Sono i media ad avere bisogno di un antipapa. Ne hanno bisogno ancora di più oggi, quando il Papa e il cardinale Ruini parlano di questioni che riguardano la politica e le leggi in modo così chiaro da non lasciare spazio ad alcuna ambiguità. Nell'attuale clima di confusione sarebbe bene però che i cardinali, anche in pensione, fossero assai più prudenti quando parlano con i giornalisti. E un gesuita come Martini sa bene che ci sono momenti in cui la Chiesa si serve meglio tacendo.
del 27 gennaio 2007
Conosco il cardinale Carlo Maria Martini fin da quando - più di trent’anni fa - lui non era ancora cardinale e io frequentavo il liceo dai gesuiti di Torino. Posso dunque attestare che si tratta di un uomo di fede, per di più umanamente ben più cordiale di quanto sembri di solito a chi non lo conosce.
Sono i media ad avere bisogno di un antipapa.
Ne hanno bisogno ancora di più oggi, quando il Papa e il cardinale Ruini parlano di questioni che riguardano la politica e le leggi in modo così chiaro da non lasciare spazio ad alcuna ambiguità.
La settimana scorsa Benedetto XVI ha ricevuto gli amministratori della Regione Lazio, della Provincia e del Comune di Roma, tutti enti - vedi caso - retti da amministrazioni di centro-sinistra. Ha parlato loro dei Pacs, ricordando che una società bene ordinata riconosce valore giuridico solo al matrimonio e definendo «pericolosi e controproducenti quei progetti che puntano ad attribuire ad altre forme di unione impropri riconoscimenti giuridici, finendo inevitabilmente per indebolire e destabilizzare la famiglia legittima».
Quanto all’eutanasia, Benedetto XVI l’ha definita nel suo messaggio per la Giornata della Pace 2007 «uno scempio», lasciando alla Pontificia Accademia per la Vita precisare che le cure proporzionate alla malattia non sono accanimento terapeutico, e che il cosiddetto testamento biologico non può lasciare al singolo la decisione sul rifiuto di queste cure, e meno che mai dell’alimentazione e dell’idratazione, perché altrimenti gli riconoscerebbe il diritto al suicidio. Mangiare e bere non sono cure mediche, e cessando quest’assistenza al malato che non è in grado di alimentarsi da solo si compie un vero e proprio omicidio.
Il cardinale Martini è oggi nella Chiesa un illustre pensionato, le cui opinioni rappresentano solo il suo pensiero personale.
È difficile però convincerne i lettori meno smaliziati dei giornali, per cui «se l’ha detto un cardinale» vuol dire che «per la Chiesa» va bene così.
C’è poi chi alimenta l’equivoco in malafede, come quei parlamentari dell’Unione che cercano nelle parole del cardinale - magari facendogli dire più di quel che ha detto davvero - uno strumento per dividere i cattolici. Fino al totale rovesciamento del chirurgo e senatore ds Ignazio Marino - un uomo con una missione, tornato in Italia dagli Stati Uniti per far passare una legge sul testamento biologico che preveda la possibilità di interrompere l’alimentazione - il quale afferma, in un’intervista a La Stampa, che «Benedetto XVI ha come missione educare le coscienze, non dare direttive dogmatiche».
È precisamente il contrario: dare «direttive dogmatiche» è il ruolo specifico del Papa, e forse a Marino potrebbe spiegarlo proprio il cardinale Martini, che ha dialogato con lui nello scorso aprile su L’Espresso.
È da quel dialogo che cominciò la costruzione mediatica del Martini antipapa, disposto a sposare le posizioni dell’Unione su Pacs e fecondazione artificiale.
No, il cardinale Martini non è l’antipapa. I suoi interventi sono problematici, sempre infarciti di se, di ma e di forse. A differenza del suo amico Marino, il cardinale sa bene, e lo dice, che le sue sono solo opinioni «pastorali» e che l’ultima parola dogmatica spetta al Papa: che in verità l’ha già detta.
Nell’attuale clima di confusione sarebbe bene però che i cardinali, anche in pensione, fossero assai più prudenti quando parlano con i giornalisti. E un gesuita come Martini sa bene che ci sono momenti in cui la Chiesa si serve meglio tacendo.
 
 
Massimo Introvigne
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