La vicenda dimostra poi che più che il risultato concreto di stringere a sé un figlio in tarda età, ciò che importa è il diritto al tentativo. L'egualitarsimo infatti impone che a tutti siano concesse pari opportunità. Contraddicendo così il principio di uguaglianza il quale predica che occorre trattare i casi uguali in modo uguale e i casi diversi in modo diverso.
del 20 giugno 2011
 
          La Giunta regionale del Veneto ha deciso di innalzare fino a 50 anni il limite di età per le donne al fine di accedere alle tecniche di fecondazione artificiale potendo usufruire dell’esenzione del ticket. In tutta Italia il Servizio Sanitario nazionale copre le spese per la Fivet invece sino ai 43 anni.           E’ opportuno ricordare che la legge 40 del 2004, sulla cosiddetta Procreazione medicalmente assistita, non prevede limiti di età per l’accesso a tali pratiche. In questo caso lo strappo alle regole riguarda dunque solo l’esenzione del ticket. Insomma i contribuenti dovranno pagare di tasca propria le speranze di maternità di donne più vicine anagraficamente a diventare nonne piuttosto che mamme.          La decisione è da criticare, oltre per motivi di ordine morale, anche in base ad altre considerazioni di natura medica ed economica. In primo luogo sopra i 44 anni il tasso di successo con Fivet o ICSI è vicino al 4% (dato dell’inglese Human Fertilisation and Embryology Authority) e si assottiglia quasi verso lo zero con gli anni. Il caso Nannini, diventata mamma a 56 grazie alla Fivet, infatti è rarissimo. Evidentemente Zaia pensa che le mamme venete hanno una marcia in più e sono più feconde. Inoltre, dicono gli esperti, aumenterebbero i casi di parto prematuro, di morte del feto e vi sarebbero problemi di salute seri per la gestante.           Sul versante invece economico-amministrativo le risorse finanziarie si distrarrebbero verso una pratica pressoché fallimentare, togliendo così soldi ad altri comparti della sanità sicuramente più importanti e più bisognosi di aiuti economici. A tutto ciò si aggiunge il fatto che le richieste da parte di mamme over 40 aumenterebbero di certo allungando le liste d’attesa ed ingolfando le amministrazioni delle aziende ospedaliere.          Shakespeare direbbe “tanto rumore per nulla” e avrebbe ragione. Infatti queste apparenti derive libertarie erano già contenute in nuce nella legge 40, la quale come ricordato non pone limiti di età per tentare la strada del figlio in provetta. Ora è tardi per gridare allo scandalo perché il vero scandalo sta nel fatto che una legge permetta di “produrre” un figlio in laboratorio. Il resto – limiti di età, numero massimo di embrioni per ogni ciclo, criconservazione, etc. – viene di conserva, è la frana che arriva a valle provocata da un masso che abbiamo divelto a monte.           Allora l’etica dei paletti ancora una volta mostra la corda. E’ inutile tentare di arginare l’alluvione di una diga che ha già ceduto da tempo, cioè una volta che abbiamo dato la possibilità alle coppie di accedere alla Fivet.          La vicenda dimostra poi che più che il risultato concreto di stringere a sé un figlio in tarda età – risultato come abbiamo visto è quasi una chimera – ciò che importa è il diritto al tentativo. L’egualitarsimo infatti impone che a tutti siano concesse pari opportunità. Contraddicendo così il principio di uguaglianza il quale predica che occorre trattare i casi uguali in modo uguale e i casi diversi in modo diverso. Poco importa poi che il buon senso, così attento alle differenze, e madre natura siano di altro avviso. Lo spirito dittatoriale democratico obbliga a concedere un’ultima chance anche chi, fino all’altro ieri, non pensava di avere un figlio perché “non si sentiva pronta” o “non era tempo”. Insomma dalla fecondazione artificiale siamo transitati alla fecondazione geriatrica, una fecondazione pretesa da mamme-nonne che fanno i capricci come bambine.Tommaso Scandroglio
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