Migranti: il diritto di bussare alle nostre porte.

Il provincialismo blocca la speranza, perché marcia contro la storia. È l'ora di liberarsi della categoria del «nemico», che demonizza e criminalizza il forestiero.

Migranti: il diritto di bussare alle nostre porte.

da Attualità

del 02 luglio 2009

«Si tratta di un'invasione dalla quale bisogna difendersi? Oppure i poveri hanno il diritto, appunto perché poveri, di bussare alle porte delle società benestanti?». È l'interrogativo da cui parte la riflessione di Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, pubblicata nel numero di luglio-agosto del mensile gesuita Aggiornamenti Sociali. I problemi dell'accoglienza, i respingimenti e i rimpatri, i fenomeni di xenofobia e razzismo non sono un caso solo italiano, limitato ai tentativi dei migranti africani di raggiungere le coste siciliane di Lampedusa, ma riguardano tutto il pianeta, scosso dalle migrazioni di oltre 200 milioni di vite umane.

 

Si capisce allora quanto sia necessaria «l'istituzione di un ordinamento giuridico internazionale, che stabilisca un'effettiva condivisione di responsabilità tra i Paesi di partenza, transito e destinazione» dei migranti, in modo che «nessuno sia lasciato solo nel gestire le difficili situazioni che inevitabilmente si creano». E se nessuno vuole negare agli Stati l'autorità di stabilire le modalità di entrata e permanenza sul proprio territorio, non si può dimenticare che questa sovranità è vincolata «dalla ratifica dei trattati internazionali e dal rispetto di due principi etici: la tutela della dignità della persona» e la convinzione che «tutta l'umanità, al di là delle distinzioni etniche, nazionali, culturali e religiose, formi una comunità senza discriminazioni tra i popoli, che tendono alla solidarietà reciproca. In sintesi i «diritti umani fondamentali, garanti della dignità della persona, devono essere pienamente assicurati. Analogamente va detto per i doveri, che tutti devono assumersi per garantire la reciproca sicurezza, lo sviluppo e la pace».

 

Abbiamo oltrepassato la soglia del terzo millennio, sono maturi i tempi» perché la diversità sia apprezzata come ricchezza. «Del resto, si sa, - continua Vegliò - il provincialismo blocca la speranza, perché marcia contro la storia. Il fenomeno migratorio sta producendo nuove schiavitù nelle società opulente, spesso senza valori». Diventa allora necessario che istituzioni scolastiche e ecclesiali lavorino sulla formazione dei giovani, su temi riguardanti, «per esempio, la democrazia, i diritti umani, la pace, l'ambiente, la cooperazione e la comprensione internazionale, la lotta alla povertà, il dialogo interreligioso e tutte le questioni connesse allo sviluppo sostenibile». La strada da battere sembra essere quella della «differenza nella comunione»: differenza che diventa ricchezza, «purché ci si liberi della categoria del 'nemico', che demonizza e criminalizza il forestiero».

 

Redazione Aggiornamenti Sociali

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