Omelia del Rettor Maggiore per la Festa di San Francesco di Sales a Treviso. Chiediamo al Signore la grazia di riscoprire e fare nostre le grandi virtù di San Francesco di Sales, quelle che portarono il nostro padre a sceglierlo come suo e nostro modello.
«Il Buon Pastore offre la vita per le pecore»
Festa di San Francesco di Sales
Gc 3,13-18; Sal 34; Gv 10,11-16
(nella foto la reliquia del cuore di San Francesco di Sales
conservata nel monastero delle visitandine di Treviso)
Celebriamo quest’oggi la festa di San Francesco di Sales, il dotto umanista, grande direttore spirituale e generoso pastore a cui Don Bosco si ispirò, sì da sceglierlo come patrono della Congregazione Salesiana proponendocelo come modello di zelo pastorale, di amorevole bontà, di fiducioso umanesimo e di santa intraprendenza.
La liturgia è un inno di lode a Dio che in San Francesco di Sales ci ha fatto vedere e gustare “la dolcezza del Suo amore di Padre”, rendendo più semplice “a tutti la vita della santificazione”. San Francesco si caratterizzò infatti per il suo “cuore mitissimo”, modellato “secondo il cuore” del Padre e “ricolmato dello Spirito di dolcezza”. Fu e continua ad essere un maestro sicuro di vita spirituale, ricco della sapienza che viene dall’alto, fatto tutto a tutti nella carità pastorale, impegnato “a restaurare l’unità dei credenti nel vincolo della carità e della pace”. La sua celebrazione è un invito a lavorare “in ogni circostanza della vita” all’insegna di questa carità benigna, paziente e operosa, in modo da permeare di spirito cristiano le varie strutture ecclesiali, sociali, politiche, economiche e culturali per renderle più umane.
Le letture che abbiamo ascoltato ci aiutano a penetrare nel cammino spirituale percorso dall’eccelso santo francese, che durante i suoi studi di avvocato nell’Università di Padova subì una grave crisi, che può essere considerata come “la Notte Oscura dello Spirito”, adoperando questa categoria di San Giovanni della Croce. Egli si sentì trascinato alla disperazione perché pensava che lui si sarebbe perduto per sempre nell’inferno. Pregando dinanzi a una immagine della Madonna ritrovò la serenità del cuore e dello spirito e fece un voto perpetuo di castità. Perciò tornando in Francia rifiutò il piano di suo padre che lo voleva far diventare senatore, non accettò il matrimonio che gli era stato preparato dal padre, e piuttosto gli fece sapere il suo desiderio di diventare prete.
Ordinato prete nella diocesi di Ginevra, in un ambiente calvinista, Francesco si diede con grande entusiasmo alla missione di riportare gli eretici alla fede. Combatté l’eresia, insegnò catechismo ai giovani e agli adulti, ricostruì chiese e scrisse opuscoli. A poco a poco Dio benedisse il suo lavoro e crebbe il numero di persone che venivano ad ascoltare le sue prediche e si convertivano, sia per la sua straordinaria bontà e semplicità, la sua pazienza e simpatia, sia per la lucidità dei suoi argomenti. Lavorando instancabilmente da buon pastore, Francesco riuscì a convertire più di 70.000 calvinisti. Certo, vedendo il suo grande successo, alcuni ministri protestanti si irritarono e cercarono un aguzzino che lo assassinasse, ma senza riuscirci.
Nominato vescovo di Granier, essendo trentaduenne, esercitò durante 20 anni un ministero esemplare da buon pastore, totalmente dimentico di sé stesso e completamente dedicato al suo gregge. Visitando le parrocchie della diocesi, predicava ovunque, ascoltava confessioni, riformava comunità religiose, faceva il catechismo, organizzava sinodi per il suo clero, e parlava in modo tale da essere capito da tutti.
Attraverso le sue molteplici attività educò il popolo cristiano e gli mostrò che la santità era raggiungibile in qualsiasi stato di vita e che questo dava luogo a una diversa spiritualità. Egli considerava un’eresia l’affermare che ci fosse uno stato di vita incompatibile con la pietà. In effetti, introdusse alla “vita devota” coloro che volevano servire Cristo, aprendo loro i segreti dell’amore di Dio, facendo attenzione alla vita spirituale anche dentro il campo di azione dei laici, e rendendo piacevole e desiderabile la devozione.
Stupisce il fatto che, in mezzo a questa instancabile attività, il Vescovo di Ginevra trovasse tempo per portare avanti una voluminosa corrispondenza e per scrivere opere veramente maestre per la guida spirituale: “Introduzione alla vita devota”, “Trattato dell’amore di Dio”, “Conferenze spirituali”. Il primo è indirizzato particolarmente ai laici e continua ad essere di grande validità e attualità.
A livello salesiano, oltre a questi elementi così fortemente valorizzati da Don Bosco, la figura di San Francesco di Sales ci si presenta come modello per la sua gentilezza, bontà e mitezza nei confronti di qualsiasi persona. Non per caso è chiamato “il più gentile dei santi”, “il dottore della carità”, “il più umano e amorevole dei santi”. Leggendo la sua biografia e conoscendo quanto ha dovuto soffrire da parte di coloro che erano dispiaciuti per la sua bontà, persino diffamazioni e calunnie, sappiamo che la sua mitezza era non naturale ma frutto dello Spirito attraverso l’educazione e lo sviluppo di quei valori e di quelle virtù indicate da Paolo nella lettera ai Galati (5, 22). Secondo i suoi biografi, per natura Francesco era irritabile, focoso. E fu soltanto dopo anni d’intenso e paziente sforzo che lui diventò gentile, tenero, mite, santo.
Anche l’umanesimo di Don Bosco s’ispira a quello di San Francesco di Sales, e si traduce nell’amore e stima per la natura e accettazione dei valori umani e della bontà dell’uomo, nell’amore per l’arte e le espressioni della bellezza, nell’amore e stima per le buone maniere, nell’amore e stima per l’affetto umano.
L’articolo 17 delle Costituzioni ha raccolto questa esemplarità del Vescovo di Ginevra: “Ispirandosi all’umanesimo di san Francesco di Sales, (il Salesiano) crede nelle risorse naturali e soprannaturali dell’uomo, pur non ignorandone la debolezza. Coglie i valori del mondo e rifiuta di gemere sul proprio tempo: ritiene tutto ciò che è buono, specie se gradito ai giovani. Poiché annuncia la Buona Novella, è sempre lieto. Diffonde questa gioia e sa educare alla letizia della vita cristiana e al senso della felicità: «Serviamo il Signore in santa allegria»”.
In questo secondo anno del triennio di preparazione al bicentenario della nascita di don Bosco, in cui siamo inviati a contemplarlo come educatore e fare nostra la sua esperienza spirituale e apostolica, che rese santo educatori ed educandi, chiediamo al Signore la grazia di riscoprire e fare nostre le grandi virtù di San Francesco di Sales, quelle che portarono il nostro padre a sceglierlo come suo e nostro modello.
Pascual Chávez V., SDB
Treviso – 26 gennaio ‘13
Don Pascual Chavez
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