La misericordia è compagna di ogni esistenza, misericordiosa o feroce. Non ha a che vedere soltanto con il sentire, con le lacrime per la nostra sorte o altrui. È un esercizio intellettuale e spirituale di fortezza e sobrietà con noi stessi..
La misericordia inizia dove finisce il disamore per noi stessi. Dove ha luogo il nostro rifiutarlo ad altri; dove la nostra incapacità a chiederla e a restituirla riesce a farsi ancora una volta parola. Nel flusso della miriade dei giorni, attraversati o inconsapevolmente sospinti da essi, indossiamo senza accorgercene abiti misericordiosi, veri o presunti, imbastiti in qualche modo. Dinanzi alle virtù della misericordia, siamo sempre in difetto e debitori: già in ragione di quelle parole che non abbiamo saputo offrire. Quando essa, violata anche nell’istante in cui ne parliamo o scriviamo, si sfrangia in mosse sottili o palesi di crudeltà, indifferenza, intolleranza. Non solo verso il nostro prossimo, ma verso la vita stessa. È lei che, prima di tutto, ci chiede di nutrirla di misericordia, di guardarla con pietà, di incoraggiarla a perdonarci e perdonarla. Le sue radici affondano nei misteri dell’amore: nell’eros, nella filia, nell’agape. La strappiamo distratti. È a esse che non vogliamo tornare, soffermandoci a ripensarle.
La misericordia è compagna di ogni esistenza, misericordiosa o feroce. Non ha a che vedere soltanto con il sentire, con le lacrime per la nostra sorte o altrui. È un esercizio intellettuale e spirituale di fortezza e sobrietà con noi stessi. È segno di nobiltà d’animo sopravvissuta. Pertanto va ridiscussa. Per comprendere quali siano le nuove parole con le quali traduce la sua presenza nelle nostre vite o dalle quali si allontana. Se in questa impresa ci avventuriamo, forse sapremo riscriverla o ritrovarla. Il percorso sarà esso stesso misericordioso. Qualora ci avvedessimo che una condotta più cosciente e responsabile, radicata nelle profondità del nostro esistere, non nelle apparenze, attinge alla misericordia perché aggiunge consapevolezza alle parole spese e non sprecate. Provare dunque misericordia per noi stessi, rifiutarsi di ritenere che la si debba, quasi come un precetto o un dovere , soltanto elargire o pensare per gli altri, è un atto umile. È un banco di prova critico per quell’io che mille volte si è sentito più sicuro di sé elargendo a piene mani generose e caritatevoli offerte. Nell’inettitudine, nella grettezza, nell’inganno delle parole pronunciate. Mai sincere del tutto e tali da indurre spieciosi ripensamenti. Se la misericordia non torna a noi, aiutandoci a indagare che cosa vogliamo farne realmente, se non diventiamo noi stessi i suoi destinatari, nella trasparenza interiore questa volta, e non protetti dalle cortine del perbenismo , difficilmente saremo in grado di amarci quanto pretendiamo di amare il prossimo nostro.
Tratto da: Pierangelo Sequeri, Duccio Demetrio, Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia, Edizioni Lindau
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