Paure nei piccoli e paure nei grandi! Paure nei piccoli: di non essere amati e di rimanere soli! Paure nei grandi: più numerose di quelle dei piccoli. È la paura di metter su famiglia e di avere dei figli, che limitano la libertà. Paura di rimanere senza soldi, con un lavoro precario che vieta sogni futuri. Paure di guerre e paure di immigrati, paure di culture nuove, vissute come minaccia alla propria. Paure di rimanere indietro. Paure di non saper affrontare il nuovo. Paure nei confronti dei giovani così inquietanti e sconvolgenti, così indifferenti e lontani, considerati spesso nemici, calamità, inevitabile disgrazia...
del 19 gennaio 2008
Paure nei piccoli e paure nei grandi! Paure nei piccoli: di non essere amati e di rimanere soli! Paure nei grandi: più numerose di quelle dei piccoli. È la paura di metter su famiglia e di avere dei figli, che limitano la libertà. Paura di rimanere senza soldi, con un lavoro precario che vieta sogni futuri. Paure di guerre e paure di immigrati, paure di culture nuove, vissute come minaccia alla propria. Paure di rimanere indietro. Paure di non saper affrontare il nuovo. Paure nei confronti dei giovani così inquietanti e sconvolgenti, così indifferenti e lontani, considerati spesso nemici, calamità, inevitabile disgrazia... Si vive di paura perché non si vive più di fede: la parola «Provvidenza», che ha dato coraggio a tanti credenti, a tanti santi, oggi è obsoleta; il Dio che trasforma il cuore di pietra in cuore di carne, sembra tramontato dagli orizzonti degli adulti, vittime di maestri nichilisti o pieni di sé, a volte cinici nel proclamare la morte di Dio e arroganti nell’escluderlo dalla loro storia, dalla storia delle genti.
Non si risponde certo alla «volontà di significato» presente nei giovani, con una visione pessimistica della vita, con idoli propagandistici e consumistici, che non li tolgono dal loro grigiore quotidiano o dal vuoto esistenziale. Non si risponde loro con la nostra paura di amare, di perdere qualcosa o molto di noi: in famiglia, se ci si crede ancora, o nella scuola, dove sembra che la parola «educazione » non abbia più dimora nelle aule, tantomeno la parola «rapporti interpersonali», che sono scomodi quanto i ragazzi e i giovani, così impermeabili e fragili, così sedotti e distratti dalle cose.
Alcuni argomenti poi sono diventati «tabù», parole da non pronunciare dagli adulti e dagli stessi giovani, che ne hanno paura: malattia, dolore, morte, povertà, sacrificio! Sono altre, a prima vista, le preferite: immagine, successo, piacere, divertimento, libertà! Desideri più indotti che autentici, che non sono nati dal profondo del cuore, da una riflessione sul senso della propria vita, del proprio futuro.
Come credenti non possiamo rifiutare la sfida di questi tempi di grandi spettacoli, di grandi parate, di apparenze ricercate per essere ma che non appagano i giovani: c’è troppa disperazione in loro, troppo buio e ignoranza sulle ragioni del loro male di vivere, troppa violenza e troppa superficialità!
Perché ritorni a fiorire la speranza in loro e in noi, bisogna vincere la paura di Dio ed avere il coraggio di proporre nei fatti la nostra fede, che «senza le opere è morta ». Non c’è da essere pessimisti, se la Parola del Signore orienta il nostro cammino educativo, se noi testimoniamo l’accoglienza, la fiducia, l’ascolto, l’amore, rivivendo lo stile del Vangelo.
 Per avere il diritto di cittadinanza tra gli adolescenti e dei giovani, gli adulti devono ritrovare la tranquillità del cuore, che sola può permettere il colloquio con loro, oltre che con Dio. Forse dovremmo pregare di più, «la più difficile di tutte le imprese», secondo Padre Turoldo: «Se riuscissimo davvero a pregare tutte le cose sarebbero diverse, sarebbe diversa la nostra vita, sarebbe diversa la storia del mondo». Forse non ci riusciamo perché siamo poco innamorati di Dio, poco innamorati dei giovani, dello stare con loro!
La fede è amore: chi ama parla con la persona amata, gioisce nel frequentarla, dialogando a lungo con lei. La preghiera è amore! È apertura di cuore sull’Infinito, invocazione al Padre, che non è sordo ai nostri richiami, risponde sempre, educandoci e indicandoci il cammino.
Da: Vittorio Chiari, Un giorno di 5 minuti. Un educatore legge il quotidiano
don Vittorio Chiari
Versione app: 3.25.0 (fe9cd7d)