Nuovi studi confermano la necessità di rafforzare le famiglie naturali. Il numero delle convivenze come alternativa o come passo preliminare al matrimonio continua a crescere.
del 12 dicembre 2011(function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk'));
 
          Il numero delle convivenze come alternativa o come passo preliminare al matrimonio continua a crescere. Almeno secondo i dati pubblicati questa settimana dal British Office for National Statistics for England and Wales.           Nel 2010 il 48,2% della popolazione adulta di Inghilterra e Galles ha contratto il matrimonio. Il 35,6% è rimasto single, il 9,3% è divorziato, e il 7% è vedovo. Il Rapporto sostiene che 'La crescita del numero delle convivenze è dovuta alla riduzione della popolazione sposata e l'aumento dei single”.           Nel libro 'Convivenza: un'alternativa al matrimonio?', gli autori John Hayward e Guy Brandon hanno scritto che, sebbene l'aumento dei tassi di coabitazione si sta stabilizzando, una quota crescente di questi rapporti non porta al matrimonio, bensì ad una separazione. Il loro studio si basa sui dati dell’United Kingdom Household Longitudinal Study che consente verificare le tendenze e la variazioni di anno in anno.           I dati riguardano 14.103 famiglie e 22.265 adulti. Grandi cambiamenti nelle relazioni familiari hanno avuto inizio negli anni '60 e '70 fino ai primi anni '80, quando le convivenze e le coabitazioni hanno sostituito il matrimonio. Dal 2000, meno del 15% delle coppie sposate hanno convissuto prima di contrarre il matrimonio.           Negli anni '80 non meno dell’81% delle persone sposate hanno coabitato con il futuro marito o la futura moglie. Nel 2000 questa percentuale è scesa al 64%. Ciònonostante, la stragrande maggioranza - 87% - ancora contrae matrimonio con uno dei due primi partner con cui ha convissuto. La prole delle coppie conviventi           C'è anche un aumento del numero delle coppie conviventi che hanno figli a carico. Nel 2001 erano 808.000 i proprietari di casa con una coppia convivente e dei figli. Nel 2010 questo dato è cresciuto fino a 1,07 milioni. In questo contesto negli ultimi decenni l'età media dei primi matrimoni è cresciuta. Era di 23,1 anni nel 1981, ed è stata di 30 anni nel 2009 per le donne. Nello stesso periodo per gli uomini si è passati da 25,4 anni a 32,1 anni. Anche l'età media della prima convivenza è aumentata di circa tre anni sia per gli uomini che per le donne. Così è accaduto che le coppie iniziano la coabitazione più tardi rispetto al passato e si sposano ancora più tardi.           Nei primi anni '70 solo il 25% delle coppie ha convissuto per più di 3 anni. Questo dato contrasta con l'attuale percentuale che è del 50%. Inoltre, circa il 25% dei conviventi ora stanno insieme da più di 6,5 anni prima della separazione o del matrimonio.Nel complesso, la durata dei rapporti di convivenza è quasi raddoppiato negli ultimi 40 anni. L'analisi dei dati mostra tuttavia, che questo fenomeno è dovuto principalmente ad un allungamento dei tempi di convivenza rispetto a coabitazioni più brevi. Secondo gli autori, le ragioni che motivano la coabitazione stanno subendo un cambiamento. Quarant'anni fa la convivenza era vista come un passaggio temporaneo prima del matrimonio.           Il cambiamento di mentalità degli anni ’80 ha autorizzato una maggiore accettazione delle separazioni. Così ci sono ora più divorzi ma anche un numero più alto di separazioni di coppie conviventi. Gli autori concludono inoltre che attualmente la convivenza è sempre più considerata come una scelta di vita a sé stante, piuttosto che come un preludio al matrimonio.           Lo studio ha anche esaminato gli effetti della convivenza sui futuri matrimoni. Circa il 55% dei matrimoni iniziati nei primi anni ‘80 in cui almeno un partner ha vissuto con qualcun altro,sono finiti in divorzio o separazione. Ciò a fronte di circa il 45% delle coppie che avevano vissuto solo con il futuro coniuge e del 40% per coloro che non avevano convissuto. 'Per tutti i matrimoni, dal 1980 in poi, la convivenza è associata a un maggior rischio di separazione e divorzio', conclude il rapporto. I danni causati dalla coabitazione aumentano quando si è con qualcuno che non è l'eventuale coniuge. La convivenza prima del matrimonio comporta un rischio di divorzio superiore del 15%. Una precedente coabitazione con altri partner porta a un rischio di divorzio maggiore del 45%.Tutti gli studi confermano che una famiglia sposata e stabile è l’ambiente migliore dove far crescere i figli.           Questo dato è stato confermato da una ricerca pubblicata il mese scorso dall’Australian Institute of Family Studies. I ricercatori Lixia Qu e Ruth Weston, in un comunicato stampa diffuso il 16 novembre hanno spiegato di aver svolto l’indagine su quasi 5.000 bambini in tutta l'Australia, dall’età di 4-5 anni fino all’età di 8-9 anni. Lo studio mostra che i figli delle coppie sposate mostrano più alti livelli di apprendimento. di sviluppo sociale ed emotivo rispetto ai bambini di genitori de facto o ragazze madri. Questo conferma, ancora una volta, che c'è ancora molto da fare per proteggere e rafforzare il matrimonio.
Padre John Flynn
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