Noi e loro: figli e genitori

La maggior parte degli adolescenti indossa più personalità a seconda che si trovi a giocare il ruolo di figlio, studente, membro di un gruppo parrocchiale. Gli adulti spesso lamentano la difficoltà di comprendere i giovanissimi, perché hanno di fronte a sé persone acerbe e fluttuanti...

Noi e loro: figli e genitori

da Quaderni Cannibali

del 07 febbraio 2012 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 

La figlia: Smascherati dall’amore

          Gli psicologi ripetono spesso che tutti, nella società in cui viviamo, tendiamo, più o meno consapevolmente, ad indossare delle maschere ed aggiungono che questa tendenza appare più marcata durante l’adolescenza, quando l’inquieta ricerca di un’identità non ancora matura e definita, spinge ad esplorare diverse versioni del “sé”, a sperimentare stili, linguaggi e atteggiamenti differenti, nel tentativo di individuare quelli più aderenti al proprio “io”.

          La maschera esprime, infatti, il desiderio di essere diversi, di nascondere quel che si è, di celare quella parte di se stessi che si fa più fatica ad accettare. Ma può anche essere un modo di svelare aspetti inediti della propria personalità, di dar voce alla parte più autentica e vera dell’io, che spesso, per paura, imbarazzo o timidezza, gli adolescenti non riescono a manifestare, se non protetti dietro lo schermo rassicurante di una maschera.

          Ed ecco, dunque, che tanti ragazzi e ragazze diventano esperti nel fabbricarsi la maschera più adatta ad ogni situazione: una per quando sono a casa, una per la scuola, una per risultare simpatici e divertenti quando sono con gli amici. E ancora, una per quando sono imbarazzati, una per nascondere con cura i momenti di tristezza e di fragilità, una per sentirsi uguali agli altri quando sono in gruppo e tante e tante altre da indossare persino quando sono da soli con se stessi, nella speranza di trovarne almeno una che li faccia sentire davvero a proprio agio.

          In alcune culture, una delle funzioni della maschera è quella di rendere irriconoscibile chi la indossa per proteggerlo dagli spiriti maligni e per infondergli forza e coraggio nelle prove della vita. Ma non è, forse, la medesima funzione che gli adolescenti attribuiscono alle tante maschere che portano quotidianamente e che sembrano cambiare con estrema disinvoltura, a seconda del contesto in cui si trovano e delle persone con cui si relazionano?

          Certo, per gli adolescenti di oggi, gli spiriti maligni sono altri rispetto a quelli delle culture tradizionali. Essi incarnano ciò che più fa loro paura: il timore di essere giudicati, di essere feriti, di non essere accettati, e amati, semplicemente per quello che sono. Da cui il bisogno, per vincere l’insicurezza e sentirsi meno indifesi e vulnerabili, di nascondersi dietro una corazza di falsa arroganza e indifferenza, oppure di mostrarsi esattamente come gli altri vorrebbero che fossero, di comportarsi come tutti si comportano, di omologarsi, di indossare una maschera che li faccia somigliare agli altri, anche a costo di soffocare la loro identità e i loro desideri più autentici. Fino a correre il rischio di non riuscire più a “riconoscersi”, di perdere di vista ciò che sono realmente e di non riuscire più a scrollarsi di dosso quelle maschere così ingannevoli e ingombranti.

          Forse per riuscire a liberarsi da tutte queste maschere, per pervenire alla costruzione di un’identità più matura e imparare ad essere se stessi, gli adolescenti hanno semplicemente bisogno di sentirsi amati, accolti ed accettati esattamente per quello che sono.

La madre: Non può essere sempre carnevale

          La maggior parte degli adolescenti indossa più personalità a seconda che si trovi a giocare il ruolo di figlio, alunno, membro di un gruppo parrocchiale.

          Gli adulti spesso lamentano la difficoltà di comprendere i giovanissimi, perché hanno di fronte a sé persone acerbe e fluttuanti, che appaiono diverse a seconda dei loro stati d’animo, delle esperienze che vivono, delle situazioni che affrontano, degli interlocutori che hanno come compagni di viaggio.

          Genitori, insegnanti, catechisti spesso entrano in conflitto fra loro, quando devono educare i giovanissimi, poiché dispongono di elementi differenti di percezione e valutazione del loro modo di pensare e di fare, spesso incoerente e labile.

          La maggior parte degli adolescenti indossa più personalità a seconda che si trovi a giocare il ruolo di figlio, alunno, membro di un gruppo parrocchiale… Perfino fra mamma e papà spesso capita di dover discutere animatamente perché in casa i figli mostrano profili instabili o vere e proprie maschere. A squinternare del tutto la necessaria armonizzazione del percorso della crescita ci si è messo, poi, il social network, che moltiplica all’infinito, nel tempo e nello spazio,  l’immagine di un individuo, confondendo realtà e virtualità.

          La sensazione che gli adulti hanno nei confronti dei giovani è che vivano in un carnevale quotidiano: metafora dell’uno, nessuno e centomila, ciascuno di essi sembra talora divertirsi a mettere a soqquadro le aspettative dei grandi, altre volte sconvolto dal proprio essere irrisolto e incompiuto. D’altronde, come potrebbero le cose andare diversamente?

          Quante volte, in famiglia o a scuola o perfino in parrocchia gli adulti suggeriscono ai ragazzi di adattarsi al mondo circostante rinunciando alla propria autonomia di pensiero, di giudizio e di comportamento; quante volte si pretende da loro che siano la fotocopia di un altro piuttosto che sforzarsi di pensare con la propria testa; quante volte li si respinge perché esprimono con troppa sincerità i propri sentimenti e stati d’animo; quante volte si dimostra loro con le parole e con i fatti che la vita quotidiana può essere affrontata con successo soltanto indossando una pluralità di maschere per sembrare quello che non si è….

          Per amore di questi ragazzi che troppo spesso vengono frettolosamente convinti che non c’è altra scelta che abitare in un mondo fatto di maschere e che sono spinti da molti adulti ad una rottura irreparabile fra l’essere e l’apparire, vale la pena che tutti gli educatori tornino a ricordare a se stessi che il carnevale è solo un periodo ben delimitato dell’anno, che non merita di essere replicato all’infinito.

          Soprattutto, che esso è solo una parentesi forse piacevole, ma non sempre significativa, nel flusso di senso che va dall’esperienza di un Dio che si è fatto uomo perché l’uomo possa diventare veramente persona, all’umile accoglienza di una salvezza che nasce dalla croce di Cristo, che ha scelto di morire per non immiserirsi nelle menzogne e nelle finzioni di un mondo che ha paura dell’autenticità.

Alessandra Mastrodonato, Marianna Pacucci

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