«Con meno Stato e più autonomia scolastica i presidi assumono i docenti più bravi. Altrimenti devono tenersi quelli impreparati». Intervista a Stefano Blanco, direttore generale della Fondazione Collegio delle università milanesi.
«Abbiamo ancora troppi insegnanti impreparati nelle classi italiane a cui nessuno impone sviluppo professionale o uscita dal corpo docente e troppi con professionalità e desiderio di innovare che, al contrario, non sono adeguatamente incentivati a proseguire». Così Stefano Blanco, direttore generale della Fondazione Collegio delle università milanesi, in un suo editoriale per il Corriere della Sera del 30 aprile scorso. Tempi.it ha chiesto a Blanco di spiegare perché è così importante introdurre un sistema oggettivo di valutazione dei docenti e quale sia il modo migliore per farlo.
Blanco, perché è conveniente adottare un sistema per valutare gli insegnanti?
Perché ormai è sotto gli occhi di tutti che il concorso che dovrebbe garantire il loro reclutamento non funziona. Non è certo un caso, infatti, se il 99,9 per cento dei docenti che superano il concorso, al termine del primo anno di prova, entra in ruolo, senza che praticamente nessuno venga bocciato. Ciò significa che non c’è alcun tipo di selezione all’ingresso. Inoltre, chi diventa docente è destinato a rimanerlo a vita, senza mai poter ricevere alcun tipo di valutazione. Se veramente crediamo che l’educazione dei nostri figli sia una cosa importante, e lo è, dovremmo pensare anche alla valutazione dei docenti. Sono i buoni docenti, infatti, che contribuiscono a fare una buona scuola. Per questo motivo è importante valutarli, anche ricorrendo a forme di incentivazione di carattere retributivo o scatti di carriera per spingere a proseguire chi veramente è meritevole di farlo.
Come si può fare?
Al mondo ci sono diversi modelli che funzionano e che potrebbero essere di ispirazione anche per noi qui in Italia. Basti pensare, per esempio, a quello delle charter school statunitensi di cui hanno parlato nel loro libro Liberiamo la scuola Andrea Ichino e Guido Tabellini. Forse è un modello per certi versi ancora dibattuto, è vero, e può avere i suoi pro e i suoi contro, nessuno lo nega; però, ha un merito indiscutibile, che è quello di aver introdotto maggiore autonomia di gestione e finanziaria, consentendo alle scuole pubbliche sia di poter scegliere da sé i propri docenti sia come ripartire le spese rispetto ai finanziamenti ricevuti, che poi saranno valutati solo alla fine. Sarebbe già un bel passo in avanti se anche in Italia ci fosse un po’ meno centralismo da parte dello Stato e questo si limitasse a stabilire i criteri dell’abilitazione a livello nazionale, lasciando che un insegnante sia libero di inviare il suo curriculum alla scuola che più preferisce e questa sia a sua volta libera di scegliere da sé i docenti che vuole.
Come si fa, nel corso degli anni, a valutare la qualità di un professore?
Intendiamoci, la qualità di un docente non può essere valutata esclusivamente in base a dei numeri, è un fatto molto più complesso. A maggior ragione lo è oggi che gli insegnanti si trovano di fronte a classi eterogenee, talvolta addirittura problematiche da gestire. L’emergenza educativa di cui si sente ancora parlare è reale e per nulla superata. Detto questo, però, non ci sarebbe alcun male se, per esempio, anche un professore, analogamente a quanto avviene con i medici, debba aggiornarsi ogni anno per poter insegnare, dovendo guadagnarsi crediti attraverso adeguati percorsi di formazione. Il mondo dell’insegnamento non può più limitarsi ad essere un grande sistema di welfare per collocare i docenti. Così non può più funzionare. In questo senso la figura del dirigente scolastico è fondamentale per valutare gli insegnanti e così condurre una scuola. Nessuno meglio di lui può farlo. I paesi del Nord Europa, in questo, sono all’avanguardia, mentre in Italia, troppo spesso, i dirigenti non hanno l’autorevolezza, o non vogliono prendersi la responsabilità, per farlo.
Matteo Rigamonti
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