Oratorio respiro dell'anima

Mi commuove rivolgermi a Dio che già nel grembo materno, «prima che nascessi», pensava a me: il suo sguardo d'amore mi ha generato l'anima. Non solo corpo ma anima, che ha bisogno di respirare, di prendere fiato, di dialogare con Dio, con chi fa parte della sua famiglia.

Oratorio respiro dell’anima

da L'autore

del 23 gennaio 2008

Mi commuove rivolgermi a Dio che già nel grembo materno, «prima che nascessi», pensava a me: il suo sguardo d’amore mi ha generato l’anima. Non solo corpo ma anima, che ha bisogno di respirare, di prendere fiato, di dialogare con Dio, con chi fa parte della sua famiglia.

Mi è naturale, ripescando nelle memorie, in quelle di tanti miei amici, che le hanno condivise, definire l’oratorio come il luogo dove l’anima respira di Dio, attraverso le persone che si incontrano, il prete, il catechista, l’animatore, gli amici, la Messa della domenica alle 7.15, perché poi si doveva giocare la partita, la benedizione eucaristica, seguita dal cinema, dove entravi con lo sconto, se avevi il timbro della Messa e del catechismo frequentato, piccoli trucchi inventati dal prete dell’oratorio per stimolarci a essere presenti quando il respiro dell’anima richiedeva maggiore impegno e sacrificio.

Sono memorie di tradizioni, di stili di vita, di testimoni, di gioco, di teatro, di musica, di carità, di incontro con la Chiesa, con il Signore, che sono state un bagaglio notevole nel cammino della vita.

Il senso della Pasqua, che ha dato colore di speranza alla mia vita di educatore, risale al mattino del Sabato Santo, quando, nella mia infanzia, al suono delle campane, gioioso annuncio della Risurrezione di Cristo, noi ragazzini, su consiglio dei nostri catechisti, ci bagnavamo gli occhi con l’acqua benedetta, altrimenti la luce del Cristo risorto ci avrebbe accecati. In quel mattino, portavo con me una bottiglietta di acqua santa per paura di non averla a disposizione al momento giusto.

Era una tradizione ingenua, ma la sua memoria ancora oggi ricrea in me lo stupore di Maria al sepolcro vuoto. La festa di Pasqua era per noi ragazzi d’oratorio memoria ricca di speranza, che coronava la riflessione mensile sul tema della morte, «un punto d’arrivo» che andava preparato alla lontana per vincere l’angoscia di chi la sente come sconfitta della vita, fine di tutto. È all’oratorio che ho imparato a recitare il Credo nella risurrezione dei morti, a dire il vero, più facile da recitare che da credere profondamente.

Ma l’oratorio d’oggi ha la stessa efficacia nel cuore di ragazzi che crescono nel mondo del virtuale e del consumo, della gioia a facile prezzo, per cui non si bagnano più gli occhi, quando suonano le campane della Risurrezione, non credono nella vita eterna e, crescendo, ritengono la religione un «optional», del quale si può fare a meno? Credo di sì! I tempi sono cambiati, ma lo sguardo di Dio si posa ancora su ogni bimbo o bimba che nasce, che ha bisogno di respirare il Divino.

Là dove non ci sono gli oratori, ci sono associazioni, gruppi e movimenti, vero dono di Dio alla Chiesa, con cammini di formazione impegnativi, troppo ardui a volte per ragazzi e giovani che non sono cresciuti nella fede, per altri culturalmente poveri, per chi ha problemi legati al disagio; ardui anche per giovani, che hanno fatto delle scelte forti nel volontariato, pronti a dare tempo e denaro per i poveri, ma restii ad affrontare un discorso religioso, delusi da precedenti esperienze negative di Chiesa, comunque pronti a sostenere un oratorio aperto, accogliente, con proposte umane alla loro portata, con itinerari differenziati, che portano a scelte più mature nel campo della fede e della carità.

 

Da: Vittorio Chiari, Un giorno di 5 minuti. Un educatore legge il quotidiano

don Vittorio Chiari

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