Don Salvatore, ucciso da un cancro, ha voluto dire sino alla fine che la morte non ha l'ultima parola...
«Essere prete è bello». Non è raro sentire queste parole da un sacerdote. Ma se a dirle è, dal letto di morte, un giovane uomo di 38 anni appena ordinato prete, la prospettiva cambia.
Don Salvatore Mellone, originario di Barletta, malato di cancro, è salito al cielo lo scorso 29 giugno, solennità dei santi Pietro e Paolo. La sua storia ha fatto commuovere l’Italia. Era stato ordinato sacerdote da poco più di due mesi, il 16 aprile, nella sua casa diventata per un giorno luminosa cattedrale capace di accogliere e contenere la sua sofferenza trasfigurata. Le foto e i brevi video circolati su Internet ce lo hanno mostrato esile, magro, quasi indifeso, ma con occhi raggianti.
E poi quella tenera telefonata a sorpresa di papa Francesco, che ha chiesto per sé la sua prima benedizione. Persino sul web, la vicenda di Salvatore ha unito credenti e non credenti nell’innalzare in vario modo e con linguaggi diversi un pensiero, una preghiera, un incoraggiamento. Viene da chiedersi come sia stato possibile, in una società che misura il valore solo sull’efficienza. Salvatore ci ha detto con la sua vita che compito primario del prete è portare gli uomini a Dio. Non con le parole, ma con la propria carne. Quanti uomini e donne ha portato a Dio, anche per un solo istante, mettendoli in comunicazione con Lui?
Un prete in fin di vita ci ha insegnato cosa conta davvero, riportandoci all’essenziale e a uno snodo cruciale: il rapporto tra la sofferenza e la nostra fede in Dio.
«Salvatore aveva una fede forte nel Signore Gesù e in Maria, trasmessa dalla famiglia», racconta don Ruggiero Caporusso, parroco del SS.mo Crocifisso di Barletta. «In tutto ciò che faceva metteva una carica di passione e di energia unica». Quante volte papa Francesco ci ricorda che la prima evangelizzazione parte dalla mamma, dal papà e dai nonni! Da loro impariamo a chiamare per la prima volta Dio “padre”. Salvatore conosce Dio e lo ama attraverso i suoi cari. Ma c’è una seconda e speciale famiglia: la comunità parrocchiale.
È una comunità viva quella del SS.mo Crocifisso di Barletta: ha accompagnato don Salvatore nel suo cammino vocazionale con la preghiera, stringendosi a lui in un abbraccio nel momento della sofferenza. Salvatore era un educatore amato e seguito, capace di coniare slogan per far ricordare il messaggio evangelico. Don Ruggiero non esita a dire che uno dei suoi insegnamenti è stato quello di spiegare la differenza tra l’essere prete e fare il prete: «Quelle carni, quel cuore, quelle mani che benedicevano erano lo stesso corpo e la stessa fatica di Gesù durante il calvario».
Intelligente, brillante nel pensiero, come testimonia un suo compagno di seminario: «Salvatore era uno studente modello. Aveva frequentato Scienze politiche ed era giornalista. Per chi come me era alle prime armi con lo studio accademico si è rivelato un maestro disponibile e paziente. Esercitava una sorta di carità intellettuale nei confronti di chi aveva bisogno. Quanto sostegno hanno ricevuto i seminaristi stranieri da lui! Quanto dialogo e passione per l’umanità delle persone. Per non parlare dell’interesse che nutriva per il rugby, esattamente come me».
«Oggi mi sento portato sulle spalle da Cristo; da sacerdote porterò la stola con Cristo, per la salvezza del mondo. Anche celebrare una sola Eucaristia per me sarà partecipazione reale al sacerdozio di Cristo». Queste parole di don Salvatore ci mostrano come il dono dell’ordinazione è stato il coronamento di un cammino serio e coerente, nonostante la malattia, a beneficio di tutti. Nello stato di salute in cui era, umanamente poteva fare poco. Ma poteva celebrare l’Eucaristia, «fonte e culmine di tutta la vita cristiana».
C’è un passaggio significativo nel rito dell’ordinazione sacerdotale. Nella consegna del pane e del vino, il vescovo dice al neo ordinato: «Ricevi le offerte del popolo santo per il sacrificio eucaristico. Renditi conto di ciò che farai, imita ciò che celebrerai. Conforma la tua vita al mistero della croce di Cristo Signore». Chi meglio di Salvatore ha vissuto il mistero della croce di Cristo sulla sua persona? Con la sua vita è stato così vicino al Signore quasi fino a baciarlo, e nel suo sorriso ci ha ridonato un frammento di quell’incontro. Dopo l’ordinazione, ha celebrato ogni giorno l’Eucaristia con lo stupore di chi mette nelle mani di Dio la propria vita e quella degli altri, in un eterno abbraccio di amore. Salvatore si è conformato a Gesù e si è abbandonato alla sua volontà. Non chiedeva la grazia della guarigione ma la forza di capire e accettare quella “croce di Cristo” sulla sua vita.
«All’ultimo punto di retta immaginaria giungerò. Perfezione senza limite ti troverò. Ti troverò e mi troverò»: è il testo di una sua poesia, intitolata Est non est. A noi resta, luminosa, la sua testimonianza scritta nella carne. Come un frammento di paradiso ritrovato in terra.
Giuseppe Musardo
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