"Io credo che la morte sia solo la fine del primo tempo" (Lucio Dalla). E' inevitabile che la morte, la morte improvvisa di una persona nota, di un artista che ha accompagnato l'infanzia, l'adolescenza, la giovinezza e l'avvicinarsi al declino di molti di noi venga commentata. Ognuno commenta come sa, perché la morte rende nudi.
del 07 marzo 2012 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 
          E’ inevitabile che la morte, la morte improvvisa di una persona nota, di un artista che ha accompagnato l’infanzia, l’adolescenza, la giovinezza e l’avvicinarsi al declino di molti di noi venga commentata.
Ognuno commenta come sa, perché la morte rende nudi.
          Lucio Dalla è morto in Svizzera a Montreux la città della musica, la capitale del Jazz. La città dove ci sono gli studi di registrazione che furono acquistati dai Queen, dove la statua Freddie Mercury si specchia sul lago verso il quale guarda.
          Io banalmente appena saputo della morte di Lucio Dalla non ho trovato nulla di meglio da dire: “ieri sera mio marito era a cena a Montreux” notizia vera ma inutile, credo che un buon psicologo forse direbbe che si cerca di collocare la propria vita nei dintorni della morte. Come quando alla notizia della morte improvvisa di qualcuno si dice: - ma come se ci ho parlato ieri?
          Poi inevitabilmente mi sono tornati alla mente episodi legati alle sue canzoni, perché i poeti sanno far tornare alla mente profumi e odori, malinconie e struggenti ricordi. C’era “l’ultima luna” nell’aria l’anno in cui decisi che quel ragazzo sorridente e caparbio poteva essere “il mio uomo per sempre”.
Il nostro amico Giovanni che consapevole della sua somiglianza con il cantante lo imitava, girando per il salone di un'affollata festa di capodanno e cantando - Attenti al lupo -
Il nostro vecchio impianto stereo, del quale giovani sposi andavamo orgogliosissimi e quei grossi LP che diffondevano musica nell’aria ad alleviare la fatica delle pulizie di fine settimana.
          I viaggi in auto coni bambini cantando a squarciagola. I poeti sono un grande dono, entrano nelle pieghe della vita dei comuni mortali e quando se ne vanno ti obbligano a una passeggiata tra i sentieri del ieri.
          Un amico mi ha mandato via mail una intervista fatta a Lucio Dalla nel 2009, sincero a tratti struggente e ingenuo il suo modo di rispondere alle domande raccontando la vita, come del resto faceva con le sue canzoni. Mi piace condividerla con voi.
Il grande cantautore si “confessa” in questa intervista
'Giullare di Dio', L'ultimo strappo di Lucio DallaDopo aver musicato i Salmi ed avere cantato davanti a due papi, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, Lucio apre il suo animo e parla del suo mondo spirituale. “Sono credente e praticante, non mi perdo una messa e giro col rosario in tasca”. Ma parla anche di Sanremo, del crocifisso, del suo album “Angoli nel cielo”, del desiderio di dedicarsi al cinema. Un ritratto inedito di uno dei “mostri sacri” della canzone italiana.
Sei d’accordo su quanto ha detto Benedetto XVI che l’arte, quindi anche la musica, è “epifania della bellezza di Dio” ?
“Assolutamente. A prescindere dal fatto che l’abbia detto il Papa. Io sono convinto di questo, perché è uno dei regali che il cielo fa alla nostra anima. Questa e’ una delle fonti della nostra ispirazione”.
Sei “esperto” di Papi. Hai cantato al concerto eucaristico di Bologna davanti a Giovanni Paolo II. Il primo concerto rock con un Papa presente. C’erano anche Celentano, Morandi, Bob Dylan.
“Quello fu uno dei grandi incontri della mia vita. Io, se ricordi, ero uno dei co-produttori dell’evento e suonai con Petrucciani…”
Quel concerto fu anche un capolavoro di Bibi Ballandi.
“Si’, e la serata fu straordinaria anche per le emozioni che ci trasmise. Ho ancora negli occhi lo sforzo di Giovanni Paolo II di alzarsi per andare incontro a Petrucciani e quello di Petrucciani di salire, senza riuscirci, i gradini, che lo separavano dal Papa. Ci fu solo un abbraccio a distanza. Ho cantato per Papa Wojtyla in San Pietro e alla Sala Nervi in Vaticano”.
E sei riuscito a dirgli qualcosa?
“Non molto. Mi sono stupito per l’affabilita’ del Papa nei confronti delle manifestazioni artistiche. Lui che aveva fatto l’attore, che aveva una bellissima voce come cantante. Stavo per musicare dei testi scritti da Karol Wojtyla. Io sono credente…”
Credente ma forse non praticante…“No, sono assolutamente “praticante”, magari con grande sforzo, ma praticante”.
Questa, perdonami, non me l’aspettavo.
“Io non perdo una messa, perché è l’unico obbligo – diciamo così – “tecnico” della mia fede. La vivo come una piccola costrizione, ma fa parte del mio rapporto senza interruzione col mio credere”.
Avevi gia’ fatto una cosa bellissima: musicare i Salmi. Nella tua carriera e’ un’impresa luminosa.
“Noi veniamo da li’. E’ il nostro linguaggio. La parola è ancora viva perché ha una matrice metareligiosa. E’ stato un lavoro massacrante sulla lingua, sull’ethos spirituale dei Salmi. Oltretutto era musica inedita e la facevo trasportato dal grande pathos linguistico di quei versi, dalla loro profondita’ cosi’ anomala rispetto ad una societa’ come la nostra. Un lavoro che mi ha coinvolto in pieno”.
Ho letto che sei stato intrigato anche dalle poesie di Alda Merini. “Si’, nel 2008 con Marco Alemanno ho realizzato un reading su “Francesco. Canto di una creatura” della Merini nello scenario suggestivo della Baslica Superiore di Assisi. Una esperienza ripetuta a Milano nella Basilica dei Frati Minori Cappuccini”.
Le tue canzoni sono sempre canzoni molto evocative. Ecco, più che non la rima cuore-amore con una spruzzatina di sesso, ci danno atmosfere. Sono mondi, visioni della vita. Possiamo definirle così?
“Anche secondo me. Non sono neanche punti di vista che sono una forma riduttiva, anche se precisa. Ho sempre cercato di interpretare l’aspetto più umano, più legato agli uomini, quindi, per forza di cose, legato a Dio. Io, personalmente, mi sento dentro un’ampolla che mi connette con l’esterno. Di notte, ad esempio, vado a concentrarmi sulla terrazza di casa mia a Bologna. Non c’e’ niente che mi divide dal cielo, neanche dal cielo che ho dentro. Le cose mi ronzano intorno: il fischio di un treno lontano, l’abbaiare dei cani, la sirena di una croce rossa, suoni e visioni. Non vorrei essere sacrilego: comincio con le preghiere classiche, dopo viene questo …”mantra”. E’ una unione di segni che mi danno una grande piacevolezza e pienezza di spirito, e’ il momento artistico. Hai capito ? E cio’ parte dalla convinzione che dentro ogni uomo c’e’ Dio. Non e’ un dubbio, e’ una certezza. Dentro di me c’e’ il mio Dio. E’ una unione spirituale che avverto ogni volta che mi metto a pregare”.
Hai spiegato come avviene quella che chiamiamo “ispirazione”, come nasce e si sviluppa. La tua e’ una musica di impegno sociale. Penso a “ Piazza Grande” del 1972, a Sanremo, dedicata mi pare ad un senzatetto. Sbaglio? E questa cifra e’ rimasta.
“Se per caso dovessi zoppicare sarebbe un segno completamente diverso da un handicap. E’ il mondo degli altri la prima cosa che colgo. Non sono capace, neanche lontanamente, di rifiutare qualcuno, non sono insensibile verso chi soffre”.
Non meravigliarti di questa domanda. A Sanremo anche canzoni in dialetto, magari sottotitolate. Che ne pensi?
“Beh, che è un delirio ! Non e’ che non vada bene. Uno puo’ cantare anche in una lingua che non c’e’. Teorie del genere si possono giustificare piu’ che sotto il profilo politico sotto quello sociologico o demenziale”.
Prima togliamo i crocifissi, poi i presepi. E poi?
“Io giro con il mio rosario da boyscout e, vicino al mio rosario da boyscout ho una stella di David. I segni rafforzano la convinzione e, soprattutto, credo che un segno così preciso e’ fondamentale nella nostra comunicazione, da Cristo in poi. Fa parte del nostro DNA, del nostro spirito. Quando Attila venne a Roma per metterla a saccheggio fu fermato da Papa Leone I che innalzava una croce grandissima. Gli unni si fermarono, memori del fatto che, quando pregavano, piantavano nel terreno le spade con l’elsa a forma di croce. Il simbolo e’ stato piu’ forte della vendetta e della sete di conquista ; ha agito da deterrente. Attila non poteva combattere contro quel simbolo davanti al quale il suo popolo si prostrava. E giro’ il cavallo e se ne torno’ indietro. Per chi crede nello spirito di Dio fu un miracolo. Il linguaggio simbolico funziono’. La croce e’ la nostra cultura e mi piacerebbe che accanto alla croce ci fosse la stella di Davide e- perche’ no- la mezzaluna dell’Islam”.
“E ancora adesso che gioco a carte e bevo vino, per la gente del porto mi chiamo Gesu’ Bambino” versi della tua canzone “Quattro marzo” La sacralità del nome non è come un timbro postale, è un processo di avvenimenti, supera le nostre meschinità. Peeché, Lucio, i tuoi fan e non solo, dovrebbero acquistare il tuo ultimo album “Angoli nel cielo”?
“E’ uno dei dischi migliori che ho fatto, forse è tra i primi tre di tutta la mia storia. C’e’ un rapporto diretto coi giovani. C’è una canzone che si chiama “Controvento”. Io immagino di parlare con un ragazzo cui do’ istruzioni per navigare controvento, per essere lui il protagonista del viaggio, per difendersi dagli sciacalli della terra che ti insegnano a vivere male. La frase finale dice: “Gesu’ Cristo era un pezzente, tutto meno che potente, sporco e nudo sulla croce per non diventare un re”. C’e’ il rifiuto della ricchezza e dei privilegi. I valori in gioco sono altri”.
Ci stai abituando a tanti strappi. L’ultimo?
“Ma sai, strappi fino ad un certo punto. C’è una correzione della mia strada, che non faccio da solo. Il mio cammino non è prescindibile dalla mia convinzione, dalla mia fede in Gesù. Certo, ho buttato per aria un mondo. Che Dio mi benedica!”.
Il cinema ti piace. Nel futuro di Dalla, dopo quello di cantante, avremo quello di attore e regista?
“Ho fatto molte regie - non di cinema – ma di teatro, di opera, penso alla “Tosca amore disperato “ con la grande orchestra dei Pomeriggi Musicali diretta dal maestro Beppe D’Onghia. Nell’archetipo c’e’ la fede come coraggio, come contributo al cambiamento del mondo. Ho composto tante musiche da film. Il mio grande sogno, e’ vero, è quello di scrivere la sceneggiatura di un film e magari di farlo”.
Il ritratto che esce da questa conversazione mi lascia stupefatto. Chi avrebbe immaginato un Lucio Dalla così!
(Dalla e’ emozionato, cambia voce). “Guarda, sono un uomo fortunato. La vera dinamica dell’uomo è questo processo di maturazione o di semplificazione del proprio “io religioso”. Non riesco a capire il fenomeno dell’ateismo, che non vuol dire vivere senza Dio, ma, in modo infantile, non pensarci, o vederlo dall’altra parte del fiume. E invece Dio è talmente dentro di noi. E’ una scoperta che possiamo fare tutti e che possiamo vivere nella sua leggerezza”.
Potresti usare la frase di Sant’Agostino:”Il nostro cuore e’ inquieto finché non riposa in Te”.
“Ah, non c’è dubbio! Ho anche l’ambizione di dire che qualche volta, Cristo, che lo sento vicino a me più di qualsiasi altra forma, possa anche riposarsi o mettere un orecchio alle cose che faccio (ride)… per migliorarle, eh!.. mica per imparare !”
Magari in prima fila per ascoltarti …
“Spero proprio di sì!”
Nerella Buggio
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