Ma tutto il polverone mediatico che circonda i dati rivela solo una doppia, schizofrenica ipocrisia: da una parte la tendenza a voler vedere tutto attraverso le lenti deformanti del sensazionalismo,...
del 30 luglio 2010
                   La coppia scoppia, i divorzi spopolano, i matrimoni durano in media 15 anni, la famiglia non esiste più. Più o meno questo è il tono che sta accompagnando in questi giorni i dati Istat. Come al solito. E la situazione è in effetti preoccupante, gli incrementi di separazione e divorzi, consistenti, non possono essere una buona notizia.
 
                  Ma tutto il polverone mediatico che circonda i dati rivela solo una doppia, schizofrenica ipocrisia: da una parte la tendenza a voler vedere tutto attraverso le lenti deformanti del sensazionalismo, del politicamente corretto, della semplificazione falso-modernista; dall’altra l’incapacità o la mancanza di volontà di guardare davvero in faccia la realtà andando a fondo nel tentare di capire i motivi, le conseguenze e i nessi causa-effetto di tali disagi. Il tutto meriterebbe ben altri approfondimenti e riflessioni.
                  Ecco i dati, raccolti dall’Istat presso le cancellerie dei 165 tribunali civili italiani. Nel 2008 le separazioni in Italia sono state 84.165 e i divorzi 54.351, con un incremento rispettivamente del 3,4 e del 7,3% nei confronti dell’anno precedente. Se nel 1995 si verificavano 158 separazioni e 80 divorzi ogni 1000 matrimoni, nel 2008 le separazioni su 1000 matrimoni sono state 286 e i divorzi 179, con un più 61 e più 101%. Nel complesso, in Italia si separa una coppia su quattro. In media, la durata di un matrimonio prima della separazione è di 15 anni, 18 prima del divorzio (per la legge italiana devono trascorrere tre anni tra separazione e divorzio). I figli coinvolti nel 2008 sono 102.165 nelle separazioni e 53.008 nei divorzi, hanno riguardato coppie con prole il 70,8% delle separazioni e il 62,4% dei divorzi. Nelle separazioni, inoltre la metà dei casi (52,3%) coinvolge figli con meno di 18 anni, il 56,2% dei casi con bimbi di meno di 11 anni.
                  Dati drammatici, che mostrano la fragilità della nostra società, la difficoltà e a volte l’incapacità di stare insieme, cioè di costruire qualcosa di stabile. Ma se il bicchiere mezzo vuoto fosse mezzo pieno? Il sospetto infatti è quello di trovarsi di fronte a profezie che si autoavverano. Basta aprire un giornale a caso di questi giorni e sicuramente si troverà la frase: “Il matrimonio dura 15 anni”.
                  Visti i dati, sembra “suonare”, ma se si guarda bene, il conto non torna: durano in media 15 anni quei matrimoni che falliscono, non i matrimoni in generale. Se si potesse fare una media tra quelli che falliscono e quelli che durano per sempre, ammesso che abbia un senso, la media darebbe cifre infinitamente più alte. E già, perché ci sono matrimoni che durano, anche se a seguire i mass media proprio non sembra: sembra che dilaghino i divorzi, che non esista più una famiglia stabile, che se non ti sei separi sei demodé.
                  Ma i dati dicono questo? Proprio no. I dati dicono che se fallisce una coppia su quattro (troppe), vuol dire che tre su quattro reggono, anche se non fanno notizia. Vuol dire che le coppie stabili sono sempre la maggioranza, il tessuto fondamentale del Paese. Anzi, a guardar bene c’è un elemento clamoroso in controtendenza a quello che ci dicono i benpensanti: ogni anno le famiglie italiane aumentano.
                  E sì, perché se ci sono circa 85 mila separazioni ma anche 250 mila matrimoni (molti meno che in passato), la matematica dice che ogni anno in Italia, nonostante l’ambiente ostile, ci sono 170 mila famiglie più dell’anno prima. Ma anche loro non fanno notizia. Quindi si innesta un meccanismo perverso, per il quale si evidenziano solo gli sfasci nelle famiglie, e questo crea un clima culturale che favorisce nuovi sfasci, che indebolisce la percezione del valore della famiglia, dell’unione, del per sempre. Che spinge politici e mass media a occuparsi sempre meno delle famiglie, ridotte a fantasmi. Così la famiglia è “normale” solo se si sfascia, e perde valore come modello e come interlocutore sociale.
                  A discapito della maggioranza silenziosa, che dovrebbe invece essere l’interlocutore privilegiato della politica, dell’economia, dell’impegno sociale, della cultura, della comunicazione. Viene imposto unilateralmente un modello minoritario, con conseguenze disastrose per tutti. Perché è evidente, anche se mai messo in risalto, che il costo sociale ed economico dello sfascio della famiglia è elevatissimo sotto tutti i profili, compreso quello banalmente economico. Mentre la rete familiare è invece un elemento determinante e utile di coesione sociale, di ammortizzazione dei problemi, di sviluppo economico, di promozione culturale.
                  Nonché unica cellula capace di costruire il futuro, tramite i figli e la loro educazione, che sarà migliore se in un orizzonte di solidità, di capacità di guardare al futuro con fiducia. Se ne è messa nelle condizioni.
Osvaldo Baldacci
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