Tra le macerie dell'Istituto Salesiano, fosse comuni e piccoli “sciacalli”. Qui i ragazzi avevano un riparo e la possibilità di sperare in un futuro migliore: allontanarsi dalle insidie della strada, studiare e imparare un mestiere, come avviene nelle scuole salesiane sparse per tutto il mondo.
del 20 gennaio 2010
 
PORT-AU-PRINCE- «Povera Haiti, povera Haiti». Sdraiato su un letto dell’ospedale di Santo Domingo, impedito in qualunque movimento, Padre Attilio ci racconta con commozione i suoi lucidi ricordi di quel minuto che il 12 gennaio 2010 ha messo in ginocchio l’isola. Nonostante la situazione in cui è costretto, ci accoglie con grande forza, tipica dei preti di frontiera abituati a confrontarsi con la povertà, la violenza  e l’ingiustizia sociale. Il suo pensiero corre ai circa 300 ragazzi di strada che si trovano nella struttura scolastica dei salesiani, nei quartieri Salina di Port-au-Prince. Il numero è incerto perché il terremoto non fa eccezioni. Qui i ragazzi avevano un riparo e la possibilità di sperare in un futuro migliore: allontanarsi dalle insidie della strada, studiare e imparare un mestiere, come avviene nelle scuole salesiane sparse per tutto il mondo.
Oggi, nella Ombras de Paquenas Escuelas de P. Bohenen de Los Salesianos de Don Bosco, il silenzio è spettrale. I ragazzi e l’anziano sacerdote che con loro ha perso la vita, sono stati seppelliti in una fossa comune vicino alla scuola. Tra le rovine, pagine di quaderni alzate lievemente da un vento caldo. Sedie abbandonate, matite colorate, pagelle ancora pregne d’amarezza o della gioia per i risultati conseguiti, lasciate a terra dal terremoto tra la polvere e i sassi. Una scarpa piccola, troppo piccola per trovarsi abbandonata lì, nel campo di calcio, immancabile presenza nelle strutture ispirate agli insegnamenti di don Bosco.
Macerie su macerie, confusione di piani divelti, e altri bambini e ragazzi che, approfittando dei muri di recinzione crollati, entrano, come sciacalli e prendono di tutto, la riserva dei bicchieri di carta, sedie rotte, stivali abbandonati e quei fogli di carta animati solo dal vento. Nella frenesia del ‘raccolto’ i ragazzi possono su quelle che crediamo essere delle macchie d’acqua stagnanti. «Si tratta del grasso lasciato dai cadaveri» , spiega senza mezzi termini Padre Pierre Lephene, il salesiano responsabile del “Hogar para ninos de la calle”, mentre guarda inerme quei furti, causati da una povertà endemica ad Haiti che precedente al terremoto.
«Basterebbe ricostruire il muro per evitare tanto scempio e aumentare la sicurezza, sempre troppa poca in queste circostanze». Ma i soldi non ci sono. Il governo di Haiti è stato ferito al suo  interno, molti ministri sono morti durante il terremoto, e il palazzo presidenziale è crollato completamente. Il presidente degli Stati Uniti, Barak Obama, ha affidato i primi interventi alla confinante Repubblica Domenicana, ma, nel frattempo, le priorità umanitarie si concentreranno sugli aiuti alimentari e sanitari. «In questa tragedia – continua Padre Lephene –ci commuove la solidarietà che arriva da tutto il mondo». Alla scuola una poderosa squadra della protezione civile, giunta da tutta l’America Latina, sta lavorando giorno e notte sperando di trovare ancora qualcuno sotto le macerie, vivo o morto.
Mani alzate per accaparrarsi la razione di acqua distribuita dai camion in giro per una città trafficata e rumorosa per il fragore degli aerei e degli elicotteri, tendopoli improvvisate sui lati della strada, mentre, nonostante tutto questo, i padri salesiani continuano il loro lavoro, non dimenticando mai che per chi resta la vita continua. E che rimane nei superstiti la capacità di sorridere anche di fronte a tragedie come queste.
La luce del sole arancione che taglia le nuvole scure pronte per il prossimo temporale, l’atmosfera tropicale che induce al sogno e all’allegria, stridono e nello stesso tempo accompagnano i giorni così difficili per una Haiti tanto ferita.    
 
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