'Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel Regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli'. E' la prima sentenza. La vita cristiana - potremmo tradurre - non si ferma alla messa, ma deve tradursi in una vita nuova e coerente. 'Fare la volontà del Padre' significa mettere in pratica il progetto di Dio e vivere secondo i criteri evangelici.
del 31 maggio 2008
 
 
 
A conclusione del lungo discorso della montagna, Gesù porta i suoi interlocutori al cuore del problema: chi è veramente mio discepolo? Chi salverà la propria vita?Gesù si rivolge a discepoli che già credono in lui, anzi a qualcuno che con successo agisce “nel nome di Gesù”, alla Chiesa di sempre quindi, per precisare quali siano i comportamenti concreti di chi potrà “entrare nel Regno dei cieli”.
Il linguaggio di Gesù è schietto e drastico: spaventa e fa pensare quella condanna giunta a sorpresa per chi credeva di essere a posto: “Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi che operate l'iniquità”.
Ascoltiamolo con trepidazione.
 
 Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 7,21-27)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli.
In quel giorno molti mi diranno: Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demòni? E nel tuo nome non abbiamo forse compiuto molti prodigi? Ma allora io dichiarerò loro: “Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l’iniquità!”.
Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia.
Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e la sua rovina fu grande».
 
  
 
1) CHI FA LA VOLONTA' DEL PADRE
 
“Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel Regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli”. E' la prima sentenza. La vita cristiana - potremmo tradurre - non si ferma alla messa, ma deve tradursi in una vita nuova e coerente. “Fare la volontà del Padre” significa mettere in pratica il progetto di Dio e vivere secondo i criteri evangelici. Ci esorta san Giacomo: “Siate quelli che mettono in pratica la parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi. Perché se uno ascolta la Parola e non mette in pratica la parola, costui somiglia a un uomo che guarda il proprio volto in uno specchio: appena si è guardato, se ne va, e subito dimentica com’era” (Gc 1,22-23). E prosegue più pesantemente: “Se uno dice di avere la fede ma non fa seguire le opere che serve? Quella fede può forse salvarlo? La fede, se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta” (Gc 2,14.17).
L’altra osservazione di Gesù è più radicale e quanto mai attuale. Non è titolo di salvezza fare miracoli, avere visioni, vivere carismi straordinari, ma fare le opere, fare la volontà del Padre, vivere una vita coerente. La carità, cioè l’amore a Dio e al prossimo, è il metro di misura. Ne fa eco, con linguaggio paradossale, san Paolo: “Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come metallo che rimbomba o come cimbali che strepitano. E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla. E se distribuissi tutti i mie beni e consegnassi il mio corpo per essere bruciato, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe” (1Cor 13,1-3). 'Ma sopra a tutte queste cose rivestitevi della carità, che le collega e unisce in un modo perfetto' (Col 3,14).
“Non vi ho mai conosciuti...”, cioè voi non siete mai stati veramente miei discepoli! E’ quasi una scomunica. Forse qui si fa riferimento anche all’autorità nella Chiesa, ai suoi rappresentanti più titolati che sono autorizzati ad agire “nel nome di Gesù”. Ma certamente il riferimento è a quanti dentro la Chiesa vivono con superbia una fede soggettiva ed esaltata, non in conformità e obbedienza alla legge concreta del vangelo. “Allontanatevi da me, voi che operate l'iniquità” (iniquità nel testo greco è “anomìa”, ossia senza legge). Stiano in guardia quelli che vivono la fede rincorrendo visioni, miracolismi, club di esaltazione misticoide, o semplicemente devozionismi privati, e non fanno riferimento e obbedienza alla parola di Dio scritta nella Bibbia e insegnata dalla Chiesa. “Non vi ho mai conosciuti..”, avete avuto una vostra religione, non la mia, dice il Signore!
 
 
2) E’ UN UOMO SAGGIO
 
“Chiunque invece ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia”. La roccia fa pensare alla sicurezza, alla salvezza. La vita mira alla sua riuscita e pienezza. E’ il senso della nostra libertà, come responsabilità. Saggio è colui che ha capito ciò che conta o non conta nella vita, ciò cui merita appoggiarsi per avere la vita, la vita eterna, colui che ha colto quanto sia decisivo per la propria salvezza Dio e l’avvento del suo Regno. L’alternativa è costruire sulla sabbia, dove non c’è consistenza e sicurezza. “Passa infatti la figura di questo mondo!' (1Cor 7,31).
“Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti...”. La vita già da oggi ha le sue prove quotidiane. Chi non è radicato in convinzioni forti e vere e non è aiutato dalla grazia di Dio, non può resistere. Ma soprattutto - questo principalmente vuol dire l’immagine evangelica - la prova è all’esame finale, al giudizio definitivo di Dio che saggerà la consistenza della nostra vita. Chi reggerà alla prova finale? Chi avrà ascoltato le parole di Gesù e le avrà messe in pratica! Per questo preghiamo col Salmo responsoriale: “Sei tu, Signore, per me una roccia di rifugio”.
In definitiva allora la salvezza è nelle nostre mani. 'Io pongo oggi - leggiamo nella prima lettura - davanti a voi benedizione e maledizione: la benedizione, se obbedirete ai comandi del Signore vostro Dio, che oggi vi do; la maledizione, se non obbedirete ai comandi del Signore, vostro Dio, e se vi allontanerete dalla via che oggi vi prescrivo”. La Parola di Dio, lo sappiamo, esprime la verità di noi stessi, la struttura profonda della macchina che noi siamo. Ne è come il libretto d'istruzione. Seguirla, è far funzionare bene la macchina, e quindi portare a riuscita la vita. Obbedienza alla Parola è anche espressione massima e concreta, esistenziale, della fiducia e dell’amore che abbiamo verso Dio. E’ questione di fedeltà e abbandono: “Porrete nel cuore e nell’anima queste mie parole'. Non è che obbedienza del figlio che si fida del Padre. “In te, Signore, mi sono rifugiato, mai sarò deluso”.
 
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Importante è sottolineare che le nostre opere non hanno altro senso se non quello dell’amore, verifica dell’amore. San Paolo ci dice che non sono esse, le nostre opere, a giustificarci, a salvarci, ma è la grazia di Cristo e la fede in lui. “Tutti sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, per mezzo della redenzione che è in Cristo Gesù. Noi riteniamo infatti che l’uomo è giustificato per la fede, indipendentemente dalle opere della Legge”.
Questo ci dà più sicurezza. Guai se dovessimo contare solo sulle nostre buone opere! D’altra parte dice come anche le più piccole opere abbiano sommo valore, perché la loro dignità sta nell’amore che ci si mette, non nei risultati che si ottengono.
don Romeo Maggioni
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