Ora tocca a me.

Sono convinto che oggi, vicino a Betania, è nata la nostalgia, non quella che ti fa buttare sul letto dicendoti in lacrime «Non sarà più come prima», bensì quella nostalgia che ti spinge a ricreare la presenza dell'amato tra le pieghe e le piaghe della tua storia. E questa è una nobile nostalgia. Una nostalgia che ti fa desiderare l'amato al punto da voler essere come lui...

Ora tocca a me.

da Teologo Borèl

del 20 maggio 2007

C’ero anch’io quel giorno con gli apostoli vicino a Betania… Mi ero intrufolato perché avevo intuito che sarebbe capitato qualcosa di particolare. D’altra parte era un po’ di giorni che mi chiedevo quanto sarebbe andata avanti la storia delle apparizioni di Gesù. E così avvenne…

Dopo 40 giorni dalla Pasqua Gesù «condusse i suoi verso Betania» passando vicino al Getsemani. Pietro fece quel tratto di strada a testa bassa, mentre gli altri apostoli si guardavano l’un altro con timore quasi a dire: «Anch’io l’ho lasciato solo dopo quella sera».

Giunti sul luogo, poche parole e poi accadde l’inaspettato. «Il Signore fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse a loro sguardo» spiazzando tutti. Fossimo vissuti nell’anno 2000 avrei pensato a qualche effetto speciale di quelli che si usano nei film, ma siamo semplicemente poco dopo l’anno zero… La scena così come era divina e maestosa allo stesso modo era umana e, permettetemi, un po’ buffa. Gli apostoli stavano lì, con il naso all’insù, in silenzio, un po’ stupiti e un po’ smarriti, un po’ contenti un po’ preoccupati, un po’ esterrefatti e un po’ rammaricati. Sembrava che il tempo si fosse fermato… Penso che se non fossero apparsi i due uomini in bianche vesti sarebbero ancora là col naso all’insù!

Così come mi ero intrufolato allo stesso modo, in sordina, mi defilai per conto mio ma non prima di aver sentito il fatidico interrogativo che quasi coralmente si impose tra loro.

«E adesso?». Proprio così si domandarono: «E adesso… cosa accade? Che facciamo?». Qualcuno bisbigliò: «Ma non poteva stare con noi? Perché se n’è andato? Perché ci ha lasciati?». Pietro, uomo concreto, prese la parola per ultimo e, con gli occhi di tutti fissati su di lui, disse dirimendo la questione: «E adesso tocca a noi. Poche storie. Tocca a noi. Se n’è andato perché altrimenti non ci saremmo mai rimboccati le maniche». Pensai lo stesso anch’io… Sì, tocca a noi, tocca a te, tocca a me. Poche storie: ora tocca a noi. Ebbi questa intuizione: ora Gesù continua a farsi presente ad agire attraverso me, attraverso te.

 

Tornato a casa di corsa, lasciando gli apostoli alle loro domande, volli appuntare sul mio diario quel prodigioso, e un po’ anche simpatico, evento. Ma la mia penna ribelle invece di descrivere l’accaduto cominciò, con un po’ di presunzione, a disquisire e a cercare di immaginare i pensieri che animavano la mente di quei 12 uomini.

Scrissi… L’alternativa è molto semplice: o rimanere con il naso all’insù a rimirare ed ammirare le gesta del Signore così come si fa nei musei in un ricordo fine a se stesso e che fa solo male perché ne accentua la mancanza, oppure passare all’imitazione. Anch’io devo decidermi. Nella mia breve vita di uomo che si intrufola nelle vicende altrui ho capito che non c’è ricordo che possa rimpiazzare l’assenza di una persona cara, né è cosa questa che dobbiamo tentare di fare. Ho imparato che neanche ricordare Gesù mi basta per superare la nostalgia della sua presenza. L’assenza è un fatto che bisogna semplicemente sopportare e davanti al quale bisogna tener duro; a prima vista sembra molto difficile, mentre è anche una grande consolazione; perché restando effettivamente aperto il vuoto, si resta anche reciprocamente legati da esso. Sì, in questo giorno ho capito che i dolorosi deserti della mia anima non sono il luogo in cui Gesù non c’è, ma lo strumento che ci lega a Lui.

Sono convinto che oggi, vicino a Betania, è nata la nostalgia, non quella che ti fa buttare sul letto dicendoti in lacrime «Non sarà più come prima», bensì quella nostalgia che ti spinge a ricreare la presenza dell’amato  tra le pieghe e le piaghe della tua storia. E questa è una nobile nostalgia. Una nostalgia che ti fa desiderare l’amato al punto da voler essere come lui. Chissà se io avrò questa nobile nostalgia di Gesù…

Vorrei ora uscire fuori di casa e correre verso gli apostoli e a tutti coloro che hanno conosciuto Gesù per dire loro di non lasciarsi andar al vacuo ricordo, di non accontentarsi di fare dei bei momenti vissuti un soprammobile o un quadretto da appendere in casa. Ricordare una persona cara significa perpetuare il bene da lei tracciato, fare come lei ha fatto, fare in modo che ancora viva. Solo così il ricordo sarà più forte della tentazione di archiviare nel dimenticatoio anche i momenti più belli.

A proposito… Ho letto nel Talmud che Dio creò dieci cose forti. La roccia è forte, ma il ferro può spezzarla. Il ferro è forte, ma il fuoco può rammollirlo. Il fuoco è forte, ma l'acqua può spegnerlo. L'acqua è forte, ma le nubi possono trasportarla. La nube è forte, ma il vento può disperderla. Il vento è forte, ma l'uomo può sopportarlo. L'uomo è forte, ma la paura può spezzarlo. La paura è forte, ma il vino può affogarla. Il vino è forte, ma il sonno può cancellarlo. Il sonno è forte, ma la morte è ancora più forte.

La morte è forte, ma il ricordo che conduce all’imitazione è ancora più forte perché fa rivivere chi non c’è più e vivere chi c’è ancora e chi ci sarà.

Avevano ragione i due angeli: «Perché state a guardare il cielo?». Perché fate delle vostre esperienze semplicemente un album di ricordi da sfogliare ogni tanto? Lascia stare… perché ora tocca a te. Non hai tempo di sfogliare i ricordi, perché ora tocca a te.  Non è più il tempo del rimpianto perché adesso tocca a te: non tirarti indietro. Gli angeli sembrano voler dire: «Non basta ammirare, dovete piuttosto imitare Gesù». E io, giovane scrittore che si intrufola nelle vite, altrui vorrei dire: «Guardatelo pure negli occhi il vostro Gesù, ma non per dire “Quanto mi manchi”, ma per esclamare “Vorrei essere come te”». Gli angeli sembrano far intendere: «La tua vocazione la trovi lì dove farai vivere Gesù», lì dove qualcuno guardandoti ti dirà: «Sembri Gesù...».

 

Ma in questo giorno in cui scriverò sul mio diario fin che il sole me lo permetterà, voglio appuntarmi un particolare, un gesto di quell’evento che non posso dimenticare perché è l’ultima cosa che ha fatto Gesù. É successo così: «Li condusse fuori verso Betania e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva si staccò da loro».

Bello! L’ultimo gesto non è stato un “ciao” fatto con la mano o un saluto di circostanza, bensì una benedizione. Il ricordo mi commuove perché è come se le ultime parole di Gesù fossero state: «Tu sei benedetto… C'è del bene in te… Ti saluto dicendoti che sei fatto di bene e che io credo in te». Così accadde. Il bello è che benedisse tutti senza distinzioni nonostante quello che accadde quaranta giorni prima.

Io dovevo ancora nascere quando quel giorno ad Ain Karem si incontrarono Maria e la cugina Elisabetta. Questa disse: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!». L’esistenza di Gesù, già vivo nel grembo di Maria, comincia con una benedizione e termina con una benedizione. Mi piace pensare che la mia storia, che ogni storia comincia e finisce con una benedizione. Una benedizione ha lasciato il Signore, non un giudizio; non una condanna o un lamento o una ingiunzione, ma una parola bella sul mondo, una parola di stima, quasi di gratitudine. Sono convinto che forti di questa benedizione i discepoli cominceranno ora il loro cammino fino ai confini della terra. Andranno in luoghi che nessuna agenzia turistica è in grado di prevedere.

 

È giunta ormai la sera di questo grande giorno… E io che mi impiccio delle storie altrui ora non so che fare perché ho scoperto che Gesù si è inaspettatamente intrufolato nella mia vita. Pensavo fosse salito davvero al cielo e invece mi sembra che viva dentro di me. Il cielo è dentro me…perché Gesù è asceso dentro di me: dentro di me ora vive. E mi sembra di sentire come in un eco le sue parole: «Se vuoi vivere davvero, ora tocca a te».

Gli apostoli lo capirono.

I santi anche.

Ora tocca a me.

I.B.

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