Allora è disperazione nera, è prova dura. Devi dipendere dagli altri, non ti puoi più muovere, è saltato qualcosa nel tuo corpo e devi cambiare radicalmente il modo di vivere e soprattutto trovarti una speranza interiore per affrontare le prove e i dolori. Spesso è un incidente di automobile, altre volte in uno sport. Molte persone devono convivere con questo stato di privazione della propria autonomia, spesso nell'indifferenza di tutti noi che stiamo bene.
del 21 dicembre 2006
 
 
 
 
Paralisi è una parola brutta. Significa che tutto si ferma, che non puoi più muoverti, che resti bloccato. Siamo abituati alle paralisi del traffico, sbuffiamo, guardiamo l’orologio, tentiamo tutte le vie di uscita possibili, poi ci adattiamo. E’ una paralisi che ci fa soffrire, ma che si risolverà.
C’è un’latra paralisi invece più dura, quella del corpo, quella del restare impossibilitato a muoverti, la percezione di impotenza perché i tuoi comandi che partono dal cervello non arrivano più alle braccia o alle gambe. Allora è disperazione nera, è prova dura. Devi dipendere dagli altri, non ti puoi più muovere, è saltato qualcosa nel tuo corpo e devi cambiare radicalmente il modo di vivere e soprattutto trovarti una speranza interiore per affrontare le prove e i dolori. Spesso è un incidente di automobile, altre volte in uno sport. Molte persone devono convivere con questo stato di privazione della propria autonomia, spesso nell’indifferenza di tutti noi che stiamo bene.
E’ così quell’uomo che entra di prepotenza nella scena del vangelo. Ha una fortuna però: per la solidarietà degli amici viene calato dal tetto davanti a Gesù che parla. Lui, Gesù sta insegnando che il regno di Dio è imminente, sta facendo fiorire sulla bocca di tutti una lode a Dio perché si è ricordato di loro e si vede davanti una sofferenza, un volto implorante. L’uomo paralizzato che viene calato davanti a loro è l’immagine nostra, delle nostre infermità, della nostra immobilità di fronte al futuro, della nostra mancanza di libertà nell’affrontare la vita.
Quanti di noi sono schiavi, impediti di agire secondo i propri ideali o per povertà, o per mancanza di lavoro, o per vizio. La catena della droga è più di una paralisi, perchè ti si ghiaccia il cuore, si blocca ogni progetto, scambi la voglia di vivere in voglia di farti, credi di essere te stesso, ma sei solo la roba che ti consuma. La paralisi dell’alcolizzato non è da meno, è un’altra catena che ti lega e ti consuma, ti distrugge i sentimenti, ti isola.
Gesù lo guarisce, gli dice che perdona i suoi peccati, non perché le malattie siano conseguenza di un suo peccato personale, ma perché vuol andare ancora più in profondità nella nostra schiavitù. Certo le malattie ci fanno soffrire, ma c’è un male più grande cui purtroppo ci stiamo abituano è il male dell’anima. Questo solo Dio lo può guarire.
E Dio per questo non ci abbandona mai.
mons. Domenico Sigalini
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