PACS: la dinamite nelle fondamenta

Ora che la discussione sul riconoscimento delle unioni omosessuali e delle coppie di fatto diviene via via più scottante, è fondamentale richiamare gli aspetti più profondi del problema. Quegli aspetti sorgivi del problema, ossia che rendono problematica tale questione. Non ci si sofferma a richiamare che cosa i fautori della “legalizzazione” richiedono, più o meno sono discorsi noti, ci si limita ad analizzare tali elementi sorgivi.

PACS: la dinamite nelle fondamenta

da Quaderni Cannibali

del 12 gennaio 2007

Ora che la discussione sul riconoscimento delle unioni omosessuali e delle coppie di fatto diviene via via più scottante, è fondamentale richiamare gli aspetti più profondi del problema.

Quegli aspetti che definirei sorgivi del problema, ossia che rendono problematica tale questione. Non mi soffermo a richiamare che cosa i fautori della “legalizzazione” richiedono, più o meno sono discorsi noti, mi limito ad analizzare tali elementi sorgivi.

 

I principi fondanti dello Stato

Innanzitutto occorre tener presente che non esiste una società neutra. Ciascuna compagine sociale, lo Stato in particolar modo, non è neutra (come afferma anche Platone), ma è sempre fondata su qualcosa, sul riconoscimento di qualcosa. Ora, la nostra società, finora, è costruita sul riconoscimento di tutta una serie di principi fondanti (libertà di pensiero e di religione, democrazia, intangibilità della vita umana, parità tra i sessi, ecc.) che non sono affatto scontati, e neppure sono frutto naturale e necessario dell’evoluzione umana. Essi sortiscono, invece, da scelte precise compiute nella storia. Di fatto uno di questi principi, piaccia o no, è il riconoscimento della famiglia tradizionale come minima cellula generatrice della società. Riconoscere una “unione gay” o una “unione di fatto” non è solo l’introduzione di una norma, ma la modifica di uno di quei principi su cui, ben prima della Costituzione, si fonda la società. Stiamo andando a toccare uno dei fondamenti primi, frutto di millenni. Siamo consci della portata di ciò? Qualunque società afferma qualcosa, e questa è la sua caratteristica peculiare. In questo caso si vorrebbe che la società affermi qualcosa d’altro, qualcosa di diverso da quanto affermava prima. Se tocchiamo questo, però, se mettiamo in discussione questo livello, se accettiamo che uno dei principi fondanti sia rimesso in discussione, se riteniamo legittimo che ciò avvenga, domani sarà legittimo rimettere in discussione, uno qualunque degli altri principi. Sarà la libertà di pensiero? O quella religiosa? O l’uguaglianza razziale? O che cosa? Siamo disposti ad accettarlo? Chi ci assicura che mettendo in discussione il principio fondante famiglia domani non venga messo in discussione anche uno di questi altri?

 

La dittatura dei desideri

Per quanto riguarda l’aspetto legale, il riconoscimento di certi tipi di unione è frutto del desiderio di alcuni. Per esempio alcune coppie desiderano contrarre legalmente un’unione a un certo livello ma non accettano quel livello di unione che si chiama matrimonio. Ebbene, non si può richiedere alla legge che mi riconosca il livello che più mi piace: contrarre un’unione legale non è come comprare un’automobile, per cui io possa scegliere di fare l’assicurazione sul furto e non quella sull’incendio! La famiglia fondata sul matrimonio è riconosciuta come qualcosa di naturale. Un’unione di altro genere è qualcosa di ben diverso. È presente una “unione di fatto” che si vuole legalizzare? La procedura per far ciò esiste già: si chiama matrimonio! Se non la si vuol chiamare “matrimonio” la si chiami in altra maniera, per esempio “Giovanni”, ma la sostanza non cambia.

“No, a me di tutto ciò che comporta il matrimonio stanno bene A e B ma non C e D, perciò voglio un’altra cosa!” Questo è il discorso che viene fatto. Il principio, però, è gravissimo: il desiderio non può divenire fonte di diritto! Nessuno può pretendere che la legge assecondi il proprio desiderio, poiché nessuno è centro del mondo. La società non può e non deve assecondare i capricci dei singoli, ma preservare e promuovere, nella tutela del singolo, l’interesse collettivo. Trasformare il capriccio in fonte di Diritto, trasformare il desiderio in diritto è preludio all’anarchia, cioè alla disgregazione della convivenza. In altre parole, tali riconoscimenti, apparentemente minuscoli, possono essere “il forellino che fa crollar la diga” del tessuto sociale.

 

Le “unioni omosessuali”: la realtà come opinione

Concentriamoci ora sull’aspetto più controverso, quello delle cosiddette “unioni omosessuali”. Qui gli aspetti sorgivi del problema appartengono a un livello, se possibile, ancora più profondo. Essi risiedono, infatti, sulla concezione che ciascuno ha della realtà. Un corretto approccio alla realtà è riconoscere che essa “è” prima e indipendentemente dall’opinione su di essa. Sono i fatti storici che hanno dimostrato la scorrettezza dell’atteggiamento contrario: tutte le ideologie più sanguinarie, che hanno avuto il loro triste culmine nel XX secolo, si basavano su un criterio interpretativo della realtà svincolato dalla realtà stessa. Per esempio i nazisti, per sostenere la necessità di eliminare gli Ebrei dovevano giungere ad affermare che essi non erano veri uomini. Ossia giungere a negare la realtà, anteporre a essa una interpretazione. In definitiva si ha a che fare con un problema di sconnessione, di dissociazione realtà/coscienza, che è in grado di portare, come la storia ha dimostrato, alle peggiori aberrazioni. Riassumendo: “La realtà non è un’opinione!” La persona omosessuale è un individuo che, per tutta una serie di motivi (storia o scelte personali, malattie, problemi psichici, ecc.) ha una connessione con la realtà distorta. In parole povere, senza addentrarci in analisi puntigliose, che esulano dal nostro discorso, si può dire che in essa vi sia uno sfasamento tra il suo sesso e la sua sessualità. L’omosessuale è in una posizione simile a quella dei paralitici isterici, i quali sono persone che, pur non avendo alcuna menomazione fisica, a causa di disturbi psichici non riescono a camminare. Del tutto analogo il caso degli omosessuali: pur avendo un corpo con una determinata forma, essi si percepiscono, più o meno, e agiscono come se lo avessero in altre forme.

Il movimento gay, che richiede il “riconoscimento”, pretende che lo Stato, e la società civile, riconoscano che la realtà è come essi “la sentono”, come essi “la percepiscono” (come essi “si percepiscono”), e non come essa è! Essi sono di un determinato sesso, ma percepiscono un’identità sessuale differente da come sono. Il grave è che pretendono che lo Stato riconosca ciò. Cioè, in definitiva, che lo Stato riconosca che la realtà è un’opinione, non è come è, è come “la sento”, o come “la penso”. Questo è male, questo è gravissimo, perché, lo ricordo, è la base per tutte le ideologie! Sviluppando tale ragionamento con coerenza, per esempio, un cieco potrebbe fare un discorso del tipo: “Tutti dicono che sono cieco, ma io mi sento diverso da come sono, io ritengo solo di vedere in un altro modo. Quindi, siccome a mio modo ci vedo, lo Stato non mi può negare la patente!” Oppure: “Io ho solo la licenza elementare. Tuttavia ritengo di essere colto, perciò lo Stato è tenuto a darmi la laurea!” Insomma, qualunque essere umano, e a maggior ragione qualunque compagine sociale (e più ancora uno Stato) deve rifuggire da un atteggiamento simile, del tutto irrazionale e perciò inumano e distruttivo.

Se da una parte lo Stato non può e non deve obbligare il cittadino a comportarsi in un certo modo, ritenuto virtuoso (ché sarebbe uno Stato etico e non garantirebbe la libertà), d’altra parte esso non può avallare, suggellare, riconoscere come proprio ciò che è male. E il suddetto atteggiamento è male!

 

Adozione omosessuale e diritti dei figli

Vi è un’ultima questione che vorrei richiamare, un ultimo aspetto sorgivo del problema. È la questione dei figli e dell’adozione. Riguardo alle coppie omosessuali vi sono le posizioni più radicali, come quelle (criminali) dei socialisti spagnoli, che concedono loro il diritto all’adozione. Il ragionamento è lineare: “Siccome non c’è differenza tra matrimonio omo e matrimonio etero, entrambi godono dei medesimi diritti, tra cui quello di adottare i figli!” Ricordo solo che per poter dire “non c’è differenza” si è dovuto cancellare dalle leggi quattro insignificanti paroline avulse dalla realtà: madre, padre, marito, moglie! Se non è follia questa!

La posizione dei fautori della “legalizzazione” in Italia, d’altra parte, è quasi unanimemente più moderata, per cui non viene richiesto anche il diritto all’adozione. Il ragionamento scellerato degli spagnoli, però, a livello deduttivo è corretto. Sono le premesse a essere aberrantemente sbagliate. Il matrimonio è qualcosa che, per definizione, esiste tra due persone di sesso diverso: la sua etimologia è la stessa della parola mater (per intenderci, la parola cancellata di prima). Per far passare la loro legge scellerata quei filibustieri hanno dovuto cancellare dal Diritto quelle quattro parole!

Le implicazioni di tutto ciò sono molteplici. Innanzitutto, occorre riconoscerlo, la criminale posizione spagnola è comunque assai meno ipocrita di quella dei “legalizionisti”nostrani. Se l’omosessualità è, come ormai si sostiene correntemente, qualcosa di assolutamente normale, non patologico, non deviato, frutto di una libera legittima scelta o di una propria naturale condizione, se la “coppia gay” è qualcosa di così naturale e normale, perché mai negar loro il diritto all’adozione? Non mi si diano motivazioni del tipo: “Perché il bambino potrebbe averne delle ripercussioni psicologiche”. Se l’omosessualità è così naturale, perché un bambino che non abbia ancora ricevuto alcun genere di inquadramento dovrebbe esserne negativamente influenzato, tanto da averne una compromissione del suo sviluppo psichico? Occorre allora andare alla radice del problema! Occorre ricalibrare il pensiero corrente sull’argomento, e non accontentarsi di una battaglia di retroguardia cercando di salvare il salvabile.

 

Il rapporto genitori-figli: il principio fondante pi√π profondo

Qual è l’alternativa? Nel rispondere a questa domanda tocchiamo il culmine. Se non si ricostruisce tutta la mentalità sull’argomento si giungerà (anzi, si è già giunti) a minare la più sacra e la più profonda delle realtà umane. Qui sta la questione forse più importante dell’intero universo umano. Qual è la realtà umana più profonda, più incisiva, più radicale, riconosciuta come tale in tutte le epoche e in tutte le culture? È il concetto di genitore-figlio! Il principio fondante ‘genitore’. Ci si soffermi un istante. Tale realtà è la prima con cui ciascuno viene a contatto, la prima di tutta la vita, tanto a livello fisico quanto a livello psichico. Essa è il principio fondante più profondo. Il mio genitore è colui che mi dà la vita, in senso fisico, psichico, materiale, è colui del cui corpo io sono emanazione, quella persona nei confronti della quale non ho un passato diverso, diviso; non esiste un passato del figlio che non sia passato del genitore. Tutto ciò è quanto di più sacro e fondante alberghi nella specie umana, l’amore assoluto e gratuito, che giunge fino a essere creatore di un corpo, costruttore di una psiche. Tanto importante è questa dimensione che tutte le situazioni in cui essa ha qualche anomalia (per esempio la non coincidenza tra genitore educatore e genitore biologico) creano quasi sempre problemi, spesso assai gravi, nello sviluppo della persona. Il rapporto genitore-figlio è anche la forma di amore più gratuito, più duraturo, tra i perfettibili amori umani, che solo in rari casi si disintegra. Certo essa è l’unione più sacra, ossia la più inafferrabile e vertiginosa. Ebbene, l’omosessualità, il riconoscimento delle unioni omosessuali (con l’aggiunta delle pratiche di fecondazione, ecc.) di fatto disgregano questa realtà tanto sacra. Stanno cercando di distruggere il concetto stesso di madre e di padre! La famiglia tradizionale è una piccola proiezione dell’intera umanità, dove il bambino nel rapporto strettissimo, di totale dipendenza dai genitori, sperimenta i due emisferi di cui è composta l’umanità. È un fatto che nessuna delle due parti da sola esprime tutta l’umanità. Per questo, potenzialmente, la non presenza di uno dei due genitori genera situazioni problematiche. Ora si vuole dire che i concetti stessi di madre e padre (così come quelli di uomo e donna) sono soggettivi, inessenziali! Inessenziali? Svegliamoci! Stanno uccidendo i padri e le madri! Ossia stanno uccidendo nostro padre e nostra madre! Così, all’interno di quella suprema disarmonica asimmetria che è una pseudo-unione-famiglia omosessuale (composta da una sola metà di umanità, realtà non solo incompleta, ma menzognera, che maschera tale deformità spacciandola per normalità) si compie la distruzione della prima cellula di ogni rapporto, della prima realtà con cui l’uomo ha uno scambio, a livello cosciente e pre-cosciente, di quella realtà che comunica e trasmette l’essere nel corso della storia dell’umanità. L’angosciante è che stiamo qui a parlarne, non dovrebbe essere neppure necessario discutere su cose così fondamentali, ancora più profonde addirittura del concetto di intangibilità della vita.

Rivedendo, in definitiva, tutto quanto finora preso in esame, inizia a diventare intuibile che tutte quelle che si vorrebbe far passare come conquiste, allora, non sono altro che rinnegamenti delle più salde, profonde, irrinunciabili realtà umane. Sono l’“uomo-che-va-contro-se-stesso”. Emerge la gravità di questi pretesi “riconoscimenti”, in dimensione mostruosamente aberrante riguardo agli omosessuali e, comunque, pericolosissima riguardo alle altre unioni.

Ma siamo impazziti? Sì, siamo impazziti!

 

Jacopo Parravicini

http://www.culturacattolica.it

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