Il mese di novembre, si sa, è caratterizzato spesso dalla nebbia e dal maltempo. La nebbia è spesso la condizione della nostra vita: la presenza del male, della sofferenza, della morte che offuscano il senso delle nostre azioni e delle nostre convinzioni e che contraddicono quanto di bello sperimentiamo e costruiamo...
del 18 novembre 2011 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) {return;} js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); Alzare lo sguardo oltre la nebbia!Letture: Ezechiele 34, 11-12.15.17               1 Corinti 15, 20-28              Matteo 25,31-46                          Il mese di novembre, si sa, è caratterizzato spesso dalla nebbia e dal maltempo; a volte però riserva giornate di una purezza cristallina, come quella in cui scrivo. Quasi un annuncio di primavera, particolarmente speciali perché affacciate sull'inverno, sul freddo, sul buio che avanza.Questo linguaggio della natura mi sembra essere un commento silenzioso alla liturgia di domenica prossima, dedicata alla festa di Gesù, Re dell'Universo.            Nella prima lettura, tratta dal libro del profeta Isaia, viene descritto il signore Dio come un pastore che va in cerca delle sue pecore, per radunarle dai “luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine”. Il pastore si prende cura di ogni pecora; riservando attenzioni diverse in funzione delle condizione di ognuna: la pecora smarrita, quella ferita, la grassa e la forte. Tutte però si trovano immerse nella nebbia, senza guida: e ad esse Dio fa una promessa di pace e prosperità: “Le pascerò con Giustizia”.Questa immagine è ripresa dal salmo responsoriale, dove il salmista esprime la pace e la sicurezza di chi riconosce in Dio il proprio pastore e per questo “non manca di nulla”: come una pecorella è condotto a riposare su pascoli erbosi e ad abbeverarsi ad acque tranquille. E' un orizzonte limpido di pace e serenità che si alza oltre la nebbia dello smarrimento e della paura.           La nebbia è spesso la condizione della nostra vita: la presenza del male, della sofferenza, della morte offuscano il senso delle nostre azioni e delle nostre convinzioni; contraddicono quanto di bello sperimentiamo e costruiamo. A volte l'oscurità sembra avere l'ultima parola. La vita stessa con tutte le sue meraviglie perde di significato di fronte al male che sembra prevalere nelle vicende umane. E' la considerazione di Amleto in un celebre passo della tragedia di Shakespeare, quando - sopraffatto dal dolore per la morte del padre e per il deprecabile comportamento della madre - mette in discussione la bellezza dell'intera creazione e quella presente nell'uomo stesso:“..Questa bella architettura, la terra, mi sembra ora uno squallido promontorio e perfino il leggendario coperchio del cielo vedete! questo tanto magnifico firmamento, questo tetto superbo punteggiato di fuochi d’oro! beh non sembra più altro a me che un cumulo marcio di pestilenziali vapori! Che grande capolavoro è l'uomo, così nobile nella ragione, così infinito nelle sue facoltà! Nella forma e nel movimento così solerte, così ammirevole! Nell'azione così simile ad un angelo, nel pensiero quasi uguale a un Dio... E ' il centro dell' universo! Superiore a tutti gli animali! Tuttavia per me non è nient’altro che fango! “.           Quante volte sperimentiamo in noi stessi la nebbia del non senso: di fronte al dolore, alle nostre contraddizioni e limiti, all'inevitabile fine di ogni cosa.In questo smarrimento, però, risuona l'annuncio misterioso e meraviglioso del vangelo: la nostra vita ha un senso perché voluta dall'amore di Dio. Ogni buio, ogni nebbia, ogni dolore, sono stati attraversati da Dio in Gesù Buon Pastore che si è fatto uomo calandosi nella nostra oscurità per dimostrarci il suo amore. E' a quest'orizzonte luminoso che ci invitano a guardare le letture della festa di Cristo Re.“Se anche attraversassi una valle oscura non temerei alcun male, perché tu sei con me”- recita il salmo.            Così commenta Benedetto XVI queste parole: “Il vero pastore è Colui che conosce anche la via che passa per la valle della morte; Colui che anche sulla strada dell'ultima solitudine, nella quale nessuno può accompagnarmi, cammina con me guidandomi per attraversarla: Egli stesso ha percorso questa strada, è disceso nel regno della morte, l'ha vinta ed è tornato per accompagnare noi ora e darci la certezza che, insieme con Lui, un passaggio lo si trova. “           E' un mistero immenso quello che sta davanti ai nostri occhi: il sacrificio d'amore di Gesù. La sua morte e risurrezione ci hanno aperto la strada dell'Amore vero, chiamandoci al bene, alla verità, all'onestà. Una strada che ci chiede di opporci e resistere al male che abita anche in noi, in risposta al suo amore. Una strada che ha per meta il cielo, il compimento di noi stessi in Dio. E' la meta descritta nel passo di vangelo che ascolteremo domenica.            Il paradiso: la partecipazione piena al regno d'amore instaurato da Gesù, in cui trovano compimento tutti gli atti d'amore compiuti in vita.Ogni uomo è misteriosamente chiamato sulla strada indicata dal Buon Pastore, in obbedienza ai dettami della coscienza e nella ricerca della giustizia e dell'amore. Una strada incerta, però: che può essere sempre messa in discussione dalla nebbia del male e della disperazione.Quanto grande invece è il dono e insieme il compito ricevuto da chi ha conosciuto l'amore di Gesù e sa di camminare sulla strada sicura che è Lui Stesso. E' il dono di una speranza che va oltre la morte.           Nell'inferno di Aushwitz san Massimiliano Kolbe testimoniò questa speranza donando la sua vita per un altro detenuto; portando così nella condizione disperata del campo, dove ogni bellezza e ogni forma di bene erano negati, la certezza dell'Amore di Dio. L'orizzonte di un cielo limpido oltre quelle mura di morte.La festa di domenica ci chiama ad alzare lo sguardo oltre la nebbia e a lasciarci sorprendere dalla bellezza della meta a cui siamo chiamati, come una giornata dal cielo azzurrissimo. Un orizzonte capace di donarci nuova forza e speranza per il cammino. Un cielo che, se risplende in noi, può essere segno per tutti coloro che si trovano nella nebbia e sono alla ricerca della voce del Buon Pastore. A questo altissimo compito ci invita la bellissima invocazione che chiude la preghiera dei fedeli nella liturgia della festa di Cristo Re:“O Padre, che hai inaugurato il tuo Regno di amore con la risurrezione di Cristo, rendici operai appassionati e sinceri, affinché la regalità del tuo Figlio venga riconosciuta in ogni angolo della terra. Te lo chiediamo per Cristo nostro Signore.”      
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