L'abitudine è una grande facilitazione nella vita, ma è anche un grosso rischio e pericolo. E' chiaro che ogni giorno dobbiamo fare press'appoco le stesse cose; ci vediamo, ci salutiamo, ci diciamo i nostri bisogni e sentimenti, parliamo dei nostri interessi comuni
del 10 gennaio 2007
 
 
 
L’abitudine è una grande facilitazione nella vita, ma è anche un grosso rischio e pericolo. E’ chiaro che ogni giorno dobbiamo fare press’appoco le stesse cose; ci vediamo, ci salutiamo, ci diciamo i nostri bisogni e sentimenti, parliamo dei nostri interessi comuni. Mettiamo spesso il pilota automatico per fare le stesse cose ogni mattina: levata, colazione, bacetto, automobile, giornale, caffè, coda, entrata in cantiere o in ufficio, saluto, tuta, cartelle o attrezzi, lavoro…
Sarebbe impossibile tutti i giorni fare queste cose se ad ognuna di esse dovessimo pensare, ragionare, decidere scegliere. Se ogni mattina il papà o la mamma dovesse sedersi ai bordi del letto, farsi portare una margherita e stare a strappare petalo dopo petalo per decidersi se andare o no a lavorare. Ci sono delle leggi che abbiamo scelto di seguire ragionevolmente e che poi diventano una sana abitudine della nostra vita. Non è così invece dei sentimenti, dell’amore, della fede. Sono realtà che hanno bisogno di essere sempre di più portate a coscienza altrimenti non esprimono più la verità dei loro significati. Non ci si può abituare ad amare una persona, occorre vederla sempre con occhi nuovi, non si può mettere il pilota automatico alla fede altrimenti diventa solo ritualismo.
Ai compaesani di Gesù era capitato così del rapporto con Dio: si sentivano di avere Dio in tasca, pur sempre con il grande rispetto tipico della loro sensibilità religiosa. Non avevano più lòe orecchie attente alla Parola, non era disponibili più a lasciarsi sorprendere dalla bontà e dalla creatività di Dio. Il rapporto con Lui era in certo modo ingessato, come lo è per tanti di noi la vita di coppia, la vita di famiglia, le relazioni con i colleghi, la stessa pratica religiosa.
La fede, l’amore hanno sempre invece bisogno dell’intelligenza, della dedizione, della capacità di dare il meglio di sé. Se certe famiglie potessero godere di condizioni di vita affettiva come ce n’è in tante sarebbero felici, invece in molte le stesse condizioni portano alla noia. Se a Tiro e Sidone, due città del Libano, fossero capitate le cose che avvenivano a Nazaret, si sarebbero mobilitate per dare spazio alla novità che era Gesù. Invece la nebbia della autosufficienza o della routine lo hanno emarginato. Noi abbiamo speranza di essere sempre nuovi, perché la fede in Gesù ha questa carica quotidiana di novità e quindi di rinnovamento della vita.
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