«Sono al terzo anno di Scienze giuridiche. Gli avvocati mi hanno sempre affascinato. Mi piacerebbe un giorno difendere i diritti dei più deboli»...
del 27 settembre 2018
«Sono al terzo anno di Scienze giuridiche. Gli avvocati mi hanno sempre affascinato. Mi piacerebbe un giorno difendere i diritti dei più deboli»...
Nata sotto il segno del volley. La Nazionale di pallavolo femminile si presenta al Mondiale giapponese (al via sabato) con una palleggiatrice che questo sport l’ha respirato sin dal primo istante: Lia Malinov ha infatti avuto in casa i suoi maestri. Suo padre, Atanas, è l’allenatore bulgaro che in Italia e in Europa ha vinto tutto con Bergamo. Ma pallavolista da sempre è anche sua madre, la bulgara Kamelia Arsenova, giocatrice di successo anche nella nostra Serie A.
Lia, venuta alla luce a Bergamo, ha oggi solo ventidue anni, ma sono in tanti a scommettere sulle sue mani di fata. Il sogno mondiale dell’Italia ruoterà inevitabilmente attorno a lei, visto che il ct Davide Mazzanti l’ha scelta come regista della sua Nazionale. Figlia d’arte, 180 centimetri, è giovanissima ma con la maturità già della veterana, se era prevedibile che la pallavolo sarebbe stata il suo futuro non era nemmeno così scontato che bruciasse tutte le tappe così in fretta. Merito del suo talento innato ma anche della sua determinazione e della sua umiltà. «Perché nello sport come nella vita ci vuole sacrificio e passione» è il suo biglietto da visita. Così ha spiccato il volo, lei che è stata chiamata in azzurro quando aveva solo 18 anni e giocava ancora in B1 a Bassano: «Fu davvero un sogno a occhi aperti. Alcune delle mie compagne più grandi mi avevano vista nascere perché le allenava papà…». Una carriera fulminante, iniziata nel 2011, che l’ha portata da Bassano al Club Italia e poi a Conegliano, Bergamo e quest’anno Scandicci.
Un destino da palleggiatrice racchiuso anche nel suo nome all’anagrafe Ofelia, che significa “colei che aiuta”. Toccherà proprio a lei innescare Paola Egonu e le altre compagne nella terra di Mila e Shiro, il fortunato cartone animato giapponese che ha ispirato molte delle giovani giocatrici azzurre. L’Italia riparte dal quarto posto amaro dell’ultimo Mondiale in casa, una cavalcata che però aveva riscosso l’affetto e l’orgoglio di tutti gli appassionati.
Ma l’unica medaglia d’oro azzurra risale al 2002, quando lei aveva sei anni…
«Già, è passato davvero troppo tempo. Per questo abbiamo ancora più voglia di fare un grande torneo. Vincere il Mondiale sarebbe meraviglioso, ma puntiamo a finire almeno tra le prime sei. Sarebbe già un ottimo risultato. Ci sono squadre fortissime come Cina, Stati Uniti, Serbia... Con alcune abbiamo già vinto, anche se adesso sarà tutta un’altra storia. Siamo giovani è vero, ma ci siamo preparate da tanto tempo, non vediamo l’ora di giocarcela alla pari con tutte. Siamo fiduciose e consapevoli della nostra forza».
È stata costretta a saltare l’Europeo dell’anno scorso per infortunio e questo sarà il suo primo grande appuntamento internazionale in un ruolo in cui l’Italia ha avuto fino a poco tempo fa figure del calibro di Leo Lo Bianco (record di presenze in azzurro) che la considera sua erede…
«Me l’ha confermato anche di recente visto che ci sentiamo ogni tanto. È un onore incredibile sentirselo dire da lei che di pallavolo ne ha masticata tanta… Avverti sempre un brivido quando vesti la maglia azzurra. E io voglio dare il cento per cento: gioco in un ruolo che richiede maturità e tanta esperienza, devi prenderti grandi responsabilità, ma a me piace molto. È bello far girare tutta la squadra e mettere le attaccanti nelle condizioni migliori».
Ironia della sorte, la prima partita sarà contro la Bulgaria, paese di suo padre e sua madre. Si sente una predestinata ad aver avuto dei genitori con il volley nel sangue?
«Vengo da una famiglia in cui si vive di pallavolo tutti i giorni. Ma non ho mai sentito la pressione di diventare un’atleta a questi livelli. Quando hai un cognome importante scatta la sensazione di dover assolutamente essere all’altezza, ma per me non è mai stato un peso. Anzi sono fiera di essere figlia di due sportivi. Anche perché non mi hanno mai costretta, la pallavolo è stata una scelta tutta mia».
Aveva cominciato con la ginnastica, il nuoto e il tennis, poi però la folgorazione per il volley…
«Sì perché a 9 anni ho scoperto la bellezza di questo sport di squadra in cui è fondamentale fare affidamento sulle compagne. Non tutto dipende da te così come non tutto dipende dagli altri: è uno scambio reciproco, tanto più prezioso quando si è in difficoltà. Mi piace questo legame che si crea: è difficile da costruire ma quando si riesce è il massimo. Poi certo ho visto quello che facevano i miei in palestra e mi è venuta voglia di seguire le loro orme. Ho chiesto io a mio padre di iniziare a giocare».
E lui ha mollato la Serie A per metter su una squadra di ragazzine e insegnare loro i fondamentali.
«Sì. E con noi è tornata in campo anche la mamma. I miei genitori mi sono da sempre di grande aiuto e supporto soprattutto per la loro esperienza. Di papà ammiro la grinta nel fare lo cose, di mia madre l’incredibile forza di volontà: anche nei momenti più duri lei dà sempre il massimo. Però il regalo più bello me l’hanno fatto fuori dal campo».
Quale?
«La nascita delle mie due sorelline, le gemelle Emma e Michela. È stata una gioia incredibile per tutti perché i miei genitori hanno atteso tanto. Tra di noi ci sono sette anni di differenza e anche loro giocano a pallavolo insieme con mia madre».
La pallavolo non è però la sua unica passione.
«Mi mancano un paio di esami per laurearmi. Sono al terzo anno di Scienze giuridiche. Gli avvocati mi hanno sempre affascinato. Mi piacerebbe un giorno difendere i diritti dei più deboli».
Quali altri obiettivi ci sono nel suo futuro?
«Creare una famiglia senz’altro. E poi il sogno di ogni donna: diventare mamma. Ma “tempo al tempo” è la mia filosofia. Ho imparato ad apprezzare la vita in ogni istante, grazie alla fede che per me è una dimensione importante, un dono ricevuto soprattutto da mia madre. Credere ti aiuta a reagire nei momenti negativi che prima o poi capitano a tutti. Ma ti porta anche a gioire e riconoscere quanto di bello c’è già nella tua vita».
Antonio Giuliano
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