“Dio parla agli uomini come ad amici”. Il buon Dio ci parla direttamente e molto chiaramente soltanto in rare circostanze; di solito, s'insinua nella nostra anima attraverso ispirazioni, circostanze che fa nascere. Ci parla con parole velate, sottovoce e ci mostra quel che potremmo fare se volessimo compiacerlo. Durante l'ultima Cena Gesù aveva detto ai suoi: “Voi siete miei amici se fate ciò che io vi comando”.
del 04 luglio 2011
 
         In quel tempo Gesù disse: “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio voglia rivelarlo.Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo, infatti, è dolce, e il mio peso leggero” (Mt 11,25-30).
         La Costituzione dogmatica “Dei Verbum”, del Concilio Vaticano II, al n. 2 dice: “Piacque a Dio, nella sua bontà e sapienza rivelare se stesso e far conoscere il mistero della sua volontà, mediante la quale gli uomini, per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito Santo hanno accesso al Padre e sono resi partecipi della divina natura”. Il motivo di tale divina condiscendenza è questo: Dio, essendo pura Bontà e meravigliosa Amicizia, fin dal principio desiderava effondere Se stesso rivelando la propria intimità agli uomini, come fa un amico con l’amico più caro: “Vi ho chiamato amici, perché tutto quello che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi” (Gv 15,15).
         In tal modo, il Padre ha voluto rivelare il suo atteggiamento verso di noi, vale a dire: “così come Egli è” per noi (1 Gv 3,2).
         Continua, infatti, la “Dei Verbum”: “Con questa rivelazione, Dio invisibile, nel suo immenso amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi per invitarli ed ammetterli alla comunione con sé” (n. 2). Rivelazione meravigliosa anche se (apparentemente!) lontana: com’è possibile e sperimentabile una simile condiscendenza tra l’infinito Creatore del mondo e l’infinitesima sua creatura?
         Certo, ai bambini si può far credere di tutto, come una lettura superficiale delle seguenti parole porterebbe a concludere: “..hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli” (Mt 11,25); ma sicuramente non è questa immatura semplicità che Gesù intende qui lodare.
         E allora,chi sono questi “piccoli”? Possiamo essere “piccoli” anche noi “grandi”? La risposta è certamente affermativa; infatti, dall’accostamento dei testi citati, risulta chiara l’equivalenza tra gli “amici” di Gesù e i “piccoli” cui il Padre si compiace di rivelare suo Figlio.
         Amore ed amicizia, amore di amicizia: la Rivelazione di Dio-Amore instaura un rapporto di ineffabile, misteriosa, amicizia tra Dio e l’uomo, assolutamente reale dato che Dio e l’uomo si sono realmente uniti nel Verbo incarnato, senza confusione, senza separazione, “amicissimamente”. L’Incarnazione viene dalla volontà del Padre di aprire totalmente Se stesso agli uomini peccatori, come “ad amici”.
         La Rivelazione è quindi un evento di amicizia, e Gesù, oggi, ce lo fa comprendere proprio a partire dalla nostra comune esperienza al riguardo.
         Infatti, a chi apro il mio cuore, se qualche volta rivelo me stesso? A chi confido il segreto del mio mondo interiore, a chi faccio varcare la soglia sacra della mia coscienza, se non ad un vero amico? Questa è il comportamento umano, familiare a tutti, e sappiamo che è questo valore di profonda confidenza e fiducia che da’ all’amicizia la sua particolare bellezza e preziosità. Essere amici significa aprirsi l’uno all’altro, accogliere l’altro come se stesso, farsi l’uno dono per l’altro. Effondersi, come si effonde Dio, il “Totalmente Altro”.
         Ma la condiscendenza del Dio trascendente, quando si rivela all’uomo, è una condiscendenza che tende all’immanenza, a porre “la sua tenda in mezzo a noi” (Gv1,14), cioè a raggiungere le viscere dell’essere ponendovi stabile dimora: “Rimanete in me, e io in voi” (Gv 15,4). Ciò non annulla la trascendenza di Dio, né la fa sentire estranea alla creatura, dato che “..esiste nella profondità del nostro cuore, questo desiderio di vedere Dio, di cercare Dio, di essere in colloquio con Lui e di essere suoi amici. Questa è l’amicizia che è necessaria per noi tutti e che dobbiamo cercare, giorno per giorno, di nuovo” (Benedetto XVI, Catechesi su S. Teresa di Gesù, 2 febbraio 2011). L’impegno da rinnovare ogni giorno è quello della fedeltà e della perseveranza nella preghiera, la quale è il rapporto vivo di amicizia con Cristo, per Cristo e in Cristo, del tutto simile alla relazione del bambino con la mamma nel grembo, avvolto com’è dal calore del suo amore fin dal primo istante di vita.
         Torniamo alle parole di Gesù: “nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre, se non il Figlio..” (Mt 11,27). Esse equivalgono a queste: “nessuno conosce il bambino se non la sua mamma, e nessuno conosce la mamma se non il suo bambino”. Comprendiamo facilmente che una simile conoscenza non dipende dall’intelligenza, ma ha a che fare con la gioia del cuore; non viene dalla scienza teologica, ma è legata all’appartenenza; non è scontata in forza del Battesimo, ma è premio di un’autentica amicizia con il Signore: “...e colui al quale il Figlio voglia rivelarlo” (Mt 11,27).
         E’ precisamente questa la conoscenza del Padre che Gesù promette oggi ai suoi piccoli=amici. Come diventarlo? Si tratta di quell’atteggiamento profondo che chiamiamo “infanzia spirituale”, già inscritto nel cuore dei bambini, ma per lo più perduto in quello dei grandi, ai quali perciò spetta il compito di lasciare che la grazia di Dio lo rigeneri: “Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite e umile di cuore” (Mt 11,29).
         Benedetto XVI ha spiegato bene il senso di queste parole: “ il distacco dai beni, o povertà evangelica, e questo concerne tutti noi; l’amore gli uni per gli altri come elemento essenziale della vita comunitaria e sociale; l’umiltà come amore alla verità; la determinazione come frutto dell’audacia cristiana; la speranza teologale come sete d’acqua viva” (idem).
         Ed ecco infine cosa vuol dire (oltre l’ovvio riferimento alla Sacra Scrittura) che “Dio parla agli uomini come ad amici”: “Il buon Dio ci parla direttamente e molto chiaramente soltanto in rare circostanze; di solito, s’insinua nella nostra anima attraverso ispirazioni, circostanze che fa nascere. Ci parla con parole velate, sottovoce e ci mostra quel che potremmo fare se volessimo compiacerlo” (padre Maria-Eugenio di Gesù Bambino, Voglio vedere Dio).
         Durante l’ultima Cena Gesù aveva detto ai suoi: “Voi siete miei amici se fate ciò che io vi comando” (Gv 15,14), ed ecco che Egli stesso, nella conoscenza amorosa donata ai suoi amici, mostra alla volontà la scelta da Lui desiderata, come si mostrano le noci ad un bambino. Così veniamo attirati a Lui e tutto è facile.
         Conoscere il Padre significa conoscere la volontà del Padre (“ciò che io vi comando”) e farla. E’ il Figlio che la rivela, attraverso ispirazioni e circostanze che fa nascere giorno per giorno.
Angelo del Favero
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