Nell'altro siamo a “immagine e somiglianza” di Dio

La sessualità non è uno spiacevole incidente ma è il compimento dell'azione creatrice di Dio. Vedere la sessualità come negativa è errato e significa perdere di vista o misconoscere la pienezza dell'originalità, dell'integrità del disegno di Dio...

Nell’altro siamo a “immagine e somiglianza” di Dio

da L'autore

del 01 gennaio 2002

L’uomo è l’unico essere fatto a immagine e somiglianza di Dio: la sua creazione segna un culmine all’interno dell’intera opera creazionale.

 

I due vocaboli utilizzati sono tselem (immagine; LXX: eikón; Vulg.: imago) e demut (somiglianza; LXX: omoiosis; Vulg.: similitudo). Il primo termine, tselem, significa “calco”, “copia”, “riproduzione”e si dice sovente di “statue” (Nm 33,52; 2Re 11,18; Am 5,26; ecc.). Mentre il secondo, demut, è più astratto e in un certo senso attenua la forza realistica del primo.

 

Al di là delle sfumature di significato dei due termini il problema serio riguarda la portata e l’estensione di quell’idea di immagine che esse congiuntamente esprimono: che cosa significa che l’uomo è a immagine di Dio? In che cosa consiste il suo essere a immagine di Dio?

 

[…] Ciò che è centrale nel nostro testo è che la creazione dell’uomo a immagine e somiglianza di Dio tende a un evento tra Dio e l’uomo.

 

 

 

Dio crea una creatura che gli è conforme cui possa parlare e che lo possa ascoltare: egli decide di creare ciò che deve avere una relazione con lui, con lui che può essere il partner di un rapporto, di un dialogo. Questa è la verità che si deve trovare nell’espressione “a immagine e somiglianza di Dio”.

 

Davanti a Dio non c’è un individuo, ma “adam”, l’umanità, il genere umano: tutta l’umanità è voluta da Dio. Adam ha qui un valore collettivo, tant’è vero che il comando di dominare che gli è rivolto è al plurale: “Dominino”. L’imago Dei è dunque l’essere uomo, è l’uomo capax Dei, capace di realizzare con Dio.

 

[…] Adamo dunque (cioè tutta l’umanità, adam) porta l’immagine di Dio e lo è in virtù di una relazione padre-figlio in cui c’è alterità, ma anche comunione. Portando quest’immagine di Dio nel mondo l’uomo è il sigillo di Dio nel mondo, il suo rappresentante e il suo mandatario, e soprattutto questa immagine non viene mai meno, qualunque sia il peccato che l’uomo può compiere e lo sfiguramento che può conoscere. Anche dopo il diluvio, che ha colpito un dilagare smisurato del peccato, l’uomo conserva questa sua qualità che è più forte del peccato e del male che l’uomo può commettere.

 

[…] L’uomo è dunque creato maschio e femmina: due uguali con una differenza manifesta che è la sessualità. I rabbini si sono chiesti come si componevano nell’uomo il principio maschile e il principio femminile e hanno fatto ricorso al mito androgino per cui l’adam originario sarebbe stato un essere insieme maschio e femmina, bisessuale. Questa lettura rabbinica poteva fondarsi non soltanto sul racconto di Gen 1 in cui si dice che l’adam è creato maschio e femmina, ma anche su Gen 2 in cui la donna è creata separando un lato, un fianco (tsela, meglio che costola) di adam. Questo mito è un prodotto dell’immaginario di popoli e culture in cui è sorto come esplicitazione di un’esperienza psicologica, fisica e sociale dell’uomo. E da questo dobbiamo sapere trarre la verità che rimane: il principio maschile e femminile non sono semplicemente esteriori l’uno all’altro, ma sono aspetti interiori nella stessa persona, uomo o donna che sia, e questo è verificabile al livello biologico. Principio maschile e principio femminile sono compresenti in ciascuna persona e il sesso è determinato dalla predominanza di un fattore dell’uno sull’altro. E questo è un processo che avviene a livello fisico e psicologico. In ciascuno vi è perciò un’unità e nello stesso tempo dualità. C’è unità perché l’uomo è uno, c’è dualità perché questa unità si differenzia in maschile e femminile.

 

È certo che il testo della Genesi è lontano da questo mito, ma la verità che esso esprime va rilevata e mantenuta.

 

C’è una difficoltà radicale dell’uomo a farsi, proprio a partire da questa dualità in lui presente del mascolino e del femminino.

 

Comunque il testo della Genesi vuole sottolineare che l’uomo e la donna costituiscono insieme l’essere fondamentale. Si può parlare di ha-‘adam quando c’è l’uomo e la donna. Passare dall’umano (‘adam) all’uomo (ha-‘adam) significa incontrare l’altro, il partner differente e uscire dallo stadio di indistinzione, di anonimato, per essere visto, riconosciuto, scelto: è il passaggio dell’essere un ciò all’essere un chi. E questa è esperienza fondamentale di ciascuno di noi.

 

L’immagine di Dio non è davvero una qualità accidentale ma costitutiva dell’essere uomo: sia il maschio che la femmina, sia l’uomo che la donna sono essenzialmente costituiti e esistono in quanto immagine di Dio. L’essere immagine di Dio coincide dunque con la stessa creaturalità umana definita interamente e radicalmente come relativa a Dio.

 

Vi è una significativa alternanza tra singolare e plurale in Gen 1,27:

 

Dio creò l’uomo a sua immagine,

 

a immagine di Dio lo creò,

 

maschio e femmina li creò.

 

Un’intepretazione molto diffusa di questo passo vede nella coppia uomo-donna la realizzazione dell’immagine e somiglianza di Dio. Dio creò il maschio e la femmina: dunque non il maschio soltanto, né la femmina soltanto sono immagine di Dio, ma solo l’adam, l’uomo che comprende il maschio (zakar) e la femmina (neqebah). Quindi è la coppia che porta l’immagine e la somiglianza di Dio ed è la realtà che più si avvicina e rappresenta Dio. Ma questa interpretazione rischia di essere riduttiva. Tenendo conto del contesto che mostra non trattarsi di un uomo individuale, ma di un adam collettivo, l’adam del Salmo 8, e tendendo conto che l’immagine-impronta significa innanzitutto la capacità, l’apertura e l’incontro con Dio, credo che l’essere a immagine e somiglianza di Dio significhi innanzitutto che l’uomo è un essere relazionale e con gli altri. E certamente in questa relazione con Dio e con gli altri è centrale la relazione uomo-donna. La relazione con Dio costitutiva dell’uomo non dipende solo dalla fede, è già posta nell’azione creatrice di Dio e nemmeno il peccato con la sua forza devastante può rompere e annullare questa originaria relazione. Infatti dopo la crescita enorme del peccato fino al castigo del diluvio, Dio non ripete la creazione ma la ricorda come realtà ferita sì, ma non cancellata, e su cui dà nuovamente la benedizione.

 

[…] Ma la relazionalità è costitutiva anche tra gli uomini (l’uomo è sé è relazione) e si esprime innanzitutto nella differenziazione sessuale. L’uomo in quanto tale non esiste affatto, ma esiste in quanto maschio e femmina e trova la sua pienezza di senso soltanto nell’essere l’uno con l’altro e l’uno per l’altro dei due. Gli uomini sono immagine di Dio, ciascuno di loro, nell’umanità di cui fa parte e che essi rappresentano, in sé, se sono uniti e se si completano con amore accettando la differenza reciproca. In quanto immagine di Dio l’uomo e la donna esistono come responsabili di fronte a Dio, destinati a essere alleati di Dio.

 

[…] La sessualità non è uno spiacevole incidente ma è il compimento dell’azione creatrice di Dio. […] Vedere la sessualità come negativa è errato e significa perdere di vista o misconoscere la pienezza dell’originalità, dell’integrità del disegno di Dio: la sessualità è in realtà positiva, ma non in se stessa o per se stessa, bensì in rapporto a, cioè come rimando intensivo a Dio.

 

[…] Su questa differenza maschio-femmina non può esserci dunque visione cinica o ascetica negativa perché essa ha rapporto con Dio, ci riconduce a Dio, è creata e vista come realtà molto buona (Gen 1,31) da Dio, ma non ci può neppure essere idolatria perché essa è in rapporto a, sta all’interno dello spazio dell’impronta, dell’immagine e somiglianza.

 

Il patto, l’alleanza tra uomo e donna può quindi essere immagine di quello che Dio stipula con gli uomini: non indifferenziazione, non confusione, ma rapporto tra partners differenti. La sessualità deve essere vissuta come il senso fondamentale di ogni differenza e va riconosciuta come una chiamata alla relazione amorosa e creatrice. Ma se l’alleanza uomo-donna, come la Scrittura ci insegna, è immagine dell’alleanza Dio-uomo, Dio-suo popolo, questo significa che la fedeltà di Dio verso l’umanità in queste pagine della Genesi, nonostante i peccati dell’uomo, implica un’assoluta fedeltà dell’uomo e della donna alla loro relazione d’amore.

 

[…] La coppia umana è veramente feconda se acconsente a vivere la differenza come il luogo possibile dell’accoglienza e del sorgere dell’altro: Dio, il partner nella coppia, il figlio. Non la procreazione in sé è il senso della sessualità, ma in quanto promessa che alla sessualità è collegata, se questa non dimentica il senso dell’immagine, dell’alleanza e della benedizione che essa manifesta.

 

[…] Dio rivela uno stato di negatività nell’uomo: “Non è bene che l’uomo sia solo”. Non si dice che l’uomo è male, che è cosa non buona ciò che da Dio è stato creato, ma si fa emergere uno stato negativo di indigenza, di bisogno, di mancanza che è l’uomo. Questa deficienza non può essere riferimento a Dio: l’uomo necessita di un partner corrispondente e adeguato. Anzi il testo vuole rivelare che la relazione con l’altro è essenziale per la relazione con Dio. […] L’uomo diventa uomo, si umanizza, nella misura in cui conosce e vive l’alterità, la dualità: ecco allora che Dio, riconoscendo in un certo senso che la creazione dell’uomo non è ancora completa, decide di fare per l’uomo un “aiuto contro di lui”. Si pone qui il problema della traduzione dell’ebraico “ezer kenegdo”, letteralmente: “aiuto come davanti a lui”, che già i LXX tradussero in due modi diversi in Gen 2:

 

Gen 2,18: boethòs kat’ autón: aiuto di fronte a lui (cf. Sir 36,24)

Gen 2,20: boethòs ómoios autô: aiuto simile a lui (cf Tb 8,6-7).

[…] Il testo ebraico è però aperto ad un’altra traduzione possibile, che è significativamente attestata proprio all’interno della tradizione ebraica: “aiuto contro di lui”. […] L’alterità uomo-donna comporta una conflittualità, una differenza che crea tensione. […] L’uomo e la donna sono fatti l’uno per l’altro, ma al tempo stesso l’uomo è un problema per la donna e la donna è un problema per l’uomo ed è il quotidiano che fa emergere la differenza conflittuale che abita l’alterità uomo-donna. Questa diversità e questa dimensione conflittuale vanno assolutamente accettate: la via dell’ibrido, dell’unisex, dell’androgino, che appare un dato culturale oggi diffuso, è un tentativo di misconoscere questa alterità che turba e di rimuoverla. Bisogna invece affermare e riconoscere che uomo e donna sono realmente differenti. Il loro reciproco rapporto non può conoscere altra via che quella della sottomissione reciproca, non quella dell’annullamento della differenza e dell’alterità. […] La donna, ma anche il fratello, l’altro uomo, è aiuto perché è anche “contro”.

 

[…] Dio trova che l’uomo non è fatto per essere solo: è uomo veramente quando è in relazione, così come la vita, per la Scrittura, è veramente tale quando la si può condividere e trasmettere.

 

[…] L’uomo abbisogna dell’alterità. A questo punto Dio separa per unire, separa in vista di una comunione e crea la donna dal lato (tsela) dell’uomo (Gen 2,22). La donna è così partner corrispondente dell’uomo e i due sono capaci di completarsi. La donna è tratta dall’uomo, uguale a lui: è la ‘ishshah tratta dall’‘ish (Gen 2,23). Il testo ebraico pone in relazione, con un gioco di parole derivante da un’etimologia popolare, l’uomo e la donna anche al livello linguistico […]. Tuttavia, sembra certo che, mentre ‘ishshah proviene da una radice che significa “essere debole”, ‘ish deriva da una radice che significa “essere forte” o “essere socievole”. Il testo comunque vuol dire che ‘ish e ‘ishshah sono il risultato di una separazione dei lati, separazione che rende possibile il faccia a faccia, la comunione fra i due partners.

Enzo Bianchi

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