Uno degli allenatori di calcio più preparati, annoverabile nella categoria dei “filosofi”, Antonio Conte, insegna, attraverso un suo famoso aforisma, che “il secondo è il primo dei perdenti”. La storia non smette di essere crudele. Nel video dell’incontro tra due capi di stato, che tanto ha fatto parlare in questi giorni, uno, ad un certo punto, dice all’altro: “Non hai carte”; cioè: non hai mezzi, non hai risorse, quindi… devi fare quello che ti dico io. Crudele, ma da un certo punto di vista assolutamente vero: se non hai carte non sei nella posizione di giocare, devi metterti da parte. È la cruda realtà. La tentazione grande non è solo quella di fermarsi qui, ma voler “educare” a questo: l’uomo e la storia questo sono.
Eppure nella scena umana è possibile, ancora una volta, sentire che “c’è dell’altro”, che la superbia e la tracotanza non sono né le ultime né le uniche parole sull’uomo. È questo lo spazio in cui è possibile farsi educare, con immutata contemporaneità, dalla lezione dei profeti. Coloro che traguardavano la violenza dei potenti a partire dalla giustizia di Dio, che si ricordavano, preoccupati, “dell’orfano e della vedova”, cioè chi non ha carte, chi è umiliato e scartato.
Stare dentro l’umano significa stare sempre dentro dei paradossi, dei calcoli che spesso fanno fatica ad allinearsi ad una giustizia piena. Lo sappiamo anche riguardo alle nostre piccole beghe quotidiane, un semplice voto apre, a volte, discussioni infinite, conflitti: ognuno desidera sentirsi padrone del mondo. Trovare il modo di tenere insieme le cose è cosa difficilissima, complicatissima.
Si afferma, giustamente, che bisogna imparare a perdere; una indicazione di massima saggezza e proprio per questo quasi impossibile da praticare. Se ne dimentica una, altrettanto vera: bisogna imparare a vincere, cioè imparare a non umiliare chi perde, chi “non ha carte”. L’umiliazione fa più danni di tante armi sofisticate, e uccide la fiducia.
So long
Versione app: 3.34.6 (7d3bbf1)