Intervista all'operatore Carlo Poiana della comunità salesiana “LA VIARTE” Di Santa Maria La Longa (UD). Il centro opera nel settore delle tossicodipendenze e della prevenzione e fa parte del Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA).
del 01 gennaio 2002
“Drogarsi non può essere considerata una libera scelta dell’individuo - ma è un comportamento che lo Stato vede con estremo sfavore, sia per i danni che ne derivano alla salute di chi si droga, sia per le ripercussioni che il comportamento ha su chi circonda l’assuntore e per il costo sociale del recupero di una tossicodipendenza”: che cosa ne pensa?
Il drogarsi, prima di essere un “comportamento sgradevole e non salutare ”, prima di essere portatore di ripercussioni negative sulla società e prima di comportare un “costo sociale del recupero del tossicodipendente”, è il sintomo di un malessere, di una difficoltà, di una mancanza in campo affettivo e sociale. Dal nostro punto di vista, la tossicodipendenza è ben più articolata e ha origini molto più profonde e personali. Pertanto pensiamo che il farsi carico di un problema grosso come la tossicodipendenza non possa non essere un farsi carico delle persone che vivono il problema.
Gli estensori della legge associano quasi sempre la tossicodipendenza ad altri reati: nella sua esperienza le due situazioni si ritrovano spesso insieme?
Tossicodipendenza e reati di vario genere sono un’accoppiata che viaggia spesso di pari passo. Anche se, in questi ultimi anni (probabilmente per l’abbassamento dell’età dell’assuntore), abbiamo avuto a che fare con persone che riuscivano a mantenere la propria dipendenza senza commettere reati. Questa analisi aprirebbe anche altre riflessioni riguardanti il come, negli anni, si è passati da una figura di Tossicodipendente ai margini della società (il reato e il carcere erano dei marchi indelebili) ad una che sempre di più si è inserita e convive quasi tranquillamente all’interno di essa.
Distinzione droghe pesanti/leggere: in molti sostengono che l’abitudine di consumare cannabis non debba essere associata ad una tossicodipendenza, perché non si tratta di dipendenza “fisica”, e perché non “fa male” come le altre droghe. Dal punto di vista scientifico, cosa si può dire? E dalla sua esperienza?
E’ fondata secondo lei l’opinione che l’uso delle droghe leggere porta a diventare consumatori di quelle pesanti? Basandosi sulla sua esperienza di operatore? È inevitabile?
Dal punto di vista scientifico, sicuramente il medico è in grado di fare un’analisi più appropriata della situazione, comunque ultimamente sono usciti molti studi che hanno riportato dei risultati molto contrastanti tra di loro.
Troviamo, però, ingiusto fare del “terrorismo”, (che spesso ha un effetto contrario) dicendo che fumare le “canne” porterà inevitabilmente ad assumere sostanze più pericolose. Questo non è vero: sono molti i consumatori di canne che non sono andati oltre . Non possiamo, però, sottovalutare il fatto che gli assuntori di droghe pesanti, quasi sempre, hanno iniziato con le droghe leggere. A questo punto il discorso potrebbe allargarsi e diventare molto più soggettivo ma c’è una cosa che, secondo noi, è sicuramente rischiosa e non va sottovalutata, ed è il fatto che chi inizia a fumare le canne entra, suo malgrado, in un circolo illegale che vende non solo il “fumo” ma anche tutta un’altra serie di sostanze che possono essere molto più pericolose! Ed è a quel punto che il consumatore di canne è più a “rischio” di un non consumatore.
La riflessione, che spesso proponiamo, non è incentrata tanto sull’uso o sul non uso, ma sul perché dell’uso, su quello che è il bisogno che sottende al fare uso di droghe, invitando le persone a non sottovalutare o, peggio ancora, a minimizzare.
Nel testo si parla della modesta efficacia delle sanzioni penali come deterrente al consumo di droghe. Quali potrebbero essere secondo lei, dunque, dei validi deterrenti. Il disegno di legge pone l’accento sulla necessità di incentivare le campagne di informazione presso i più giovani: in che termini le ritiene efficaci? Un aspetto positivo e un aspetto che avrebbe cambiato in una recente campagna (a sua scelta).
E’ vero che le campagne di informazione sono un aspetto importante per sensibilizzare i giovani e fornire maggiori strumenti per un’eventuale scelta, ma, oltre alla prevenzione e all’informazione (magari strettamente legate all’uso e ai danni delle sostanze stupefacenti), andrebbe incentivato un cammino di formazione incentrato sul benessere della persona. Dare alla persona delle alternative, elaborare assieme dei modi diversi di pensare e reagire alle circostanze della vita, impostare una lavoro incentrato sullo star bene con sé e con gli altri… potrebbe essere una valida e più coinvolgente alternativa in cui i giovani si sentano maggiormente protagonisti.
Della recente campagna nazionale di lotta alla droga avremmo cambiato volentieri lo slogan (“O ci sei o ti fai”) perché, invece di avvicinare proprio le persone che hanno maggior bisogno, porta in sé un messaggio che le allontana, ponendo un netto confine tra chi usa e chi non usa. La Tossicodipendenza, spesso, deriva da percorsi di emarginazione: non c’è perciò bisogno di aumentare questa sofferenza. Anche in questo caso ci sembra che, al centro di tutto, non ci sia la persona con le proprie sofferenze, ma altro...Siamo più inclini a campagne che all’interno abbiano messaggi di incitamento di stimolo, che elaborino e offrano delle alternative ad una vita senza protagonismo.
Quali sono i motivi che spingono un ragazzo ad intraprendere un percorso di recupero? La volontà di smettere viene da lui, o ci sono delle “argomentazioni” che voi sostenete per “spingere” il ragazzo ad uscire dalla tossicodipendenza?
I motivi che spingono un ragazzo ad intraprendere un cammino di recupero sono i più disparati. C’è chi ha realmente “toccato il fondo” e desidera ripartire con una vita diversa; c’è chi è stato spinto dai genitori, dalla moglie o magari dal servizio sociale che lo sta seguendo da tempo; ci sono delle motivazioni indotte dalle sanzioni amministrative o da quelle penali. Il modo di arrivare in Comunità quindi cambia da persona a persona: è in Comunità che, poi, si ricerca una motivazione personale e profonda che determini un cambiamento.
Non ci sono delle “argomentazioni” precise per far rimanere in Comunità né, tanto meno, delle “spinte”, bensì si cerca di attuare assieme alla persona un cammino di rivisitazione del proprio passato.Tale cammino passa attraverso la consapevolezza di uno stato e il desiderio di cambiarlo. Il percorso terapeutico in Comunità non è certamente semplice, spesso, passa attraverso momenti di fatica e sofferenza. In questi momenti aumenta fortemente il desiderio di mollare tutto: a quel punto, quanto più un ragazzo è riuscito a passare da una motivazione indotta ad una strettamente personale, tanto più riuscirà a superare questi momenti difficili.
Alcune modifiche proposte mirano a semplificare e snellire l’apparato burocratico: quest’ultimo attualmente è un ostacolo al vostro lavoro? Oppure è un “male indispensabile”?
Riteniamo che il rapporto di collaborazione che abbiamo con il servizio pubblico, in particolare con il Dipartimento per le Dipendenze, sia una cosa buona (migliorabile, ma buona). Infatti ci permette di mantenere quell’aspetto di territorialità che, altrimenti, rischieremmo di perdere. Spesso, le persone che entrano in una Comunità si allontanano dal loro territorio di origine e non è detto che al termine o in seguito all’interruzione del Programma Terapeutico esse possano farvi rientro. A quel punto, avere un riferimento che ha collaborato alla fase di recupero e che conosce la persona e il suo percorso è sicuramente utile per continuare quella relazione di aiuto che, altrimenti, risulterebbe frammentata.
“Guai a lasciarci sedurre dai furbacchioni dei mass media, che cercheranno di distogliere i nostri sguardi dal fatto che dietro al problema droga c’è un universo di giovani che soffrono e non di mattacchioni che si divertono...”, un suo ultimo commento…
Il nostro lavoro è fatto assieme a Persone: non ci interessa il tossicodipendente, il delinquente, il deviante sono solamente etichette che vengono appiccicate ma la Persona e il credere che la Persona possa riscattarsi dalla tossicodipendenza, dalla delinquenza, dalla devianza. Troppo spesso, quando si parla di tossicodipendenza, ci si dimentica di questo aspetto e si crede di risolvere il problema in maniera semplicistica, magari esasperando il proibizionismo. Questo, sicuramente, avrà una buona ricaduta sull’opinione pubblica, ma non affronta le difficoltà reali di un mondo come quello delle dipendenze molto complesso.
Alessio Basso
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