«Sentiva tutto ma era prigioniero del corpo». Max vittima di un incidente stradale: la madre lo porta a casa malgrado la denuncia di un medico. Alla fine, attorno a Max, ad aiutarlo a muoversi, ad alzarlo, a nutrirlo a frullati con enorme fatica, per 10 anni saranno 50 giovani, tra i 20 e i 21 anni...
Il teatro parrocchiale gremito, nella serata di venerdì, ad Artegna: in centinaia non hanno voluto mancare alla testimonianza della famiglia lombarda Tresoldi che, per 10 anni ha lottato con tutte le sue forze per «risvegliare» il figlio, Massimiliano, da uno stato che i medici avevano definito, allora, «coma apallico», danno indicato da più specialisti, per il suo caso, «senza possibilità di recupero alcuna».
Max, che era presente ieri sul palco, assieme alla mamma Lucrezia e al papà Ernesto, era rimasto coinvolto in uno schianto automobilistico a soli vent'anni, mentre rientrava a casa dalle vacanze, in un caldo giorno d'estate. «L'hanno dato subito per spacciato, facendoci contare le ore - ha detto la madre -, e in quello stato è rimasto, senza mai dar segni di ripresa, per otto mesi, passando da un ospedale all'altro. Alla fine ho capito che lì, isolato, sarebbe morto veramente. E me lo sono portato a casa sentendomi dire dal viceprimario, mentre gli staccavo il sondino naso-gastrico, che se fosse deceduto io sarei stata denunciata. Non me ne importò nulla. Andai avanti per la mia strada, appellandomi ai suoi amici, alla parrocchia, ai volontari del servizio civile del Comune».
Alla fine, attorno a Max, ad aiutarlo a muoversi, ad alzarlo, a nutrirlo a frullati con enorme fatica, per 10 anni saranno 50 giovani, tra i 20 e i 21 anni, di giorno e spesso anche di notte. «Lui continuava a non dare segni di risveglio, ma io non ho mollato - ha detto la madre -. Molti, alla fine, mi commiseravano e mi prendevano per pazza. Il medico mi ha denunciato. Non è stato facile». Poi, il 28 dicembre del 2000, Lucrezia ha un attimo di crollo.
Morto il padre, la donna è sul punto di arrendersi; una sera non ce la fa a fare il segno della croce a Max: «Fattelo tu, se vuoi» gli dice provocatoriamente. E lui, dopo dieci anni, lo fa. Per la prima volta compie un gesto volontario chiaro. Da allora comincia una fase di rinascita: Massimiliano si fa capire bene prima con le mani e poi con l'alfabeto muto. Spiega come, per tutto quel tempo, dal giorno dell'incidente, avesse sentito e capito tutto quello che accadeva attorno a lui, anche ascoltando radio e tivù: ma era imprigionato in un corpo che non poteva comandare, bruciante dal desiderio di far capire che ancora era lì dentro.
«Ci avevano mostrato il tronco di un albero colpito da un fulmine, dalla finestra dell'ospedale, dicendoci che il suo cervello s'era ridotto così. Ci avevano detto che nella sua testa la centralina era saltata e non ci sarebbero più stati cavi per ripararla. Oggi Max sta imparando a parlare con l'aiuto della logopedista e, da quando è "tornato", ama la vita più di prima e il suo senso dell'umorismo si è di molto accentuato. Nella nostra casa non v'è mai stato senso di oppressione, ma solo d'amore e di gioia». Il caso di Max ha ammutolito la sala e posto molti interrogativi sul mistero della vita, della fede e della conoscenza scientifica di una parte tanto misteriosa quale il cervello dell'uomo, e sulla sua capacità di recupero.
Paola Treppo
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