Festeggiamo oggi Beato Michele Rua, il primo successore di don Bosco. Vocazione e ideale di don Rua furono la vita, le intenzioni, le opere, le virtù, la santità del Padre e Guida della sua esistenza giovanile, sacerdotale e religiosa. Don Rua rimane sempre di vitale attualità per l'autentico mondo salesiano.
del 27 ottobre 2011 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) {return;} js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk'));            Don Rua è la più genuina incarnazione di don Bosco ed è camminando su quella linea che egli, con soprannaturale intuito, preparò l'ascesa del beato don Filippo Rinaldi, quale garanzia di continuità e saldezza dello spirito salesiano.I Santi, pur con le specifiche singolarità di ognuno, si danno la mano e fanno salda catena che ai posteri segna la via sicura.           Don Bosco, don Rua, don Rinaldi, saranno sempre i Padri della grande Famiglia Salesiana, al servizio della Chiesa, della gioventù e delle anime. Nel loro esempio è il patrimonio e la ricchezza di quanti sono chiamati a condividerne gli ideali e a calcarne le orme. PRIMOGENITO DI DON BOSCO: SULLE VIE DI UN SANTO           Fin dalla nascita Michele Rua si trovò provvidenzialmente nel solco apostolico di don Bosco, lungo le sue strade. Può sembrare una casualità, mentre indica i disegni del cielo in un bambino destinato a non comune missione.Nacque infatti a Torino, in regione Valdocco, il 9 giugno 1837, non molto lontano dal luogo dove nella Pasqua del 1846 don Bosco avrebbe trovato la sua Porziuncola, destinata ad essere il soggiorno di don Rua per oltre un cinquantennio.Gli fu padre Giovanni Battista Rua, che aveva la sua abitazione presso la così detta «Fucina delle canne», di cui era «controllore» e forse custode; ed era unito in seconde nozze con Giovanna Maria Ferrero, dalla quale ebbe quattro figli, oltre i cinque delle prime nozze. Ultimo Michele, il quale portò larghe benedizioni alla famiglia e al mondo salesiano, ancora tutto da sbocciare. Don Barberis e don Francesia sono testimoni autorevoli dell'infanzia di Michelino.           «Nacque in Torino - depone don Barberis -, alla Fucina delle canne: uno stabilimento militare in regione Valdocco, dove si fondevano canne da fucile per militari e si costruivano attrezzi per l'esercito. Suo padre morì quando egli aveva sette anni, per cui fu educato dalla mamma e dal Cappellano dell'Officina, che gl'insegnò a leggere e scrivere. So - aggiunge il Barberis - che era stato battezzato – ho visto il certificato - nella chiesa dei santi Simone e Giuda (= ora parrocchia di San Gioacchino); so pure che fin da fanciullo con frequenza si confessava».Precisa don Francesia: «Michelino fu l'ultimo di nove fratelli; venne battezzato l' 11 giugno; rimase in famiglia fino all'età di quattordici anni, e ricevette la cresima dall'arcivescovo Luigi Franzoni, avendo come padrino il conte Giuseppe Bosco di Ruffino. A nove anni era stato ammesso alla Prima Comunione, fatta nella cappella dello stabilimento, dove soleva servire all'altare. Frequentò le scuole elementari superiori presso i Fratelli delle Scuole Cristiane di Porta Palatina, non lontano da Valdocco (il Comune aveva infatti affidato le Scuole ai Fratelli). Fu qui dove conobbe don Bosco, il quale vi si recava per le confessioni degli alunni. Presto divenne suo fervente discepolo».           A questo punto giova lasciare la parola allo stesso don Rua. Nel 1895 - agli inizi cioè del suo Rettorato - deponendo in lungo e in largo al processo di don Bosco quale primo testimone, egli fornisce indicazioni autobiografiche dalle quali affiora il suo slancio iniziale verso don Bosco.           «Lo conobbi - afferma - nel settembre del 1845. Avevo allora otto anni. Condotto da un compagno cominciai a frequentare l'Oratorio da lui fondato, che a quel tempo si radunava al Rifugio della marchesa Barolo. Per qualche anno vi andai a intervalli; dal 1849 - dopo l'insediamento di don Bosco a Valdocco - lo frequentai regolarmente».Al Rifugio il Santo era direttore dell'Ospedaletto di santa Filomena, nel complesso delle opere della marchesa Giulia di Barolo, e faceva la prima esperienza, lontano dalla chiesa di San Francesco d'Assisi e dal Convitto Ecclesiastico, sotto la guida di don Borel. Don Rua così ne parla: «Al Rifugio, oltre l'alloggio per il sacerdote, vi era un solaio a due camere piuttosto grandi, e a piano terra un cortiletto che poteva servire per ricreazioni. Don Bosco ottenne dalla marchesa di ridurre a cappella il solaio, e avuto il permesso dall'Arcivescovo la benedisse e cominciò a radunarvi nelle domeniche i giovani che già si recavano da lui a san Francesco d'Assisi. Qui l'Oratorio continuò per un anno e io stesso nel 1845 cominciai a frequentarlo».Ai primi incontri domenicali, in clima di pietà e di festa, tennero dietro negli anni successivi incontri più intimi e decisivi per Michelino, alunno ancora dei Fratelli delle Scuole Cristiane.           «Ricordo che mentre da ragazzo frequentavo la scuola di Porta Palatina - prosegue don Rua -, quando si annunziava che tra i confessori c'era don Bosco, molti procuravano di andare da lui, cosicché poco restava da fare agli altri». Tornando sul discorso, al termine dell'esame giudiziale, là dove era in questione la fama di santità di don Bosco, don Rua completa e ribadisce: «Allorché egli veniva a dir Messa agli alunni dei Fratelli pareva che una corrente elettrica scattasse tra noi: molti gli erano intorno per baciargli la mano, e quando sedeva per le confessioni, tutti - si può dire - cercavano di lui».           Don Rua tace di sé, ma è ovvio che fin d'allora il fascino di don Bosco - il prete dei giovani - l'aveva incantato. Su informazioni dello stesso don Bosco e di don Rua, don Barberis afferma che dal tempo delle elementari, Michelino «scelse don Bosco per confessore e non lo lasciò più fino alla morte». A don Bosco spetta il merito di aver incamminato il giovanetto sulla via del sacerdozio.            «Nel 1850, a tredici anni - informa il medesimo don Rua - dietro consiglio di don Bosco iniziai lo studio del latino per la carriera ecclesiastica e frequentai la scuola dei professori don Merla, Giuseppe Bonzanino e don Matteo Picco, i quali insegnavano ai giovani dell'Oratorio». I Fratelli delle Scuole Cristiane avevano intravisto in Rua un ottimo elemento per il loro Istituto e lo invitarono a restare con loro: non era difficile scorgere in lui la stoffa dell'educatore e il candidato a sante imprese. «Ma egli preferì - annota don Barberis - rimanere con don Bosco». Del resto la stima che don Bosco aveva per quel ragazzo, assiduo a Valdocco, modesto, rispettoso, dalla cui esile figura «traspariva l'incontaminata purezza del cuore» - don Barberis lo sentì dalla bocca del Santo' -, non poteva trarlo in inganno.Si aggiungeva la esemplarità e il successo nello studio. Era tenuto fra i migliori tra i latinisti dell'Oratorio, e il compagno Giovanni Cagliero testimonia della sua correttezza nell'andare e tornare da scuola.Prova l'intuizione di don Bosco sull'avvenire di don Rua il fatto che fin dai primi tempi della reciproca conoscenza, fermandosi con Michelino, il Santo gli prendeva la destra, e volendola come tagliare a metà con la sua, gli diceva che volentieri avrebbe fatto a metà con lui. Un gesto che sembrava giuoco innocente, ed era profezia di un prossimo domani. Michelino sarebbe stato il suo braccio destro, partecipe di ideali, fatiche e santità.            Benché stesse ancora in famiglia con la mamma e i fratelli - lo dichiara Giovanni Cagliero giunto all'Oratorio da Castelnuovo d'Asti nel 1850 - don Bosco aveva affidato a Rua l'incarico di accompagnare e sorvegliare «i primi studenti interni dell'Oratorio» - tra i quali lo stesso Cagliero - nell'andare e tornare da scuola.Cagliero l'aveva conosciuto nell'autunno del '50, mentre era in soggiorno estivo presso la casetta natale di don Bosco. «Per il suo contegno, la sua grazia e semplicità - attesta il futuro cardinale - io ebbi di lui, che si distingueva tra una ottantina di compagni, l'impressione di un giovane altamente virtuoso».'            Don Bosco l'aveva inoltre incaricato «di assistere la domenica i giovani che in numero più o meno di cento convenivano a Valdocco. Durante le confessioni prima della Messa - è sempre Cagliero che racconta - Rua assisteva in cortile quelli che si erano già confessati, e aveva cura che nessuno per sventatezza rompesse il digiuno - allora molto rigoroso - col bere acqua alla pompa. In cappella Rua dirigeva le preghiere; e se, fatta la Comunione, qualcuno si distraeva, ricordo - precisa il Cagliero - che sapeva richiamarlo con soavità al raccoglimento e all'orazione... Insegnava anche il catechismo ai più piccoli: e questo faceva con zelo, pietà e frutto».           In conclusione, fra i tredici e quindici anni, Michele Rua appariva un adolescente meritevole di ammirazione, per la serietà del comportamento, l'impegno negli studi classici, il candore e la pietà della vita cristiana, e il senso dell'apostolato fra i compagni.Portava in cuore il dono della chiamata di Dio, che intendeva seguire, pur se non sappiamo quando abbia fatto la sua scelta personale e irrevocabile. È certo ad ogni modo che da gran tempo guardava al sacerdozio come traguardo della vita.
          In pratica gli bastava lasciarsi illuminare e guidare da don Bosco, nel quale riponeva completa fiducia. E don Bosco, al momento opportuno, decise il suo passaggio dalla Fucina delle canne all'Oratorio di Valdocco e la sua vestizione chiericale. «Nel 1852, a quindici anni e all'inizio del terzo corso ginnasiale - dichiara il medesimo don Rua - ebbi da lui la veste chiericale e cominciai a dimorare nella sua casa: da allora non lo abbandonai più».
 
PRIMOGENITURA SALESIANA           Nessuno avrebbe capito don Bosco quanto don Rua, nessuno lo avrebbe tanto ammirato e imitato. Anzi nessuno, pur restando in ombra, ne avrebbe così efficacemente integrato l'opera ed esteso il suo raggio di azione in paesi, campi e forme nuove.Entrato nell'orbita sacerdotale e apostolica di don Bosco, Michele Rua sentì forte nello spirito la chiamata a essere e a operare come lui. Nessun dubbio o incertezza lambì mai la sua scelta: né allora, né piú tardi.           È gloria purissima e indiscussa di don Rua. Il suo ingresso definitivo all'Oratorio segna in qualche modo l'inizio della storia salesiana. Con lui si mette la pietra angolare dell'istituzione che don Bosco sognava, ma che stentava a gettare radici per mancanza di soggetti aperti ai suoi ideali.Il Santo non lo dichiarava apertamente ma portava dentro di sé un vasto e arduo programma di rinnovamento sociale, partendo dalla gioventù dei ceti meno elevati. Bisognava educarla a vita laboriosa e civile e formarla al senso e alle pratiche della fede cristiana. Mancavano tuttavia i volenterosi che si fermassero con lui, gli dessero fiducia e fossero disposti a correre l'avventura della consacrazione a Dio per seguire e attuare nobili ideali.Occorrevano cioè slancio, distacco dalle comodità, prontezza al sacrificio e a ogni genere di rinunce. Spetta a Michele Rua il primato in ordine di tempo e di incondizionata fedeltà e attaccamento a don Bosco. È una delle componenti essenziali della sua personalità storica e, si direbbe, della sua schietta interiorità.           I primi giovani candidati a restare con lui - nota espressamente don Rua - «non riuscirono». Non arrivarono cioè «alla vestizione chiericale».Sostenuto dal consiglio del direttore spirituale don Cafasso, che lo spingeva a cercare vocazioni ecclesiastiche, don Bosco rinnovò «l'impegno» con quattro giovani i quali il 2 febbraio 1851 subivano felicemente - presso il medesimo don Cafasso - l'esame di vocazione. Anche di essi però nessuno «per ragioni da loro indipendenti» rimase all'Oratorio, sebbene tutti e quattro arrivassero al sacerdozio».           Don Bosco non si lasciò scoraggiare dall'insuccesso iniziale e continuò a guardare in alto, donde gli veniva l'impulso a proseguire, e a scrutare l'animo della gioventù che Dio gli mandava. «Mentre i primi trascelti - prosegue don Rua nella sua rievocazione - continuavano gli studi, don Bosco provvedeva a farli incominciare ad altri, fra i quali io stesso. E così nel 1852 egli ebbe la consolazione di imporre l'abito chiericale a due di essi: a me e al compagno don Rocchietti, che fu parroco a Torino».Il primo stabile conforto e incoraggiamento allo spirito di don Bosco gli venne dunque dal quindicenne Michele Rua, che in tal modo diviene a giusto titolo il figlio primogenito del Santo. Una primogenitura che lo onora e che nessuno potrà contestargli.Francesia e Cagliero, i testimoni più vicini a quegli avvenimenti, dei quali subirono il benefico influsso per lo sviluppo della loro vocazione, ricordano con ampi elogi il compagno che li precedette in un cammino, divenuto la loro strada.Don Francesia, detto che don Bosco invitò Rua a trasferirsi nell'Oratorio, come a casa propria, sul finire «della terza ginnasiale» - nell'estate cioè o nell'autunno del 1852 -, aggiunge: «Ricordo che uno degli aiutanti di allora, mentre gli preparava il lettuccio mi disse 'Questo è veramente buono '».Dal canto suo Giovanni Cagliero informa: «Rua era esemplare tra i compagni: la sua condotta ispirava devozione. Rammento in particolare l'edificazione che ci diede nel 1852, durante gli Esercizi di Giaveno in preparazione alla vestizione chiericale».L'accennata vestizione, che a quei tempi rivestiva solennità e importanza, avvenne il 3 ottobre di quell'anno nella cappella del Rosario che don Bosco aveva sul colle nativo dei Becchi.II prevosto di Castelnuovo d'Asti, teologo Antonio Cinzano, sentendo che don Bosco intendeva circondarsi di chierici e preti - è don Francesia che racconta - scuoteva scetticamente il capo. Ma, invitato a benedire la talare a Rocchetti e Rua, disse al suo antico parrocchiano: «Adesso incomincio a credere quello che mi dicevi».Don Bosco non era un sognatore: camminava coi piedi per terra e Dio era con lui.           Michele era da tutti conosciuto, ed egli conosceva tutto e tutti per l'intimo affetto che da gran tempo lo univa a don Bosco. Non ci furono pertanto sforzi di adattamento: solo impegno di crescente esemplarità.«Ringraziando Dio - afferma egli stesso - fin da giovinetto ero solito accostarmi ai sacramenti più volte all'anno; a partire dai quindici anni - vale a dire dal 1852 - mi confessavo ogni settimana e mi comunicavo spesso. A vent'anni la comunione divenne quotidiana». Facilmente possiamo pensare alla soddisfazione di don Bosco per quel fiore di giovinezza e di virtù che impreziosiva la «casa», come egli chiamava l'Oratorio perché tutti si sentissero in famiglia.           Don Barberis asserisce che, sebbene soltanto chierico Rua godeva di grande ascendente sugli altri per l'esemplare condotta. E riferisce che per suscitare emulazione don Bosco, intorno alla festa di san Francesco di Sales, titolare dell'Oratorio, desiderò avere su un biglietto personale e segreto di ciascuno, «il nome di chi ritenessero il più buono di tutti per dargli un premio». Quasi all'unanimità venne designato Michele Rua, «che fu proclamato degno del premio». Non pare quindi esagerato quanto dichiara Giovanni Cagliero: «Ricordo - egli dice - che don Bosco parlando del chierico Rua ne faceva i più grandi elogi, fino a dire che se egli avesse voluto far miracoli gli bastava chiederli al Signore».           Già prima della vestizione chiericale Rua aveva puntato lo sguardo in alto e scelto il cammino di perfezione. Lo dimostra un particolare degno di nota. Abilmente don Bosco soleva radunare a speciali conferenze gli alunni che gli offrivano speranze per la vagheggiata fondazione. Ne tenne una il 5 giugno 1852, alla quale presero parte quattordici tra i migliori figli dell'Oratorio. In calce al verbale con i nomi dei presenti, Michele Rua scrisse di suo pugno: «O Gesù, o Maria, fate santi coloro che sono elencati in questo foglio».Ciò fa capire come a Valdocco la vita, specie fra gli studenti, scorresse come quella di un piccolo seminario, nell'intento di preparare leve al clero diocesano e all'Opera degli Oratori. Qui si concentra l'impegno e il lavoro di don Bosco negli anni 1850-1860: il tempo classico della giovinezza di don Rua.           Egli depone con giuramento di aver udito don Cafasso che suggeriva a don Bosco: «Per le tue opere è necessaria una Congregazione religiosa... Conviene che abbia il vincolo dei voti e sia approvata dalla Chiesa, e tu possa disporre dei suoi membri».«Don Bosco - spiega don Rua - sul principio manifestava qualche difficoltà ad accogliere l'idea dei voti; persuaso tuttavia dall'autorità e motivazione del Direttore spirituale, cominciò a studiare il modo di venire a capo del progetto. Parlò con qualcuno degli allievi, tra i quali io stesso, e si incominciò a praticare le virtù che formano oggetto dei voti religiosi. Don Bosco - assicura don Rua - ci istruiva nelle conversazioni abituali emediante conferenze».           La presenza a Valdocco del chierico Rua, il suo esempio, la collaborazione che in diverse maniere dava al Superiore dell'Oratorio, il formarsi intorno a lui di un scelto gruppo giovanile, al quale nell'ottobre del '54 si sarebbe aggiunto l'angelico Domenico Savio, permisero a don Bosco di preparare le basi della futura Congregazione.
L'ora decisiva ormai batteva alle porte anche per merito dei giovani, che lo riconoscevano padre e maestro, lo amavano filialmente e dimostravano piena fiducia nella sua intraprendente persona e nel suo apostolato.
          Si può e si deve ora domandare: quando e come si arrivò alla emissione dei voti? E chi fu il primo ad attuare l'ardito esperimento che preparava l'avvenire?Vi è una data sicura che trova conferma da parte dello stesso don Rua.Sei mesi dopo l'ingresso di Domenico Savio all'Oratorio - è don Bosco medesimo che segna i tempi nella biografia del suo primo santo - egli tenne ai suoi giovani l'efficace predica sulla santità. «È volontà di Dio che tutti ci facciamo santi; è facile riuscirvi; un gran premio è preparato in cielo a chi si fa santo». Domenico Savio a volo colse l'inatteso messaggio, che don Bosco gli spiegò e commentò in privato, quale autentico enon improvvisato maestro di santità giovanile.            Ma è legittimo domandarsi: per chi era quella predica singolare e straordinaria, che può sembrare perfino anacronistica, tenuto conto della eterogeneità del pubblico giovanile dell'oratorio?Chi scrive ha la certezza che destinatario primo e principale dell'allocuzione era il chierico Rua, in preparazione ai suoi primi voti privati . I «sei mesi» del Santo vanno dall'ottobre 1854 - il Savio aveva messo piede all'oratorio il 29 ottobre di quell'anno - al marzo del 1855; e il collegamento tra la parola eccezionale di don Bosco e il fatto interiore di Rua sono documentati in maniera da togliere ogni dubbio.Don Angelo Amadei - l'infaticabile e copioso biografo di don Rua - depose nei processi su di lui: «Il giorno 25 marzo 1855, festa dell'Annunziata, mentre Torino festeggiava l'avvenuta proclamazione del dogma dell'Immacolata, il chierico Rua, allora alunno del secondo anno di filosofia, per consiglio e invito di don Bosco, emetteva privatamente nelle sue mani i voti annuali di povertà, castità ed obbedienza, secondo il tenore di vita che da un triennio conduceva all'Oratorio». Luigi Castano
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