È possibile, partendo dalle lezioni del passato e dalle realtà del presente, che il Sinodo per il Medio Oriente faccia riscoprire alle comunità arabo-cristiane le ragioni della loro presenza in una società prevalentemente musulmana?
del 12 ottobre 2010
           Quale sarà il destino dei cristiani del Medio Oriente? Presenti molto prima dell’islam, nato nel VII secolo, il loro numero è oggi stimato fra i 10 e i 15 milioni. Se nel 1914 erano il 24% della popolazione, oggi si propongono stime intorno al 6%. Ma l’esattezza della cifre non è garantita, soprattutto a causa dell’emigrazione che si registra da due decenni. Per alcune comunità, come la siro-ortodossa o l’armena cattolica, si calcola addirittura che i rispettivi membri siano più numerosi nei paesi di emigrazione.
           Nonostante il loro modesto numero, è considerevole la loro importanza simbolica e politica in una regione ove da secoli convivono fedeli di tre religioni monoteiste. È possibile, partendo dalle lezioni del passato e dalle realtà del presente, che il Sinodo per il Medio Oriente, convocato dal Papa a Roma dal 10 al 24 ottobre 2010, faccia riscoprire alle comunità arabo-cristiane le ragioni della loro presenza in una società prevalentemente musulmana?
           Saranno in grado i patriarchi e i vescovi delle Chiese cattoliche di far riscoprire ai rispettivi fedeli la loro missione in ciascun paese e nell’insieme di un’area così politicamente instabile ed economicamente fragile?
           Quali sono per queste Chiese le possibilità di realizzare la loro missione storica nel presente quadro degli Stati arabi? Per dare risposta a così gravi questioni, i documenti preparatori del Sinodo indicano due obiettivi: a) la fedeltà al patrimonio plurisecolare di tradizioni che fa di queste Chiese le “testimoni privilegiate dell’originale” riguardo alla fede cristiana; b) la comunione a tutti i livelli, cominciando da ciascuna Chiesa al suo interno, attuando un ecumenismo più generoso con le Chiese sorelle – ortodosse e nate dalla Riforma – e un dialogo interreligioso più coraggioso soprattutto con i musulmani.
           Difficoltà sono sempre esistite nel corso della storia comune che ha unito cristiani e musulmani nel Medio Oriente in quell’unico crogiolo che è la civiltà araba, per quanto ciascuno abbia conservato le specificità del proprio patrimonio. Tali difficoltà hanno causato tendenze al fanatismo, integralismi estremisti e guerre religiose.
           Anche perciò la società civile, in tutti i paesi arabi, esige più che mai la partecipazione leale ed efficiente delle comunità cristiane in essa radicate, in modo che quei paesi mantengano e rafforzino il loro carattere pluralista, senza cedere alle tentazioni di un’applicazione integrale della legge islamica (sharī’a), cui aspirerebbero alcuni movimenti islamisti contemporanei.
           Da più di un secolo i cristiani arabi, grazie ai loro meriti e alle loro lotte, sono passati dallo statuto di “protetti” (dhimmi) a quello di cittadini (muwātana): dipende anche da loro che la società civile ne prenda atto a tutti i livelli (culturale, giuridico, economico, politico, ecc.), realizzando con tutti e per tutti un pluralismo rispettoso di ogni comunità esistente, secondo lo spirito delle più recenti Dichiarazioni dei diritti dell’uomo.
           Il Sinodo è un’occasione speciale per i cristiani del Medio Oriente di ritrovare la propria identità e missione in una regione minacciata dall’aumento delle violenze e degli estremismi religiosi, in paesi spossati dalla guerra e dai disastri economici.
           Il destino e il futuro delle loro antichissime Chiese dipende anche dalla Chiesa universale, in primis dalle Chiese dell’Europa mediterranea. Missione impossibile?
           Fonte: “Missione oggi”
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