Pur dichiarando ai giovani di essere cittadino del mondo, sono sempre stato contento di essere italiano. Anche all'estero godiamo di una certa fama: gli italiani sono brava gente, dicevano i russi nella seconda guerra mondiale. In America Latina si è sempre accolti con gioia, quando capiscono che veniamo dall'Italia. Ingenuamente ho sempre creduto che noi fossimo un popolo accogliente, senza frontiere, meno nazionalista di tanti altri.
del 30 gennaio 2008
Pur dichiarando ai giovani di essere cittadino del mondo, sono sempre stato contento di essere italiano. Anche all’estero godiamo di una certa fama: gli italiani sono brava gente, dicevano i russi nella seconda guerra mondiale.
In America Latina si è sempre accolti con gioia, quando capiscono che veniamo dall’Italia. Ingenuamente ho sempre creduto che noi fossimo un popolo accogliente, senza frontiere, meno nazionalista di tanti altri.
Oggi mi dicono che non è più così: l’italiano è razzista come tanti altri, non vuole i «negri» come vicini di casa, in casa poi non parliamone. Qualche ragazzino per le strade di Milano se deve insultare un compagno, che non è tifoso della sua squadra, spesso usa il termine poco onorevole di «sporco negro»!
Siamo così peggiorati? Davvero non ci commuovono più le storie delle zio Tom? E Ben Johnson, Carl Lewis non sono più immagini da «poster» che i nostri adolescenti affiggono alle pareti della camera da letto? Per alcuni fatti, credo di sì.
I «negri», gli stranieri «terzomondiali», incominciano a darci fastidio, anche se li occupiamo in lavori poco pagati, sfruttati (proprio lavoro nero!), li utilizziamo senza dar loro garanzie e gli facciamo fare quello che ormai noi, potenza industriale, riteniamo degradante per i nostri figli: sguatteri, pulizie, lavori pericolosi nelle fornaci o in ferriera.
 Ultimamente, in una delle città più ricche d’Italia, mi è capitato di sentire di una raccolta di firme per far chiudere una casa che i preti avevano aperto per accoglierli. Sostenevano la chiusura perché non venivano rispettate certe norme di igiene, di convivenza, di prudenza. Qualcun altro aggiungeva che «dobbiamo pensare prima ai nostri, poi a questa gente che viene da lontano e non ha voglia di lavorare!»
Una volta questo lo si diceva dei «meridionali», oggi lo si dice di loro! Dio mio, che fantasia scarsa abbiamo e come nulla cambia sotto il sole! Come se per loro venire via dal paese, così diverso dal nostro per cultura, sia stato facile! «Ma noi non siamo lazzaroni come loro!». Forse negli «States» le stesse cose le dicevano degli italiani, quando sono arrivati a gruppi, non preparati all’emigrazione, senza conoscere la lingua e, a volte, poco appassionati al lavoro. Penso che dovremmo mettere da parte ogni forma di razzismo e affrontare con maggior serietà e competenza questi nuovi problemi, spesso causati dall’ingiustizia dei potenti, dei grandi. Fame e miseria le trovi dappertutto nel Terzo Mondo, per cui oggi arrivano da noi: invece dei tanto attesi «russi» o dei «latino americani», arrivano i negri! C’è qualche differenza? Forse sì: sono poveri, sono musulmani, sono analfabeti... Forse sono anche «uomini». Come tali dovremmo educarci a considerarli. Con giustizia. Con umanità. Solidarietà.
Da: Vittorio Chiari, Un giorno di 5 minuti. Un educatore legge il quotidiano
don Vittorio Chiari
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