Un'inchiesta giornalistica rivela uno dei volti più terribili dei processi di disumanizzazione in corso: la creazione di un mercato globale del corpo femminile governato da grandi interessi... Avvenire sta esplorando il pianeta quasi ignoto degli «uteri in affitto» in tutto il mondo, sul quale sinora è gravato un silenzio assordante.‚Äã..
Stiamo sviluppando sulle nostre pagine di Avvenire un’inchiesta giornalistica che rivela uno dei volti più terribili dei processi di disumanizzazione in corso: la creazione di un mercato globale del corpo femminile governato da grandi interessi e dall’idea che la donna/madre sia riducibile a “fattrice” di figli/figlie a loro volta ridotti a “prodotto”. Prodotto di un desiderio (comprensibile) di paternità e maternità difficili o naturalmente impossibili. E prodotto di un commercio (inaccettabile) tra abbienti, che comprano, indigenti che si vendono, e innocenti che vengono assemblati, selezionati, venduti e comprati.
Ci aspettavamo reazioni, anche veementi, di fronte a una realtà terribile e purtroppo in crescita nella quale gli esseri umani sono ridotti a “cose”. Una realtà schiavista e che, perciò stesso, dovrebbe essere urgentemente posta al centro dell’attenzione giuridica internazionale e meriterebbe presto una sessione dedicata dell’Assemblea generale dell’Onu. Ci ha lasciato esterrefatti che la più tempestiva e aspra delle reazioni sia arrivata, invece, per accusarci di aver pubblicato «menzogne» e per sostenere incredibilmente che il mercato di grembi di donna sarebbe un mercato tutto sommato normale se non, addirittura, una pratica libera e persino eminentemente altruistica. Premessa usata per affermare che quanto raccontato nella prima puntata della nostra inchiesta, e cioè che anche persone e coppie omosessuali hanno fatto e fanno ricorso al mercato delle maternità surrogate, sarebbe «omofobia». Di più: lo stesso parlare di «uteri in affitto» sarebbe grave e omofobo, perché le parole giuste, politicamente corrette, sono piuttosto altre: «gestazione di sostegno» o «gestazione per altri».
La diffamatoria polemica, firmata da un’organizzazione gay – che peraltro, come dimostriamo negli articoli oggi in pagina, è in palese e incresciosa contraddizione oltre che con i fatti anche con se stessa – è degna di essere segnalata per quello che conferma e annuncia. L’accusa di «omofobia» viene scagliata con aggressiva facilità non solo contro chiunque affronti senza allinearsi all’ideologia “gender” temi che in qualche modo concernono l’omosessualità, ma anche contro chiunque ragioni a difesa della naturalità della procreazione umana e si batta per de–mercificarla. Chi ancora pensa che sia esagerato porre la questione della libertà di espressione di fronte al testo di legge sull’omofobia che è all’esame del Parlamento italiano ha tempo per rifletterci su e per rimediare. Una cosa è certa: noi, che facciamo cronache rigorose, amiamo l‘umanità e la verità e perciò ci battiamo contro ogni discriminazione e violenza, non intendiamo chiudere occhi e bocca, e non ci lasceremo imbavagliare.‚Äã‚Äã‚Äã‚Äã‚Äã
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Marco Tarquinio
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