Non ci sono più gli atei di una volta

L'uomo senza Dio è colui che, molto semplicemente, senza farsi troppi problemi, fa a meno di Dio, pensa senza di lui ed esiste senza di lui...

Non ci sono pi√π gli atei di una volta

da Quaderni Cannibali

del 08 ottobre 2010

         

         

          Sylvain Maréchal (1750-1803) è ancora conosciuto per il suo Dizionario degli atei antichi e moderni (1800), dove non si lesina sui nomi: ci sono Pascal, sant’Agostino e perfino Gesù, ovvero tutti quelli che sono stati critici con la religione della loro epoca. Però questo discepolo di Lucrezio detestava gli atei del suo tempo, gente che veniva da un’aristocrazia libertina, dissoluta, perversa.

          Per reazione aveva fondato una «lega dei senza-Dio» e le aveva dato una liturgia che, ogni dieci giorni, celebrava il culto della virtù. Di certo non si tratta della maggior preoccupazione dei nostri contemporanei, tuttavia questa distinzione merita di essere annotata e ripresa in un altro senso.

          Ateo e ateismo sono parole attestate nella lingua francese dalla metà del XVI secolo. La loro diffusione sarà lenta e a volte curiosa (vedi Balzac e la sua Messa dell’ateo). Oggi l’ateismo fa pochi seguaci: in Francia, l’Unione degli atei non dovrebbe superare i 2 o 3000 aderenti. Vi si aggiungono quanti preferiscono definirsi liberi pensatori, umanisti, razionalisti, materialisti (termine però caduto in disuso) o libertari («Né Dio, né maestro»).

          Tutti costoro esprimono una convinzione forte e chiara, spesso militante. Si contrappongono così a quelli che si dicono decisamente, profondamente religiosi in base a un’appartenenza: in genere cattolica, protestante, ortodossa, ebraica, musulmana, buddhista. Il mondo vago della «non credenza» oggi è maggioritario in Francia. I sociologi hanno mostrato la sua differenza e misurato il grado e le forme di legame alle grandi denominazioni religiose, nel senso di un crescente allontanamento.

          Ciò che domina oggi è quello che in termini dotti si chiama agnosticismo e indifferentismo, accompagnato da un crollo – in una o due generazioni – della cultura religiosa tradizionale veicolata dal catechismo, dalla scuola e dall’ambiente. Resiste in modo oscuro, celato a un’osservazione frettolosa, ciò che Serge Bonnet ha definito le «preghiere segrete dei francesi moderni» e la loro alchimia: un immenso terreno incolto o quasi.

          Gli atteggiamenti e le iniziative «missionarie» della Chiesa francese di fronte all’ateismo aspettano ancora il loro studio sistematico e ragionato. Nel 1940, nella piccola serie «Cattolica» di Gallimard, padre Sertillanges, domenicano conosciuto per la sua apertura, pubblicava un opuscoletto, Atei, fratelli miei. «Non esistono atei, ci sono soltanto persone che credono di esserlo; ci sono soltanto degli incoscienti», scriveva.

          È il pensiero espresso da Jean-Luc Marion in una recente conferenza in Svezia: l’ateismo è impossibile. Il cardinal Veuillot, futuro arcivescovo di Parigi, esigeva dai padri Le Sourd e Liégé, autori di Credenti e non credenti oggi (1962), la sottolineatura che l’ateismo era peccato grave. Nel 1965, il Vaticano II lo collocava «tra i fatti più gravi del nostro tempo» e creava un Segretariato per i non credenti di cui il cardinal Poupard ha assunto la direzione per un quarto di secolo.

          Siamo così passati dal Dio-Sole (i nostri ostensori), luce del mondo (lux mundi), a ciò che Léon Brunschwig, professore alla Sorbona, definiva nel 1928 La disputa dell’ateismo e il suo successore Étienne Souriau nel 1955 L’Ombra di Dio. Torna qui la vecchia distinzione di Sylvain Maréchal, pronta per un nuovo uso: l’ateo è colui che – a torto o a ragione – afferma la sua convinzione che Dio non esiste o almeno che non c’è alcuna prova della sua esistenza.

          L’uomo senza Dio è colui che, molto semplicemente, senza farsi troppi problemi, fa a meno di Dio, pensa senza di lui ed esiste senza di lui. È decisivo cioè non quanto si agita nel cuore delle persone, e neppure il movimento di un mondo che deve tutto al proprio sforzo, bensì la condizione umana – comune a tutti, credenti e non credenti – compresa tra queste due istanze.

          «E Dio in tutto ciò?», chiedeva Jacques Chancel agli ospiti alla fine del suo programma Radioscopia. Ad ognuno la sua risposta, ma – quale che sia – dovrà tener conto del rullo compressore all’opera «in tutto ciò». Dio era onnipresente. Esclusa una serie di nicchie a volte anche di una certa importanza, è diventato o diventa onni-assente nella vita sociale, pubblica o privata.

          È la crescente pressione della quotidianità a costruire l’uomo contemporaneo. Si tratta di un dato essenziale per una riflessione cattolica preoccupata dell’«apertura al mondo» e sempre a rischio di ripiegamento su se stessa.

Èmile Poulat

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