Testimonianza al meeting di Rimini di Antranig Ayvazian, capo spirituale degli armeni cattolici dell'Alta Mesopotamia, Siria del Nord.
«Se gli stranieri che combattono in Siria se ne andassero, in 48 ore tornerebbe la pace. Noi cristiani siamo tornati a un’epoca catacombale». Così descrive durante l’incontro conclusivo della XXXIV edizione del Meeting la situazione del paese mediorientale, che da oltre due anni è martoriato da una guerra civile che ha fatto oltre 100 mila morti e due milioni e mezzo di profughi, Antranig Ayvazian, capo spirituale degli armeni cattolici dell’Alta Mesopotamia, Siria del Nord. «Tutte le nostre chiese in diverse città della Siria sono distrutte, i fedeli vengono da me nella notte per ricevere i sacramenti».
UN PAESE TOLLERANTE
«Io sono nato in Siria», racconta padre Antranig, «e durante l’infanzia andavo a scuola e a messa insieme a musulmani ed ebrei. Il nostro paese è sempre stato aperto ed accogliente e il più bel ricordo che ho della mia infanzia è quando arrivava la Pasqua ebraica, perché un amico di mio fratello veniva a casa e ci portava il pane azzimo, che noi mangiavamo in quantità». Poi, nel 2011, è cominciata la Primavera araba, «il caos creativo», che ha colpito anche la Siria. «Dicono che nei nostri paesi ci sono tante giustizie ed è vero. Ma io chiedo: dove non ci sono? E ora siamo qui a domandarci: dove sono i nostri sacerdoti e vescovi rapiti? Nessuno lo sa. Che cosa fa l’Onu per noi?».
«ESTIRPARE GLI INFEDELI»
Mentre padre Antranig racconta degli estremisti e dei terroristi legati ad al-Qaeda che combattono in Siria mostra foto di chiese distrutte e di statue decapitate. «Ne ho incontrati diversi di loro, gli ho chiesto che cosa volevano da noi, non parlavano neanche arabo, e mi hanno risposto: “Ci è stato affidato il compito di riportare queste terre all’islam. Dobbiamo uccidere e distruggere per estirpare da questo paese gli infedeli”». E ancora: «In una delle città dove prima vivevamo hanno distrutto tutte le chiese, l’aula dedicata ai giovani è diventata un tribunale della sharia. Qui hanno processato una crocifisso di metallo e l’hanno distrutto».
PROCESSO ALLA MADONNA
Particolarmente impressionante la descrizione del processo da parte degli estremisti islamici a una statua della Madonna: «Siccome non era interamente ricoperta dal velo l’hanno giudicata colpevole e fucilata. Poi, visto che l’hanno considerata un’immagine idolatra, l’hanno decapitata». Già 562 mila cristiani hanno lasciato la Siria «e non sanno dove andare». I rifugiati, soprattutto in Libano, vengono soccorsi anche grazie al sostegno di Aiuto alla Chiesa che soffre, come ricordato da Massimo Ilardo, direttore italiano dell’opera pontificia: «Dall’inizio del conflitto abbiamo dato un milione e 100 mila euro ai siriani in difficoltà, quasi quanto all’Iraq in dieci anni. Noi aiutiamo i vescovi e offriamo sostegno economico attraverso le diocesi. Io dico a tutti, però, che oltre al sostegno economico serve il sostegno della preghiera, perché se c’è una cosa che tutti ci chiedono è questa: “Pregate per noi”».
L’AIUTO DEI GESUITI
La guerra in Siria ha anche creato «tre milioni e mezzo di sfollati dentro il paese che non sanno più dove vivere. In generale c’è un’emergenza lavoro e i cristiani, essendo i più deboli, soffrono più di tutti gli altri siriani». Ad aiutarli a sopravvivere c’è il Jesuit Refugee service, il cui responsabile per Medio Oriente e Nord Africa, Nawras Sammour, è intervenuto all’incontro: «Siamo al servizio di 17 mila famiglie tra Damasco, Aleppo e Homs. Facciamo servizio di mensa e assistenza medica per oltre 12 mila persone. L’80 per cento di quelli che aiutiamo sono musulmani, il restante cristiani. Purtroppo oggi i gruppi radicali ed estremisti hanno più armi e sono i più forti ma finché c’è Dio non possiamo dire che tutto è perduto, il cristianesimo è l’avventura della croce».
«LA CROCE VINCERÀ»
Fa eco alle sue parole ancora padre Antranig: «Giovanni Paolo II, facendo visita al paese, ha detto: “È Dio che protegge la Siria”. Noi cristiani dobbiamo essere testimoni della verità, la croce vincerà alla fine. Ecco perché non abbiamo paura, torneremo qui perché amiamo questa terra e la piangiamo, sappiamo di essere martiri ma qui abbiamo il nostro unico rifugio. Abbiamo fede e preghiamo per la Siria perché come dice il Papa “Credere è affidarsi a un amore misericordioso”».
Leone Grotti
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