I Babbo Natale riempiono le strade di New York, naturalmente addobbata da grandi alberi di Natale, da luci e decorazioni natalizie... Sembrerebbe tutto architettato per una “Guerra contro il Natale", quello vero! ..Ma un Presepio della Trentesima Strada apre una speranza...
del 17 dicembre 2010
          Gli ultrà del secolarismo vogliono mettere in discussione la più popolare festa cristiana ma intanto sulla 30esima strada… spunta un presepe           “Sì, Virginia, Babbo Natale c’è”: questo il titolo dell’editoriale (o, come si diceva una volta, “articolo di fondo”) più famoso mai scritto in America. Correva l’anno 1897: un quotidiano di New York, The Sun, pubblicò l’articolo il 27 settembre e continuò a ristamparlo ogni anno fino a quando non cessò le pubblicazioni nel 1949.          L’autore era Francis P. Church, uno scrittore consegnato per sempre alla gloria delle Scuole di Giornalismo per il suo ispirato messaggio. L’articolo era la risposta ad una lettera al direttore di una bambina di otto anni, Virginia O’Hanlon. La piccola Virginia voleva risolvere il dubbio su Babbo Natale che le avevano fatto venire le compagne di scuola. O gran bontà delle Virginie antiche! Ma perchè occuparci di un articolo del 1897, di più di cent’anni fa?  Perché, mai come quest’anno, il tema è d’attualità.           La “Guerra contro il Natale” imperversa a New York e nel resto degli Stati Uniti. Potenti organizzazioni secolariste sostengono che i simboli natalizi violano la separazione fra Stato e chiese voluta dalla Costituzione perchè hanno un carattere più o meno apertamente religioso e quindi vanno aboliti. Così la guerra contro il Natale è la prima linea di una guerra più vasta: la guerra contro la religione.           Dall’altra parte si fa un’azione di contenimento, cercando di celebrare il Natale ma non troppo. Un sistema è quello di riesumare delle curiosità storiche - la storia di Virginia O’Hanlon, appunto - o inalberare scritte che inneggiano a pace e gioia non ben definite, o chiamare l’Albero di Natale l’Albero dell’Amicizia. Un altro sistema è quello di puntare sui regali, sul consumismo: non c’è opposizione all’aspetto commerciale del Natale. Sono bizantinismi che possono sembrare strani a noi italiani, che pure siamo maestri nel cercare il pelo nell’uovo. Ma da noi il Natale è rimasto spensierato, ingenuo. In America si va da un cavillo all’altro. L’anima del Paese si inaridisce, si burocratizza sempre di più.  O siamo già arrivati al fondo?          A New York vale sempre il vecchio detto business is business, gli affari sono affari. Sono i negozianti quelli che curano gli addobbi e i negozianti, per amore del business, si sono adeguati. Macy’s, che si proclama “il negozio più grande del mondo”, e infatti occupa dieci piani e quattro isolati come il nostro Ministero delle Finanze, ha messo Virginia O’Hanlon in vetrina. In cartone, plastica e pupazzi, c’è tutto: la casa di Virginia, le strade di New York nel 1897, la redazione del Sun, con le macchine da scrivere, i redattori con la visierina paralampada, le mezze maniche nere, che si muovono in mezzo alle scartoffie. Sul vetro, in sovrimpressione, c’è l’articolo. La gente si ammassa da una vetrina all’altra. Bambini in prima fila. Bello? Commovente? Fino ad un certo punto.           Sull’altro lato di Macy’s c’è un’enorme scritta luminosa alta vari piani: Believe (“credere”). Ma credere in che cosa? In Babbo Natale, come Virginia? Dieci anni fa Macy’s non avrebbe mai inalberato una scritta così. Magari con altre luci gigantesche, avrebbe semplicemente augurato “Buon Natale”. Ma dieci anni fa non era ancora scoppiata la guerra contro il Natale, mentre ora ci siamo dentro in pieno. È facile immaginare che Macy’s abbia fatto ricorso all’alibi di una ricostruzione storica per non dar fastidio a nessuno. E qui bisogna aprire una parentesi linguistica. L’italiano “Natale” significa “nascita”. È una parola “neutrale”.           L’inglese Christmas contiene la parola Christ, “Cristo”. Apriti cielo! Vuol dire “Messa di Cristo”. Dire Merry Christmas offenderebbe chi cristiano non è, quindi non si può dire. La guerra è cominciata prima di Obama, ma certo Obama col suo programma di “cambiare radicalmente l’America” gli ha dato una bella spinta. La signora Obama, poi, ci ha messo un carico da undici, proclamando, ai tempi della campagna elettorale, che “bisogna rinunciare alle nostre tradizioni”.           Mentre la Festa del Ringraziamento si presta poco alle polemiche perchè è basata su fatti storici abbastanza recenti (l’abbiamo visto in un nostro articolo di novembre), una ricorrenza come il Natale, imbevuta di religione e di leggende, si presta agli attacchi della miriade di fanatiche associazioni secolariste. Così i negozianti di New York che vogliono evitare ad ogni costo le spese dei tribunali, per non sbagliare, hanno tagliato visibilmente gli addobbi di Natale che chissà come avrebbero potuto essere interpretati. Per carità, non vogliamo scoraggiare i turisti. New York è sempre sfolgorante ma chi a New York ci vive non può non notare una festività in tono minore.          Ma l’Albero di Natale più famoso del mondo - in America i superlativi si sprecano – quello no, non ha subito un calo di popolarità. Parliamo dell’Albero di Natale del Rockefeller Center, il Centro degli Uffici con in mezzo una pista di pattinaggio, nel cuore di Manhattan. Alto 25 metri, l’Albero è una piramide di luci sui volteggi dei pattinatori. Scelto in base a una selezione, come si fa per Miss America, l’abete di quest’anno proviene da un paesino vicino a New York. Era nel giardino della locale stazione dei pompieri che hanno considerato un onore regalare il proprio abete alla Città di New York, dove sarà ammirato, da qui a gennaio, da milioni di persone. Intorno, i discreti (per New York) addobbi di quest’anno. Sanchs, un grande magazzino molto simile a Macys, dirimpettaio dell’Albero, è coperto di neutrali fiocchi di neve luminosi.           Le vetrine non sono più quelle di una volta con Babbo Natale che dondolava dal camino. Ma la gente fa lo stesso la fila per comprare i regali con lo sconto. In una strada laterale una fila di materassi con la gente sopra con le coperte addosso. Ma non sono senzatetto. È venerdì sera e la fila è per i biglietti di uno spettacolo che saranno in vendita alle sette della mattina dopo. Un po’ più in là, altra fila, ma in piedi: “Siamo un gruppo della Pennsylvania. Siamo venuti a vedere l’Albero. Aspettiamo il pullman per tornare a casa”, dice una signora. Fila anche dietro l’angolo. “Questa panetteria ha le ciambelline calde”, è la spiegazione. Stasera tutta New York è in fila per un po’ di gioia. Musichette emanano qua e là.  Ma niente Silent Night.           Jingle Bells va molto perchè non è compromettente. Tra i regali floreali vanno molto le poinsette (non sia mai chiamarle “Stelle di Natale!”) che “fanno Natale” ma non sono un indizio. “Soldati” dell’Esercito della Salvezza scampanellano qua e là chiedendo un obolo. Ma non sono vestiti da Babbo Natale. Anche Babbo Natale ha una vita difficile. Forse i famosi secolaristi hanno intuito che, sotto sotto, la religione c’entra anche con Babbo Natale.          E anche qui bisogna aprire una parentesi linguistica. Babbo Natale, infatti, in inglese, è Santa Claus. Santa Claus indica il cammino di una parola. Andiamo a ritroso: inglese, Santa Claus; olandese, Sinterklaas; italiano, San Nicola, il nostro San Nicola, San Nicola di Bari! Nel 300 d.C. Nicholas era Vescovo di Myra, nell’attuale Turchia, e morì in odore di Santità. Nel 1087 dei marinai baresi ne trafugarono i resti e li portarono nella loro città. Bari eresse una magnifica basilica a lui dedicata. I pellegrini accorsero da tutta l’Europa. Il culto di San Nicola si diffuse. Nei secoli successivi San Nicola perse l’aspetto di Vescovo e diventò un simpatico vecchione dalla lunga barba che, secondo la tradizione, distribuiva regali e dolciumi ai bambini nel giorno della sua ricorrenza liturgica (6 dicembre). Gli emigrati olandesi lo portarono in America. Era nato Santa Claus, che non ha traduzione in italiano. Per noi Santa Claus è Babbo Natale.          Come si fa a negare Santa Claus ai bambini americani? Macy’s non ci ha provato nemmeno, anche se l’ha messo in soffitta, al nono piano: Sì, Virginia, Santa Claus c’è. Qui c’è Santa Claus in carne ed ossa, un vecchio con le guance rosse rosse (un grappin?), che prende i bambini sulle ginocchia e si fa dire all’orecchio cosa vogliono per Natale. Intorno, un mare di giocattoli, di slitte, di renne di plastica, di neve finta e la cassetta della posta indirizzata a Santa Claus, Polo Nord, a cui le Poste Americane hanno l’obbligo di rispondere. E poi ci sono gli aiutanti di Santa Claus: commessi e commesse vestiti da elfi che regolano l’inevitabile fila, ti fanno la fotografia con Santa Claus, e ti augurano, senza tante storie, Merry Christmas che, invece, in certi negozi, è proibito.          Ma che ne è del vero simbolo del Natale, il Presepio? Per carità, a costruire in un luogo pubblico una cosa così sfacciatamente religiosa, c’è da finire in galera o, per lo meno, davanti alla Corte Suprema. Il Primo Emendamento, del 1791, della Costituzione Americana stabilisce che “il Congresso non può emanare alcuna legge volta all’istituzione di una religione o al regolamento della medesima”. Secondo i secolaristi questo vuol dire che nessuna religione può essere esercitata in un luogo pubblico, esercizio che sottintende la protezione dello Stato. Gli altri dicono che, al contrario, questo significa che è lo Stato che deve astenersi da qualsiasi interferenza con l’esercizio della religione, luogo pubblico o no. Proprio sotto Natale le argomentazioni sono arrivate ai ferri corti.          Ma c’è anche chi tira dritto per la sua strada. La strada, in questo caso, è la Trentesima Strada ad Astoria, un quartiere di New York di coppie giovani, che non si possono permettere Manhattan. Presso la Parrocchia di San Giuseppe, su una piattaforma proprio accanto alla porta della chiesa, troneggia un bel Presepio, con la Madonna, San Giuseppe, il bue e l’asinello (il Bambino ancora non è nato), e la stella cometa. È sul marciapiede: luogo pubblico. Le mamme coi bambini si fermano. Si fermano anche delle donne musulmane col velo (ce ne sono un po’ nel quartiere). Nessuno si scandalizza. E il Parroco non ha paura del Primo Emendamento? Non siamo riusciti a parlargli ma pare proprio di no. È italiano e dice Messa in italiano. Forse è per questo. Forse sottoscriverebbe le esortazioni del giornalista del Sun a Virginia un secolo fa, anche se lui parlava di Babbo Natale e non del Presepio…           “Non lasciarti influenzare - scrisse il giornalista alla bambina - dallo scetticismo di un’epoca scettica”, perchè “l’amore, la generosità, la fedeltà esistono davvero. Ci danno bellezza e gioia e senza di loro le nostre esistenze sarebbero prive della poesia che le rende tollerabili”.           Anche il Presepio della Trentesima Strada è bellezza e gioia e chissà che non sia il primo segno di riscossa del “vero” Natale.Lilia Lodolini
Versione app: 3.25.0 (f932362)