Come passare dal gioco alla preghiera? Come integrare le attività di gruppo con la preghiera? Come far sl che la preghiera sia significativa ed anzi espressiva di tutta la vita oratoriana? Da luogo dove si ritrovavano i «ragazzi cristiani», deve diventare luogo in cui si propone ai ragazzi di diventare cristiani.
del 17 aprile 2012 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 
 
           Parlare di preghiera e oratorio rischia di diventare un discorso troppo vasto o troppo sbrigativo. Si entra infatti nel vivo di una serie di problemi su cui non si può sorvolare velocemente ed il cui approfondimento richiederebbe più che un articolo.
           Dire oratorio e preghiera è intanto diverso che dire catechesi e preghiera. All'oratorio, oltre che pregare, si gioca, si fa vita di gruppo, ci si dedica ad interessi come la musica e l'espressione... La presenza di queste attività pone in primo piano il problema della integrazione non solo tra fede e attività umane ma anche tra queste attività e la preghiera. Come passare dal gioco alla preghiera? Come integrare le attività di gruppo con la preghiera? Come far sl che la preghiera sia significativa ed anzi espressiva di tutta la vita oratoriana?
           Preghiera e oratorio sono, tra l'altro, due termini il cui contenuto è oggi in fase di ripensamento. Basti pensare, per la preghiera, al modo di pregare di non molti anni fa e al modo di pregare delle nuove generazioni. Si pone il problema: cosa è preghiera oggi? A quale preghiera educare?
           L'oratorio, da parte sua, sta cercando un suo nuovo modo di esistere. A seguito dei cambiamenti socioculturali operatisi in Italia in questi anni, il classico oratorio è scomparso ed un nuovo tipo di oratorio stenta ad affermarsi. Quale il volto dell'oratorio, gli obiettivi e le strategie educative di un oratorio nel pluralismo ideologico e pratico della nostra società?
           Il ripensamento dei due termini ripropone in modo nuovo il rapporto tra oratorio e preghiera. Qual è la funzione dell'oratorio nella educazione alla preghiera? A questi interrogativi tenteremo di dare una risposta delineando prima il nuovo rapporto tra preghiera e oratorio, poi precisando in quali termini parliamo di preghiera. Dopo affronteremo il tema degli spazi di educazione alla preghiera e degli interventi educativi.
ORATORIO E PREGHIERA NELLA NUOVA SITUAZIONE SOCIOCULTURALE            Sia per la educazione alla fede che per la educazione alla preghiera l'oratorio si trova in una situazione paradossale: da una parte sono aumentate le sue responsabilità e dall'altra è diminuito il suo peso educativo. L'educazione alla fede era, nella cosiddetta società cristiana, compito di diverse istituzioni ecclesiali (famiglia, parrocchia, oratorio...) che, fra l'altro, operavano in un clima sociale di respiro, almeno formalmente, cristiano. In quel contesto diventare cristiani e imparare a pregare era abbastanza facile.
           Oggi il contesto socioculturale è mutato. Il peso educativo delle istituzioni ecclesiali è diminuito notevolmente, oratorio compreso, al quale tuttavia rimane ancor oggi un certo margine di azione. Soprattutto in confronto alla scarsa incidenza delle altre forze educative cristiane.
           A questo aumento di responsabilità si accompagna però, a livello sociale, un minor peso educativo. Basta pensare alla importanza educativa che sta assumendo la scuola a tempo pieno e lo sviluppo dello sport, che finisce per occupare molto del tempo libero dei ragazzi, l'invadenza dei massmedia.
           L'oratorio è dunque chiamato a produrre un impegno maggiore anche per la educazione alla preghiera. In effetti non si tratta solo di aiutare a scoprire il valore della preghiera. La preghiera è un punto di arrivo di un cammino di fede. Nel passato si poteva presumere che il ragazzo che veniva all'oratorio avesse percorso o stesse percorrendo un certo cammino di fede. Oggi questo, per molti ragazzi (anche se hanno frequentato la catechesi sacramentale) non è più vero. L'oratorio, se vuole educare a pregare, deve farsi carico di tutto il cammino di fede. Da luogo dove si ritrovavano i «ragazzi cristiani», deve diventare luogo in cui si propone ai ragazzi di diventare cristiani. E da luogo in cui i ragazzi cristiani si ritrovano per pregare deve diventare «scuola di preghiera», nel senso più comprensivo del termine.
           A questo ruolo di scuola di preghiera l'oratorio è chiamato in una società che non privilegia affatto le scelte e i valori umani che sono alla base della preghiera. La società in cui viviamo, per molti versi, spegne il desiderio della preghiera. L'oratorio nel suo insieme è allora chiamato a far sperimentare ai ragazzi certi valori alternativi e a far compiere certe scelte che conducono alla preghiera. Prima che far pregare deve suscitare la domanda, il desiderio di pregare.
Verso nuovi metodi educativi 
           La nuova situazione mette in crisi anche i metodi educativi che caratterizzavano il vecchio oratorio. E' necessario percorrere nuove strade. Senza rimpianti. E' l'invito che i vescovi francesi rivolgono agli educatori della fede, al termine di uno studio sulla nuova situazione in cui vengono a trovarsi i ragazzi davanti alla fede e alla Messa. «Da alcuni anni i nostri fanciulli vengono iniziati alla celebrazione della Messa e vi partecipano in condizioni assolutamente nuove. Non è difficile constatare che sono avvenuti dei cambiamenti nei princìpi e nelle applicazioni: più in generale, tutto il contesto è in piena evoluzione. Non serve a niente allora fare confronti e valutazioni sul metodo passato e del presente; serve invece a prendere atto delle novità, entrare decisamente nel nuovo clima e fissare degli obiettivi adeguati».  
           Un'ammonizione che invita ad abbandonare metodi educativi fondati sull'obbligo di partecipare ad un certo numero di pratiche o di pregare perché si deve pregare, sull'accento posto unicamente sull'informazione e istruzione su cosa sia la preghiera, sulla pretesa di educare in massa facendo mandare a memoria delle formule o facendole ripetere meccanicamente per anni.
           Un'ammonizione che invita ad accettare realisticamente che molti ragazzi che girano per i nostri oratori non sanno affatto pregare e che è importante, prima di farli pregare, educarli a pregare, e, più a monte, educarli a vivere cristianamente, rifiutando approcci moralistici sul tipo «se non preghi, non sei un bravo ragazzo».
           Un'ammonizione infine che invita da una parte ad un atteggiamento di profondo rispetto per il ragazzo e al rifiuto di qualsiasi violenza, ideologica o morale (quanti educatori tentano quasi un ricatto affettivo per condurre i ragazzi alla preghiera?) e dall'altra offrire loro «occasioni» di maturazione, tenendo conto che un certo modo di condizionare i ragazzi al fine della riuscita immediata di una proposta di preghiera, genera nel giro di pochi anni, rifiuto viscerale di tutto ciò che riguarda la proposta stessa.
  
PREGARE «DENTRO» LA PASQUA DI CRISTO E DELLA STORIA 
           A quale tipo di preghiera educare oggi i ragazzi? La risposta non è facile anche perché, in fondo, non può e non deve esistere un solo tipo di preghiera cristiana. Ci sono tuttavia alcuni orientamenti di fondo, nati con il concilio e con la riscoperta della parola di Dio e della liturgia, che devono giudicare ogni preghiera e indicare il cammino verso nuove forme. 
Il superamento dell'utilitarismo, moralismo e devozionalismo 
           Il primo orientamento riguarda la verifica della funzione della preghiera nella vita e si concretizza nello sforzo in atto oggi nella chiesa di superare atteggiamenti utilitaristici, residui di mentalità egocentrica pronta a strumentalizzare Dio più che ad accettare Dio, e moralistico-didattici di chi vuol fare della preghiera la scuola di tutto, luogo in cui si insegna come vivere, più che luogo in cui si ritrovano, nel dialogo con Dio, le sorgenti della vita.
           Si sta attuando oggi, nella preghiera di molti cristiani, giovani soprattutto, il passaggio «dall'usare Dio al godere Dio» (Moltmann): gioiosa scoperta del libero e gratuito dialogo con Dio, aprirsi disinteressato alla contemplazione del «tu» di Dio, godere della sua presenza e sentirsi messi in crisi dal suo amore. Una preghiera che è momento di suprema libertà, dignità umana, realizzazione di senso.
            Il secondo orientamento, più teologico, è lo sforzo per superare il devozionalismo verso una preghiera più incentrata nel mistero e nella iniziativa di Dio, più biblica e più liturgica. La diversità tra preghiera devozionale e preghiera biblico-liturgica è da rintracciare in una serie di accentuazioni diverse. La preghiera devozionale accentua lo sforzo dell'uomo mentre quella liturgica si immerge nell'iniziativa divina; la preghiera devozionale gira quasi sempre attorno alla invocazione, fino a cadere nel rischio di rifarsi ad un «Dio tappabuchi», mentre quella liturgica vuol contemplare Dio, godere della sua presenza, ringraziarlo e lodarlo per se stesso; la preghiera devozionale insiste sul valore di ciò che si sta facendo quando si prega, mentre quella liturgica ritrova il suo centro nel quotidiano che celebra come luogo di salvezza; la preghiera devozionale è individualista (anche se si è in molti a pregare, ognuno fa la sua preghiera) mentre la liturgica è per sua natura comunitaria (e prega la gioia e l'impegno di esser comunità); la preghiera devozionale manca spesso di cristocentrismo (prega i santi) mentre quella liturgica è incentrata su Cristo e la sua Pasqua. 
Pasqua nell'oggi e incontro con Dio 
           La teologia della preghiera cristiana è dominata da due affermazioni: la centralità della Pasqua come evento unico che iniziato con la risurrezione di Cristo sta invadendo la storia e il fatto che per incontrare Dio non dobbiamo fuggire dal quotidiano (e dagli uomini), perché il quotidiano, la storia, l'uomo, il povero sono per noi sacramento dell'incontro con Dio.
           La preghiera cristiana nasce con la Pasqua, perché con la Pasqu. la storia è entrata definitivamente nei «tempi nuovi» promessi da Dio. Da quel momento la storia è luogo della proposta di salvezza di Dio all'uomo e ogni gesto umano è risposta all'appello pasquale che il Padre fa all'umanità. La salvezza è presente oggi, in mezzo a noi, nelle cose che facciamo, nel quotidiano.
           Il quotidiano è così luogo di incontro con Dio. Nel racconto del giudizio universale (Mt 25), Gesù ci rivela che incontrare l'uomo, servire il povero, dare da mangiare a chi ha fame è incontrare Cristo, servire Cristo, dare da mangiare a Cristo. Come cristiani sappiamo che per incontrare Dio non dobbiamo rifugiarci in un luogo santo, in un tempo santo, fuori dalla storia, lontano dagli altri uomini. Tutto questo è determinante per la preghiera. Un cristiano non va a pregare per incontrare un Dio che non incontra altrove. Va invece a pregare per portare a pienezza quell'incontro con Dio che vive realmente nella vita di ogni giorno. Anzi la preghiera è «celebrazione» di questo incontro. Pregare, per un cristiano, è riprendere in mano, con atteggiamento celebrativo, le gioie e le angosce, le tristezze e le speranze in cui matura oggi la Pasqua della storia; pregare è celebrare quel Dio che si è fatto uomo e continua ad essere uomo per salvare dal di dentro la storia dell'uomo; pregare è narrare la storia della salvezza che si compie oggi e proclamare che essa si sta compiendo in forza della morte e risurrezione di Gesù. 
Pasqua e modalità di preghiera 
           La scoperta della presenza della Pasqua di Cristo in mezzo a noi e la consapevolezza che Dio lo si incontra realmente nelle strade della vita sta trasformando la preghiera della chiesa.
           L'atteggiamento interiore che prevale è quello, già sottolineato, della celebrazione festosa. La preghiera esprime e realizza quella festa interiore che Cristo anima nel più profondo di ogni uomo (S. Atanasio). Una preghiera che non dimentica i problemi; aiuta anzi a ritrovare il senso della lotta contro le ingiustizie personali e collettive. La preghiera nasce sempre da una «festa nella lotta». Una preghiera che esalta Dio, ma anche l'uomo che di Lui non ha più paura, avendolo, in Cristo, riconosciuto come Padre. Dalla consapevolezza della propria dignità di figli nasce la lode, la contemplazione, l'azione di grazie. La preghiera più che richiesta di dialogo è risposta ad un appello. Più che iniziativa che parte dal basso è lasciarsi coinvolgere in una iniziativa dall'alto.
           Il cristiano invoca Dio: non ha paura di chiedere, anche se non chiede per egocentrico interesse; chiede perché si rende conto che la Pasqua di Cristo non è ancora compiuta in lui, negli altri, nella storia e partecipa dell'ansia di Cristo che vuole che il suo fuoco raggiunga tutta la terra.
           Non ha paura di chiedere perdono: per lui non è umiliazione ma occasione gioiosa per afferrare in profondità la presenza di un Dio che ama e perdona.  
VERSO UN ORATORIO  SCUOLA DI PREGHIERA 
           Abbiamo accennato all'inizio che oggi non basta più che all'oratorio si preghi, ma che è necessario che l'oratorio diventi autentica scuola di preghiera. Ma, ci chiediamo, quando un oratorio educa alla preghiera? A che cosa deve fare attenzione? Quali interventi educativi, e in che direzione?
           Una risposta la possiamo trovare, in modo per altro sintetico, in quello che, secondo alcuni, è uno dei migliori documenti della riforma liturgica, il Direttorio per la messa con la partecipazione dei fanciulli. Quello che il Direttorio dice della Messa ci sembra sia fondamentale per la preghiera in genere. 
Un progetto educativo unitario 
           Il Direttorio afferma anzitutto un principio di ordine generale che ha tuttavia delle conseguenze molto concrete: «la formazione liturgica (e al suo interno l'educazione alla preghiera) non deve essere separata dalla educazione generale, umana e cristiana». E prosegue dicendo che «sarebbe anzi nocivo che la formazione liturgica fosse priva di tale fondamento» (n. 8).
           La indicazione che possiamo ricavare è che non deve esistere una pastorale liturgica a se stante, ma deve invece esistere un progetto globale di educazione che al suo interno tiene conto anche della maturazione della capacità di pregare e celebrare.
           La realtà, a riguardo, non è molto confortante. I ragazzi sono sottoposti di continuo a tensioni emotive e comportamentali, causate dalla disparità di linee e metodi educativi perseguiti dalla famiglia, dalla scuola e dall'oratorio e alla frammentarietà e pressappochismo con cui vengono educati a raggiungere gli obiettivi. La frammentarietà è anche presente nel processo di educazione alla fede: c'è il momento della scuola di religione e il momento della catechesi nel gruppo oratoriano o parrocchiale, il momento della eucaristia e il momento della vita di gruppo. Momenti in genere distaccati tra loro perché manca negli educatori una precisa preoccupazione per far convergere i diversi momenti e gli interventi educativi che li caratterizzano in un progetto di azione uniforme.
           Non ha senso preoccuparsi in modo settoriale della sola educazione alla preghiera. L'educazione alla preghiera è pensabile solo dentro un progetto di umanizzazione e di catechesi che tenga conto della reale situazione sociale, culturale e religiosa dei ragazzi.
Tre aree di intervento per una pedagogia della preghiera 
           Il Direttorio non indica quali interventi educativi possono concretizzare un progetto unitario che tenga presente l'educazione alla preghiera. Indica tuttavia tre direzioni da privilegiare nel progettare gli interventi: l'esperienza dei valori umani, la catechesi, le celebrazioni di iniziazione. 
L'esperienza dei valori umani 
           Il Direttorio esorta anzitutto «tutti coloro che hanno compito educativo» (con i ragazzi) a unire i loro sforzi e le loro capacità «perché i fanciulli, già dotati di un certo senso di Dio e delle cose divine, secondo l'età e lo sviluppo raggiunto, facciano esperienza dei valori umani che sono insiti nella celebrazione eucaristica, come gli atti comunitari, il saluto, la capacità di ascolto, di chiedere e dare perdono, la riconoscenza, l'esperienza di atti simbolici, di un pasto tra amici, di una celebrazione festiva» (n. 9).
           L'indicazione è decisiva solo che si pensi che certi educatori credono di educare alla preghiera solo insistendo su quello che il direttorio ha chiamato «il senso di Dio e delle cose divine». Tutto, in questo caso, viene fatto dipendere in modo volontaristico dalla fede e amore di Dio. Se non si prega, dicono, è perché non si ha abbastanza fede. Si dimentica che un conto è amare Dio ed un conto è essere capaci di concretizzare questo amore nella preghiera. Si dimentica che tra l'amore di Dio e la preghiera stanno delle strutture umane che non sono innate ma che bisogna invece educare. Chi ad esempio non è capace di ascoltare gli amici, gli adulti che gli parlano, come può essere capace di ascoltare la parola di Dio? E l'ascolto non è una struttura innata. E' qualcosa a cui bisogna educare, attraverso tutta una serie di interventi educativi. Chi non è capace di gustare lo stare con gli amici e il fare un pasto con loro, come può capire il simbolismo profondo del pasto eucaristico?
           Si fa più chiaro, a questo punto, come l'oratorio educa alla preghiera a tempo pieno. La capacità di ascolto la si educa mentre si sta in gruppo e mentre si cerca uno per la partita di calcio, mentre si è immersi nel rumore della città e mentre si è insieme in gita in montagna. E poiché ascoltare non è solo un fatto, un'azione, che si ripete nel tempo, ma valore a cui si crede, si vede perché è lo stile di vita oratoriana nel suo insieme che educa o meno alla preghiera come «ascolto». Un oratorio che non «ascolti» la società d'oggi ma viva chiuso tra quattro mura, non può educare alla preghiera-ascolto anche se l'educatore continuamente lo raccomanda.
           L'oratorio educa alla preghiera nel privilegiare un certo stile di vita, certi valori piuttosto che altri, un certo modello di ragazzo; educa mediante le sue strutture, i suoi orari, la logica di fondo che lo anima. Così, per concludere, un oratorio che dà vita ad uno sport aggressivo e competitivo o che semplicemente si accontenta di far giocare i ragazzi, disinteressandosi degli altri loro bisogni, non può educare alla preghiera, anche se invita ogni giorno i ragazzi in chiesa, perché il progetto di ragazzo che privilegia contraddice a fatti il bisogno e l'esigenza di preghiera. 
Il triplice compito della catechesi 
           «Spetta alla catechesi (eucaristica), prosegue il Direttorio allo stesso numero, coltivare questi valori umani in modo che i fanciulli, gradualmente e secondo l'età e le condizioni psicologiche e sociali, si aprano ai valori cristiani e alla celebrazione del mistero di Cristo» (n. 9).
           Il Direttorio assegna alla catechesi due obiettivi, in vista della educazione alla preghiera. Un terzo obiettivo lo troveremo più avanti, al n. 12. La catechesi deve aiutare il ragazzo a compiere due passaggi molto delicati.
           Il primo è il passaggio dalla comprensione umana dei fatti, come l'amicizia, il lavoro, il dolore ad una comprensione di fede che colga il significato definitivo, di salvezza, che in loro si realizza.
           Senza la comprensione dell'umano come fatto di salvezza non si entra nella dimensione della Pasqua di Cristo e non si entra neppure in quella forma di preghiera che abbiamo delineato all'inizio incentrata sulla Pasqua di Cristo e della storia.
           Questo non basta. Occorre aiutare a compiere un secondo passaggio: dalla comprensione dei fatti alla celebrazione dei fatti e di colui che in tali fatti si fa presente in mezzo a noi. La vita non basta comprenderla come salvezza, occorre celebrarla come luogo in cui Dio ci salva.
           Educare ad un atteggiamento celebrativo («la celebrazione del mistero di Cristo») significa portare gradualmente il ragazzo a reagire in modo entusiasta all'annuncio di fede che illumina la vita. Significa portarlo ad affermare, con convinzione: «tutto ciò è bello, è grandioso, è entusiasmante!». Una catechesi che non susciti entusiasmo, ma si limiti invece a «spiegare» la vita, facendo appello alla sola intelligenza, non educa alla preghiera. Una catechesi nozionistica è la morte di ogni preghiera.
           Al n. 12 il Direttorio parla finalmente di quello che fino ad oggi era ritenuto il compito più importante della iniziazione alla messa e alla preghiera: spiegare quello che succede, presentare la messa nelle sue parti, far capire perché si fa un gesto. E' un aspetto importante della catechesi ma non il più importante.
           E' innegabile tuttavia che i ragazzi dei nostri oratori manchino anche di «informazione» su cosa sia pregare e celebrare. Per molti di loro, lo dicevamo all'inizio, è un mondo sconosciuto o conosciuto male. Anche perché nella informazione si è privilegiata troppo la parola e si è dimenticato che compiere insieme certi gesti, più o meno vicini a quelli della messa è informare in modo attivo. Solo vivendoli insieme, in modo accessibile e rispettoso del livello di maturità umano e di fede a cui è giunto il ragazzo, certi aspetti della messa e della preghiera diventano chiari per il ragazzo. 
Per una scuola di celebrazione
           In alcuni ambienti, perché i ragazzi siano in grado di pregare e celebrare è sufficiente motivarli alla preghiera suscitando in loro quell'atteggiamento celebrativo di fondo di cui abbiamo parlato. In altri ambienti l'approccio alla preghiera è più difficile. Soprattutto in questi casi, secondo il Direttorio, occorre fare attenzione alla grande importanza che «possono avere anche le diverse celebrazioni attraverso le quali il fanciullo riesce più facilmente a percepire, in forza della stessa celebrazione, alcuni elementi liturgici come il saluto, il silenzio, la preghiera comune di lode, specie quella eseguita da tutti con il canto. Si eviti però di dare a queste celebrazioni una impostazione eccessivamente didattica» (n. 13).
           La novità di una proposta del genere, che fra l'altro risponde agli orientamenti di fondo di tutta la pedagogia moderna che mette in rilievo che il ragazzo si educa «facendo» e cioè nella azione, nel movimento, nelle esperienze, è da cogliere sullo sfondo di una certa tradizione educativa cristiana. Del resto ancor oggi, spesso, per educare a pregare, si richiama l'importanza della partecipazione alla messa domenicale e delle preghiere del buon cristiano. Più di rado si offre ai ragazzi la possibilità di partecipare ad altre forme di preghiera. Tutt'al più ci si limita a delle eucarestie di gruppo infrasettimanali.
           Senza negare gli aspetti positivi di questa tradizione, occorre anche dire che oggi questo è insufficiente. La eucaristia e le preghiere del buon cristiano possono servire per pregare, ma difficilmente possono servire per educare a pregare. Le preghiere del buon cristiano, a parte la teologia superata di alcune formule, sono troppo povere come stimoli e possibilità di partecipazione. Concedono ben poco alla espressione, al movimento, alla fantasia, alla festa.
           Quanto alla eucaristia crediamo intanto che il criterio con cui proporla ai ragazzi, durante la settimana, non deve essere quello del suo valore oggettivo quanto quello della sua capacità di introdurre nel mondo della preghiera e della celebrazione.
           Ora è proprio la capacità educativa di una celebrazione complessa e rigidamente strutturata come la eucarestia che è in discussione. L'eucaristia è la celebrazione delle celebrazioni. Ma non sembra la migliore scuola di celebrazione. Ciò non vuol dire che non bisogna portare i ragazzi alla messa, specialmente alla domenica. Anche perché non è detto che per partecipare alla eucaristia bisogna capirla viverla in modo perfetto. Del resto è facile ammettere che anche la struttura attuale della eucaristia ha un suo non indifferente, anche se limitato, valore formativo. Il direttorio apre una nuova strada, al di là delle preghiere del buon cristiano e della stessa eucaristia. Propone di creare delle celebrazioni che non siano finalizzate solo a pregare ma anche ad educare a pregare. Presa in senso largo questa proposta del Direttorio può essere vista come proposta di una scuola di preghiera, cioè di un insieme di celebrazioni, ben integrate con il vissuto del gruppo e dell'oratorio, organizzate proprio per educare a pregare e celebrare. In certi oratori non si tratta di aggiungere niente da un punto di vista quantitativo ma solo di ripensare tutto in chiave educativa per offrire ai ragazzi degli incontri che, di volta in volta, privilegiano e fanno gustare una certa modalità di preghiera, un certo atteggiamento, un certo gesto.
           Una scuola di preghiera potrà avere successo se si farà attenzione a creare dei gruppi di preghiera in stretta relazione con i gruppi di catechesi e di impegno oratoriano, se le celebrazioni non saranno organizzate all'improvviso ma progettate con sistematicità e progressività rispetto al progetto educativo globale e al progetto catechistico che esso sottende; se il loro ritmo sarà legato al criterio di celebrare il cammino del gruppo (le sue scoperte, le sue vicende, le sue imprese, gli aspetti problematici che lo toccano da vicino) e non invece a scadenze fisse, di calendario; se saranno delle vere attività in cui i ragazzi possono esprimersi attraverso il narrare, disegnare, drammatizzare e sentirsi protagonisti nel preparare gli incontri, per decidere come organizzarli... Non neghiamo che una scuola di preghiera del genere sia impegnativa. Assorbe tempo ed energie. Non meno tuttavia di altre attività, sportive in particolare.  
SEMINARE SENZA FRETTA DI RACCOGLIERE 
           Voler vedere i frutti del proprio lavoro, specialmente quando ad esso si sono dedicate molte energie, è più che normale. Ma in alcuni casi, come quello della educazione alla preghiera, bisogna accettare la legge dei tempi lunghi. I ragazzi devono apprendere l'alfabeto della preghiera. Da loro ci si può e ci si deve attendere che sappiano mettere insieme le lettere per formare una parola o una breve frase, ma non un discorso.
          Sarà sui 15-17 che l'educatore tirerà le somme del suo lavoro chiedendo ai giovani un confronto decisivo sul senso della preghiera nella loro vita e sullo spazio che essa deve occupare nella vita personale, di gruppo, oratoriana.
Franco Floris
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