Essere soli, depressi, non trovare una ragione di vita, sentirsi persi e senza via d'uscita non è una condizione così rara nella società di oggi...
Ho trovato due recenti fatti di cronaca nera particolarmente scioccanti: il primo è il suicidio-omicidio del pilota di Germanwings Andreas Lubitz, il secondo è la sparatoria al Palazzo di Giustizia di Milano. Nel primo episodio un uomo gravemente depresso e solo ha deciso di farla finita coinvolgendo nel suo gesto efferato altre 149 vite umane, a cui ha – inavvertitamente o deliberatamente – tolto la vita insieme alla sua. Nel secondo, Claudio Giardiello, un imputato per bancarotta fraudolenta, ha fatto fuoco in un’aula di tribunale, uccidendo tre persone, il giudice, il coimputato e il suo ex avvocato.
A prima vista potrebbero sembrare due casi molto diversi tra loro, un suicidio e un omicidio, ma a ben guardare hanno molti punti in comune. Primo fra tutti una disperazione accecante, totalizzante, che porta entrambi gli uomini alla follia. In secondo luogo la volontà, quasi il bisogno, di coinvolgere nella propria follia e nel proprio dolore altre persone.
La prima naturale reazione a questi fatti è la rabbia, l’indignazione. Quanti di noi hanno urlato furiosamente alla televisione, scagliandosi contro la disattenzione dei medici di Lubitz e delle guardie del Tribunale di Milano, imprecando contro un sistema inefficiente che permette a pazzi sconsiderati di uccidere degli innocenti? Di fronte a questi fatti ci sentiamo impotenti, vulnerabili e frustrati. Pensiamo che potrebbe succedere anche a noi, quali sfortunati passanti-passeggeri, presenti nel posto sbagliato al momento sbagliato, quali vittime, dunque, di quei gesti folli. Nessuno di noi ha mai neanche lontanamente pensato di poter essere il carnefice. No, certo che no, perché noi siamo “normali”. A sbagliare sono sempre gli altri.
Non sto insinuando che tra voi lettori ci siano dei potenziali pazzi-omicidi – o almeno mi auguro con tutto il cuore di no – però vorrei far luce su un aspetto che forse non avete considerato: la solitudine. Essere soli, depressi, non trovare una ragione di vita, sentirsi persi e senza via d’uscita non è una condizione così rara nella società di oggi. Molte persone soffrono in silenzio, anche a causa dell’indifferenza altrui. Pensando a Lubitz e Giardiello mi sono chiesta: lo avrebbero fatto lo stesso se non fossero stati soli? Avrebbero lo stesso ucciso per disperazione se qualcuno fosse stato loro accanto, come supporto e consolazione?
Forse nella società di oggi la vera assassina non è la follia, né la depressione, ma l’indifferenza. Passiamo le ore sui social network e poi ci dimentichiamo di chiedere come sta il nostro vicino, chiediamo l’amicizia ad estranei e poi non vediamo il dolore sul volto dei nostri cari. Siamo così pieni di comodità, di agi e lussi che siamo diventati tutti deboli, non siamo più capaci di soffrire, di sopportare la tristezza e la frustrazione, lasciamo che ci riempiano in silenzio fino a che non esplodiamo, ferendo chi sta a noi intorno. Viviamo in un mondo ovattato, fatto di apparenza e bellezza esteriore, che ci narcotizza. La sofferenza altrui ci spaventa, la evitiamo accuratamente, giriamo alla larga in tutti i modi possibili, fingendo di non vedere, di non sapere, di non capire, per non esserne infettati. Paradossale che proprio nell’era delle comunicazioni potenziate le persone non siano più in grado di comunicare il proprio dolore, né di individuare quello altrui.
Quanti altri Lubitz e Giardiello ci sono nel mondo? Quante persone sole, depresse, prossime alla follia abbiamo attorno senza vederle? Quante di loro potremmo aiutare, anche solo con una parola, con un gesto?
Forse è arrivato il momento di staccare gli occhi dai computer e dagli smartphone, per guardare in faccia chi ci è accanto.
Susanna Ciucci
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