Omelia del Rettor Maggiore per la Messa di don Bosco all'Astori

Omelia del Rettor Maggiore in occasione della Messa di San Giovanni Bosco per ringraziare il Signore per i 130 anni di fondazione dell'Astori. Ma che cosa vuol dire “farsi piccolo”? C'è una pagina di Don Bosco che sembra molto illuminante, anche perché promana dalla sua stessa esperienza com'educatore. “Chi vuole essere amato bisogna che faccia vedere che ama..."

Omelia del Rettor Maggiore per la Messa di don Bosco all'Astori

 

«Ciò che avete ascoltato e veduto in me, è quello che dovete fare»  

Omelia per la messa di San Giovanni Bosco  

nella Parrocchia di S. Maria Assunta Mogliano,

27 Gennaio 2013

 

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Carissimi fratelli e sorelle in Cristo,

carissimi giovani

 

Comincio per esprimere la mia gioia per la grazia di celebrare assieme a voi questa Eucaristia, ancora una volta qui a Mogliano, nella Chiesa Parrocchiale di “Santa Maria Assunta”, a pochi giorni della celebrazione della solennità del nostro amato padre e fondatore Don Bosco, nella Basilica a Valdocco.  

Mi congratulo con voi per la scelta di celebrare la messa di San Giovanni Bosco per ringraziare al Signore per i 130 anni di fondazione dell’Astori. Essa ci offre la possibilità di ringraziare il Signore per il dono meraviglioso che ci ha dato in Don Bosco ed, al tempo stesso, di trovare in lui ispirazione per rendere sempre più significativa la nostra presenza salesiana in Mogliano.

 

“Vi voglio felici ora e nell’eternità”

 

La prima lettura ci presenta infatti una delle grandi intuizioni spirituali e pedagogiche di don Bosco, cioè che l’amore di Dio e a Dio è fonte di gioia, sì da poter dire ai ragazzi dell’Oratorio: “Qui facciamo consistere la santità nell’essere sempre allegri”.

La frase di Mamma Margherita per educare nel timore di Dio a Giovanni, e che Don Bosco assunse, “Dio ti vede” è in perfetta sintonia con quello che dice il primo capitolo del Siracide: «Il timore del Signore è gloria e vanto, gioia e corona di esultanza. Il timore del Signore allieta il cuore, e dà contentezza, gioia e lunga vita». Questa sapienza è stata molto importante nella vita di Giovanni Bosco, anche nei primi incontri ‘apostolici’ con i suoi coetanei, nei quali alternava giochi e preghiera. Forse dobbiamo imparare noi stessi a non considerare Dio come una minaccia alla nostra felicità, anzi come la fonte della felicità e della vita. Forse dobbiamo imparare da Don Bosco ad avere un volto sorridente e uno sguardo sereno, ottimista, lungimirante, che faccia sapere che siamo credenti di un Dio Crocifisso sì, ma Risorto, che ha riempito di senso, di allegria e di speranza la nostra esistenza umana. Forse dobbiamo aiutare i ragazzi a far esperienza di quanto si possa essere felici mentre serviamo Dio. 

 

«Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini non entrerete, nel regno dei cieli» (Mt 18,3)

 

Quando diverse volte ho accompagnato gruppi di giovani nella loro visita al Colle ho esperimentato come restano profondamente commossi davanti la piccola casetta di I Becchi che indica gli umili origini di Don Bosco. Dio sempre agisce attraverso mezzi poveri. Questo è stato il percorso storico di Gesù di Nazareth (cf. Flp 2, 5-11) e questa è la strada indicata ai suoi discepoli, come lo abbiamo appena sentito nel Vangelo: «Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini non entrerete, nel regno dei cieli» (Mt 18,3) .

Ma che cosa vuol dire “farsi piccolo”? C’è una pagina di Don Bosco che mi sembra molto illuminante, anche perché promana dalla sua stessa esperienza com’educatore. Nella famosa lettera da Roma di Maggio 1884, scrisse ai salesiani e ai giovani dell’Oratorio di Valdocco: “Chi vuole essere amato bisogna che faccia vedere che ama. Gesù Cristo si fece piccolo coi piccoli e portò le nostre infermità. Chi sa di essere amato, ama, e chi è amato ottiene tutto, specialmente dai giovani”.

Con queste parole Don Bosco riassume l’esperienza della sua vita d’educatore: per educare ci si deve rendere piccoli, disponibili, umili, semplici, poveri, fiduciosi, senza pretese, dare sempre il primo passo, cercare i più bisognosi, andare incontro dei lontani e abbandonati, proteggere i pericolanti. Questo è il linguaggio dell’amore (cf. 1Cor 13), e l’educazione è questione del cuore, diceva lui. Amare è dimostrare quest’amore attraverso la presenza amichevole, sollecita, attraverso la condivisione, l’interesse cordiale e l’accompagnamento, per liberarli da qualsiasi esperienza deleteria che possa mettere a rischio la loro salute fisica o mentale e la loro vita eterna, e per aiutarli a maturare, a sviluppare tutte le loro dimensioni, a trovare il senso della vita e la loro vocazione nel mondo, per portarli fino a Cristo. 

Farsi piccolo” significa entrare decisamente nel mondo dei piccoli, degli adolescenti e dei giovani, di quelli che oggi, nella nostra società di potere e d’influenza, non contano, proprio come quel bambino che Gesù pose in mezzo ai suoi discepoli.  “Farsi piccolo” vuol dire prendere la causa dei giovani poveri, emigrati, che sono privi di educazione che li abiliti per affrontare con successo la vita, e che quindi trovano enormi difficoltà per inserirsi nel mondo del lavoro e aprirsi un futuro degno. “Farsi piccolo” implica rinunciare a tante pretese d’esperienza, di scienza, di autorità, che non fanno altro che allontanare le persone, come vedeva Giovannino Bosco che facevano i preti che nemmeno rispondevano al suo saluto.

Farsi piccolo” è fare la scelta, perché di scelta si trattaChiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli» v. 4) di organizzare la propria vita attorno ai bisogni dei giovani, lavorando per loro, pregando per loro, santificandosi per loro, aprendosi alle loro vite, condividendo le loro gioie e le loro angosce, i loro sogni e i loro problemi, le loro attese e le loro richieste.

Oggi i giovani cercano questo: adulti che li accettino incondizionatamente, adulti capaci di mettersi alla pari, di esserli vicini; adulti che li facciano sentirsi importanti, che come Gesù li ponga in mezzo. È appunto quello che Don Bosco ha fatto e quello che chiedeva dai suoi salesiani: non solo amare, ma far sentire i ragazzi che sono amati. Questo è, a mio avviso, il significato del “Farsi piccolo”, secondo Gesù Cristo.

Questa è difatti la strada da percorrere se vogliamo costruire una nuova società, una vera famiglia, un futuro non solo per i giovani, ma per tutti noi, dove si globalizza l’educazione, la solidarietà, la pace. Questi giorni si parla molto di ricostruire l’Italia, delle principali sfide da affrontare, dalle grandi scelte da fare e dai criteri da privilegiare e dunque dai diversi programmi da far vincere. Una cosa è certa, la nuova Italia e la vera Europa Unita non sarà frutto principalmente dall’economia, dal far quadrare i bilanci e diminuire lo spread finanziario, né da un migliore livello di vita, pur essendo importante, ma di uno sforzo solidale di tutti per costruire una società nella quale tutti possano trovare una “casa”, una famiglia, frutto di un vero abbattimento dello spread sociale, come ha detto Benedetto XVI al Corpo Diplomatico nel porgere gli auguri di anno nuovo; questa è la sfida che Don Bosco oggi ci lancia a tutta la Famiglia Salesiana e a tutti gli educatori.

 Per realizzare questo compito abbiamo bisogno di conversione della nostra mentalità («se non vi convertirete»), e voler essere i più grandi non secondo il mondo ma secondo il Vangelo.

 

«Ciò che avete ascoltato e veduto in me è quello che dovete fare» (Flp 4,9)

 

Ma come possiamo raggiungere questa mentalità cristiana e tipicamente salesiana? San Paolo, nel brano della lettera ai Filippesi che ci è stato letto, ci offre una risposta assai preziosa: «Tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri». È un invito a sviluppare un atteggiamento che sappia vedere sempre e ovunque tutto quello di positivo che esiste negli altri, nei giovani, negli adulti, negli stranieri, in quelli che sono diversi… Convinti, come diceva Don Bosco, che anche nel cuore del giovane più smarrito esiste una corda sensibile al bene, e che compito del buon educatore è scoprirla e collaborare al suo sviluppo.

L’umanesimo di Don Bosco, che lo fece una delle persone meglio riuscite della storia e che lo ha reso così amato e venerato da tutti, si fondamenta nella fede. Don Bosco percepisce la presenza e l’azione dello Spirito in ogni persona, soprattutto nelle più piccole e bisognose; per questo crede in loro, le difende, è capace di impegnare la sua vita per loro rinunciando ad altre possibilità che gli offrivano e che potevano avergli assicurato uno stile di vita più facile e sicuro. Grazie a questo umanesimo cristiano, realista e positivo, imparato senza dubbio nella scuola di Mamma Margarita e da San Francesco di Sales, Don Bosco fu capace di svegliare nei ragazzi del suo Oratorio una grande volontà di formarsi, di crescere nella vita cristiana e di collaborare al bene degli altri, di farsi santi. La fede, la speranza e la carità di Don Bosco realizzarono in effetti il miracolo della formazione e della santità di tanti di quei giovani.

Don Bosco mai si lagnerebbe dei giovani e crederebbe in loro e continuerebbe ad essere un prete per loro, con tutta la passione del Da mihi animas e con tutta l’amorevolezza del Sistema Preventivo.

Che cosa possiamo dunque fare per aumentare la nostra speranza e renderla feconda? Una volta ancora, la Parola di Dio sopra citata ci indica un itinerario da percorrere: In primo luogo, scoprire e far conoscere quanto c’è di bello, di buono, di vero, comunicare tutte le esperienze positive.

In secondo luogo, collaborare con gli altri in progetti comuni di servizio e di solidarietà; è proprio nella condivisione dei progetti dove si crea la comunione e cresce la fraternità, e oggi, in una Italia sempre più multiculturale, è importante più che mai.

In terzo luogo, condividere i valori che ci uniscono, sia quelli umani sia quelli strettamente religiosi, come sono – per noi credenti – la fede; pregare insieme, ascoltare la Parola insieme, celebrare insieme. È così che nasce e matura la Chiesa come famiglia di Dio, come discepola di Gesù, come sposa dello Spirito Santo. 

Non si tratta di cose difficili o straordinarie, e pur sono veramente generatrici di dinamismi di trasformazione.

Parafrasando l’Apostolo, Don Bosco, il cui bicentenario di nascita stiamo preparando cercando di conoscerlo più profondamente, di amarlo più intensamente e di imitarlo più fedelmente, ci invita oggi a imitarlo: «Ciò che avete ascoltato e veduto in me è quello che dovete fare. E il Dio della pace sarà con voi» (Flp 4,9).

Chiediamo la grazia di trovare come lui un ‘sogno’ da realizzare, di farci piccoli come lui, di impegnarci in favore dei giovani, specialmente quelli più bisognosi di fare esperienza che Dio esiste, che gli ama; infine, di portare il Vangelo ai giovani e di portare i giovani a Cristo. 

 

 

Don Pasqual Chavez

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