Omelia 3° domenica di Avvento: "Tu, chi sei?"

La gioia è la parola "chiave" di questa liturgia, ma essa stessa è il "passpartout" cioè una chiave capace d'aprire la porta di ogni cuore umano per illuminare e riscaldarne la vita. La gioia non è un dettaglio marginale, ma un tutt'uno con la fede. Essere testimoni della luce vuol dire, dunque, essere testimoni della gioia. Gioia di essere amati da Dio e da Lui stimati e resi all'altezza di amare.

Omelia 3° domenica di Avvento: 'Tu, chi sei?'

da Quaderni Cannibali

del 07 dicembre 2011 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 

Letture:

Is 61,1 - 2.10-111 Ts 5,16-24Gv 1,6-8.19-28 

Parola mandata e mandato

          La Parola che Dio ci manda in questa terza domenica di Avvento, profuma e colora di rosa la nostra attesa perché è centrata sulla gioia! La Parola mandata da Dio - come ogni Parola che esce dalla Sua bocca - (cfr. Isaia 55,10-11) vuole produrre oggi questo particolare effetto nella nostra vita. Un effetto speciale. Non 'clamoroso' come nell'accezione comune del nostro linguaggio, piuttosto nel senso che rende speciale qualunque situazione o persona la accolga nella sua vita. Una Parola a effetto, dunque. Un effetto immediato, che descrive uno stato d'animo e tuttavia è anche un preciso 'mandato', un impegno preciso da assumere in questo tempo fissato. Una missione da compiere, come per Giovanni, perché ognuno di noi è un uomo mandato da Dio ad annunciare e preparare la venuta di Cristo oltre che esserne il primo beneficiario. La gioia è costitutiva della nostra identità cristiana e della nostra missione. Se il Vangelo non procura gioia a chi lo vive e se chi lo annuncia non contagia la gioia, allora non è il Vangelo di Dio. 'Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena' (Gv 15,11). Testimoni della gioia

          La gioia è la parola 'chiave' di questa liturgia, ma essa stessa è il 'passpartout' cioè una chiave capace d'aprire la porta di ogni cuore umano per illuminare e riscaldarne la vita. È anche una chiave di volta, che consente all'arco dei nostri giorni di reggersi e di sostenere il peso di qualunque cosa lo sovrasti. Una vita senza gioia è insopportabile, ci crolla addosso. Una fede senza gioia è come una canzone senza musica, come un violino senza corde, come un cibo senza sapore, come una terra deserta senza vegetazione. 'State sempre lieti… in ogni cosa rendete grazie. Questa, infatti, è la volontà di Dio verso di voi' (II lettura). 'Mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri [non solo di beni ma soprattutto d'amore], a fasciare le piaghe dei cuori spezzati [delusi dalla vita, feriti nell'amore], a proclamare la libertà agli schiavi [dell'amor proprio o di falsi amori], la liberazione ai prigionieri [della tristezza, del rancore, della paura]… Io gioisco pienamente nel Signore' (I lettura). 'La mia anima esulta nel mio Dio' (salmo resp.).

          La gioia non è un dettaglio marginale, ma un tutt'uno con la fede. Essere testimoni della luce vuol dire, dunque, essere testimoni della gioia. Gioia di essere amati da Dio e da Lui stimati e resi all'altezza di amare. Siamo persone e cristiani, preti e laici, gioiosi? Comunichiamo gioia con la nostra presenza e la nostra vita? Siamo solo credenti o siamo anche credibili? In un mondo che sembra aver perso la gioia perché ha preferito la scorciatoia del piacere o del potere, del divertimento e del benessere, facendo lo slalom tra le difficoltà o imboccando la tangenziale per girare in tondo senza mai andare al centro, io sono chiamato da Dio a rendere diritta la mia via perché quelli, la cui vita è intrecciata alla mia, possano incontrare Cristo tramite me. Chi sono io?

          Si parla spesso di 'crisi' ultimamente: Crisi dell'economia, crisi della politica, crisi di valori, crisi della famiglia, crisi dell'educazione, crisi d'identità… Meno male che c'è crisi. Vuol dire che c'è ancora vita. Vuol dire che qualcosa non funziona e fa stare male. Vuol dire che qualcosa va rivisto, va cambiato, va 'raddrizzato'. La superbia si raddrizza con l'umiltà. 'Tu, chi sei'? 'Io non sono il Cristo' (Vangelo). Io non sono onnipotente, io non sono il padrone della vita o della terra. Io non sono Dio che decide ciò che è bene e ciò che è male. La menzogna si raddrizza con la verità, e l'illusione può essere raddrizzata dalla delusione. La divisione si raddrizza con l'unità e l'egoismo con la solidarietà. Io sono, perché Dio mi ha fatto e mi fa essere. Senza Dio, io non sono! Senza la gioia che viene da Dio, io non vivo nella gioia... tutt'al più sopravvivo! Senza Dio io non sono più una persona ma un individuo del regno animale. L'istinto di sopravvivenza, cioè di soddisfare i miei bisogni individuali, è ciò che mi governa. Per vivere nella gioia bisogna recuperare la ragione, il buon senso, il senso della collettività, del bene comune, della giustizia, dell'onestà, del pudore. Le insicurezze esistenziali e le crisi strutturali sono dovute alla mancanza di rapporto con Dio. Questa mancanza genera alienazione e insoddisfazione in se stessi, indifferenza o prevaricazione riguardo agli altri. Senza la relazione con Dio il mio 'io' diventa un ridicolo assoluto e la mia vita si ammala di 'relativismo'.

          'Sei Elia'? 'Sei il profeta'? 'No' (Vangelo). Io non sono quello che gli altri si aspettano da me o le maschere che devo indossare per farmi accettare dagli altri e farmi amare. «Io non sono il mio ruolo e neppure il mio peccato» (E. Ronchi). Io sono amato. Io ho il nome che mi ha dato Dio, e Dio mi chiama per nome. Così come sono davanti a Lui, quello io sono! Dio mi chiama nella realtà dove mi trovo, e io voglio essere e fare quello che Lui ha scritto di me, quando mi ha disegnato nelle palme delle sue mani. La mia identità profonda si trova nella Sacra Scrittura: 'Io sono: voce di uno che grida nel deserto.. come disse il profeta Isaia'. Senza il contatto, l'ascolto della Parola che Dio mi manda, io non so più chi sono e cosa ci sto a fare in questo mondo. Invece di essere pieno di gioia mi ritrovo vuoto. Come Giovanni

          «Come Giovanni, io voglio testimoniare un Dio di luce, un Dio solare e felice, che ha fatto risplendere la vita (2 Tm 1,10), ha dato splendore e bellezza all'esistenza, ha immesso e continua a seminare frammenti di sole dentro le vene oscure della storia. Io testimonio non obblighi o divieti, ma il fascino della luce; profeta non della legge ma della grazia, non della verità ma della bontà immensa che penetra l'universo, di un Dio liberatore, che va in cerca dei prigionieri per rimetterli nel sole.

          Con i miei peccati e le mie ombre, con tutte le cose che sbaglio e non capisco, con la mia fragilità e i miei errori, nonostante tutto, io posso essere testimone che il mondo si regge su di un principio di luce, un principio di bene e di bellezza, che è da sempre, più antico, più profondo, più originale del male. C'è una primogenitura della luce, nella Bibbia e nell'uomo.. 'In principio Dio disse: sia la luce'. Il mondo non poggia sul male o sul peccato, non si regge neppure su di un moralismo rigoroso e sterile, ma sulla primogenitura del bene che discende dal cuore di luce di Dio (…) Venne un uomo mandato da Dio: ognuno è quest'uomo mandato, ognuno voce e sillaba della Parola, testimone che Dio c'è, che Dio è luce. E il tuo cuore ti dirà che tu sei fatto per la luce» (E. Ronchi).

Don Giampaolo Perugini

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