
Quanto siamo diventati corrotti, in Italia e non solo. Siamo (tutti). Ogni giorno, come la sveglia, suona il campanello dell’allarme di un capobastone della politica, dall’ultimo consigliere circoscrizionale a qualche potente assessore, o simile, che viene preso con le mani nella marmellata per una o più mazzette.
Tutta la vicenda del Qatargate, di cui molto si parla in questi giorni, ci apre a questa riflessione sull’importanza dell’onestà che deve essere una virtù vissuta da tutti i cittadini non solo dai politici.
Di fatto è troppo comodo e facile indossare i panni delle anime belle, dei casti e puri che poi, magari, si dimostrano più disonesti dei corrotti. Forse, è il caso di affrontare questo gigantesco spreco partendo da uno specchio. Guardiamoci e domandiamoci, senza arroganza, senza presunte superiorità morali, una cosa semplice: “Nel mio stile di vita quotidiano, posso definirmi una persona onesta?”. E aggiungiamo: “Sono consapevole del fatto che un mondo dove il valore dell’onestà non è più riconosciuto, non potrà mai essere sostenibile?”. Stili di vita, sostenibilità e senso della comunità si intrecciano. Un esempio: siamo il paese europeo con la più alta percentuale di spazzatura che finisce nelle discariche (40 per cento), luoghi dell’orrore che l’Europa ci chiede da anni, inutilmente, di chiudere. E allo stesso tempo siamo il paese dove si consuma un ecoreato ogni 18 minuti. A qualcuno, e non si tratta di una ristretta minoranza di mascalzoni, la chiusura delle discariche non conviene.
A proposito di un fenomeno di disonestà molto diffuso in Italia: l’evasione e l’elusione fiscale. Si parla di 120 miliardi all’anno sottratti al fisco, e quindi allo Stato, alla possibilità di fare investimenti in Sanità, scuola e ricerca. Allo stesso tempo l’Italia è diventato il quinto paese al mondo per pressione fiscale, con appena l’1 per cento dei contribuenti che dichiara un reddito superiore ai 100mila euro. Secondo il Rapporto della banca dati dell’Agenzia delle Entrate, l’evasione in Italia ha ormai raggiunto il 38 per cento delle imposte e la sola Irpef si traduce, per ogni italiano, in circa 2mila euro l’anno sottratti alle dichiarazioni.
Viene voglia di porsi una domanda: ma l’onestà in Italia ha ancora un significato? La consideriamo ancora un valore, più che una virtù, alla base della nostra vita sociale? Siamo consapevoli che senza il valore dell’onestà, senza uno scatto etico prima che civile, qualsiasi discorso sul nostro futuro come comunità rischia di essere astratto? E abbiamo capito che la disonestà è un prezzo, molto alto, che paghiamo in termini di inefficienza e di degrado generale del sistema? Uno spreco a tutto tondo.
Forse, per restituire dignità e centralità all’onestà bisogna partire dai fondamentali, e cioè dal suo significato. Come fa molto bene in un libro pubblicato recentemente (Onestà, edizioni Cortina) la filosofa Francesca Rigotti che ci ricorda la ricca polisemia del termine, cioè la diversa quantità di significati che possiede. Il primato, riconosciuto da decenni, dell’economia e del mercato (cioè del denaro) ha infatti ridotto l’onestà a una categoria dentro la quale rientrano quelli che non rubano, non frodano, non corrompono. Non è così. L’orizzonte dell’onestà si allarga a fisarmonica in una parte integrante del nostro carattere, nelle intenzioni e nelle disposizioni dei nostri comportamenti, nella stessa fisionomia dell’uomo.
L’etimologia della parola ci segnala un nesso tra “onestà” e “onore”, che non è certo una categoria economica. L’honestus, scriveva con straordinaria sintesi Cicerone, è appunto l’uomo degno di onore. E in inglese la traduzione di onesto è honest, cioè colui il quale dice la verità, un’altra attitudine del carattere più che della pratica in economia. Non a caso, per gli anglosassoni, americani e inglesi, la bugia nella vita pubblica e privata, è una colpa che non è perdonata, molto più di un reato penale ai fini delle conseguenze. Il politico colto in flagranza di bugia, viene giudicato immediatamente come disonesto, come colui che non dice la verità, e dunque non è affidabile; il contribuente infedele con le sue dichiarazioni per non pagare le tasse, rischia il carcere e l’isolamento sociale. Per il bugiardo non c’è scampo: una volta scoperto, è fuori gioco. Mentre l’onestà, come scriveva Cervantes nel Don Chisciotte è la «migliore politica», nel senso più pieno della parola.
Tratto da: Valore dell'onestà: la necessità di recuperare questa virtù - Non sprecare
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