Bosnia Herzegovina, terra d'Europa a rischio “islam integralista”.
del 28 novembre 2008
L’ultimo caso è quello di un processo giudiziario contro ex mujaheddin islamici combattenti nella guerra degli anni Novanta, oggi “felicemente” integrati nell’apparato statale bosniaco: tale procedimento penale è stato insabbiato dalle autorità di Sarajevo. Secondo alcuni osservatori, quelli che un tempo, in nome del jihad, combattevano contro i cristiani serbi e croati oggi operano sottotraccia per imporre con la violenza la supremazia coranica nel cuore dei Balcani.
 
«Nel mio paese non esistono diritti umani uguali per tutti, i cattolici sono di-scriminati sia dai serbi che dai musulmani. E la comunità internazionale (leggi Onu, ndr) non fa niente, anzi: i militari, su comando dei politici, irrompono nelle nostre scuole dove si insegna la tolleranza tra le diverse religioni». La denuncia è di quelle autorevoli, viene da Vinko Puljic, arcivescovo cattolico di Sarajevo dal gennaio 1991, pochi mesi prima dello scoppio del sanguinoso conflitto. Quando a 49 anni ricevette la sua nomina a cardinale nel 1994, segno di affetto di Giovanni Paolo II per la città assediata dai cecchini, Pu-ljic diventò il porporato più giovane di tutto il collegio cardinalizio. Nei giorni scorsi l’arcivescovo di Sarajevo è stato ospite del Centro Papa Luciani di Belluno. Tempi lo ha intervistato sulla situazione “dimenticata” dei cattolici in Bosnia.
 
Eminenza, recentemente il vescovo di Banja Luka, monsignor Franjo Komarica, ha denunciato che solo il 2 per cento dei cattolici di Bosnia esuli per la guerra sono potuti ritornare alle loro case. Qual è la situazione dei cattolici nel vostro paese?
Grazie per la domanda. Dopo gli accordi di Dayton, la Bosnia è stata divisa in due zone, una repubblica in cui è tutto in mano ai serbi, e un’altra interetnica, dove ci sono Sarajevo e Banja Luka. Nella prima repubblica, su 220 mila cattolici presenti prima dei combattimenti, oggi ve ne sono solo 12 mila. Perché? Il governo serbo non dà sicurezza a chi vuole tornare. Ci sono gravi problemi dal punto di vista burocratico e delle infrastrutture: mancano le case per chi vuole rientrare. Di tutti i programmi di aiuto di carattere internazionale stabiliti per questa zona, nessuno è andato a vantaggio dei cattolici, ma solo dei serbi (ortodossi, ndr) che sono al governo. Ho denunciato questo fatto anche a livello internazionale, ad esempio al governo austriaco. Il ministro degli Esteri di Vienna mi ha detto che sbaglio e che loro hanno dato 7 milioni di euro per chi vuole tornare. Ma ho replicato: grazie, ma mi si dimostri che con quei soldi è stata costruita una sola, anche una sola casa per i cattolici! Io, come tutti i vescovi di Bosnia, grido che mancano i diritti fondamentali uguali per tutti.
 
E sul versante musulmano?
In ogni città dove i musulmani sono la maggioranza (Sarajevo, Tuzla, Srebenica, dove gli islamici sono l’85 per cento della popolazione), i diritti non sono uguali per tutti. I musulmani possono costruire ovunque le moschee che vogliono, ne hanno fatte più di settanta dalla fine della guerra. Noi cattolici è da nove anni che chiediamo di costruire una chiesa. Qui c’è anche una responsabilità della comunità internazionale, che non vuole fare pressioni perché si arrivi a una vera situazione di uguaglianza. Le faccio un esempio. In un comune vicino a Sarajevo, Ilija, dove prima della guerra c’era una grande comunità cattolica, abbiamo presentato le carte per ricostruire le case, ma non ci sono stati concessi i permessi. Persino a livello di investimenti industriali si assiste a discriminazioni contro i cattolici: vengono dati subito i permessi di costruire ai musulmani, non ai nostri.
 
E lei come si spiega questa situazione di discriminazione?
Durante il conflitto la Chiesa cattolica è stata l’unica organizzazione stabile. Mentre tutto era distrutto, i miei preti si sono dimostrati coraggiosi e pronti a dare aiuto a chiunque. La Chiesa cattolica va avanti da sola senza appoggiarsi a questo o quel potere, e questo non è gradito alla comunità internazionale e al governo di Sarajevo. Noi siamo liberi perché durante i bombardamenti aiutavamo tutti quelli che erano nel bisogno, per lo più musulmani, con cibo e medicine. Le nostre scuole oggi sono aperte a cattolici, ortodossi, musulmani e atei, perché vogliamo educare i giovani alla tolleranza. Ma la politica locale e la comunità internazionale non vogliono questo processo. Anche i militari internazionali (i caschi blu, ndr) sono entrati nelle nostre scuole per dire che quello che facciamo non va bene. Certo, non sono i militari che vogliono questo, io ho ottimi rapporti con i comandanti e i carabinieri, ma loro obbediscono ai politici che hanno il potere.
 
Come valuta il recente primo incontro del Forum cattolico-islamico in Vaticano? A capo della delegazione musulmana vi era proprio il gran muftì di Bosnia, lo sceicco Mustafa Ceriç.
Il risultato non è grande, ma è molto importante lavorare per il dialogo perché non c’è alternativa. Bisogna sempre creare un clima che assicuri la stabilità per il futuro. Anche noi a Sarajevo, periodicamente, otto-nove volte all’anno, facciamo delle riunioni come capi religiosi ebrei, ortodossi, cattolici e musulmani su alcuni temi. Ma i problemi devono essere risolti dalla politica: io lavoro per creare uno Stato bosniaco in cui i cattolici siano liberi.
 
Sulla base della sua esperienza di pastore in un paese a maggioranza islamica, cosa manca ai risultati del Forum?
Bisogna chiedere ai musulmani il concetto di reciprocità. Gli islamici in Europa trovano il rispetto dei loro diritti, quindi è necessario garantire gli stessi diritti ai cristiani nei paesi musulmani. Come vivono i cristiani in Turchia, in Iraq, in Iran, in Pakistan e anche in Bosnia? Quando giungono in Europa, i musulmani costruiscono le loro moschee, a Colonia, Roma, Vienna… Quando è stata costruita l’ultima chiesa in Turchia? Il governo di Istanbul vuole entrare nell’Unione Europea, ma quando ha permesso l’ultima costruzione di un edificio cristiano? Inoltre bisogna rispettare la libertà di coscienza. Quando un musulmano riceve il cristianesimo, tutti, a cominciare dalla famiglia e dalla società, diventano suoi nemici.
 
Come vive oggi la Chiesa in Bosnia?
Continuiamo il nostro lavoro pastorale con i preti, le scuole, la Caritas, seppur tra tante croci, ma questa è la nostra vita. Sono molto grato ai nostri sacerdoti, religiosi e religiose, davvero coraggiosi: grazie a Dio abbiamo ancora vocazioni e famiglie molto religiose. Ma i cattolici d’Europa devono essere più vicini ai cattolici bosniaci: tra Sarajevo e Roma vi è poi solo un’ora di aereo! Devono impegnarsi, perché in Bosnia i diritti umani non sono uguali per tutti.
 
Lorenzo Fazzini
Versione app: 3.25.0 (fe9cd7d)