Egli ha sempre incarnato una dialettica intensa, ora serena ora inquieta, tra la sua professionalità di studioso fino in fondo e la sua testimonianza profetica vissuta in spirito di preghiera.
del 01 febbraio 2010
 
          È esperienza comune l’aver frequentato una biblioteca. Entrare nella sala di consultazione è come varcare una soglia tra il mondo dei rumori e quello del silenzio. Le persone che si incontrano appaiono, in genere, concentrate su ciò che stanno leggendo con un atteggiamento del corpo che sembra esprimere una profonda attenzione.
 
          Gli ambienti, il silenzio, la concentrazione che si «respira» nell’aria sembrano richiamare, per certi aspetti, l’ingresso in una chiesa e la preghiera. L’uomo che studia e l’uomo che prega sembrano assumere atteggiamenti simili. Quest’analogia è molto fruttuosa per la riflessione e spinge a pensare naturalmente a una spiritualità dello studio. Lo studioso cristiano è fortemente sollecitato a interrogarsi su come la sua attività e la preghiera possano convivere nella propria vita interiore. Nel secolo scorso — da A. Gratry ad A. D. Sertillanges, da J. Guitton a P. Teilhard de Chardin (1) — grandi spiriti hanno scritto riflessioni acute su questo binomio. Ma come non ricordare quel saggio straordinario di Simone Weil dal titolo «Riflessioni sull’utilità degli studi scolastici al fine dell’amore di Dio» (2)?
Studio e preghiera
          In un tempo in cui si rischia di considerare la formazione come l’«erogazione di un servizio» e lo studio come l’attuazione di valide tecniche di apprendimento, si sente il bisogno di un supplemento d’anima che aiuti il cristiano a comprendere meglio se e come il suo studio abbia realmente a che fare con la sua vita spirituale. Lo studio assume molti volti ed è praticato in molteplici modi. È lo «studio dello studente, del discepolo, cioè di chi si applica a imparare, a “tesoreggiare” il sapere altrui. Studio del ricercatore, dell’assetato di verità, ordinato allo sviluppo originale del proprio sapere: esso è lo studioso tipico. Studio infine del docente, del maestro assorbito nella lunga preparazione silenziosa delle sue lezioni, nel lavorio ingrato di formulazione didattica, nello sforzo di espressione intento a comunicare fedelmente la verità conquistata» (3).
          Prendiamo spunto dalla pubblicazione di un piccolo libro dal titolo Studio e Sapienza. La passione per la verità e l’assoluto (4). Si tratta del primo di una collana che si propone di investigare il legame profondo tra studio e spiritualità. Questo primo contributo recupera tre riflessioni di due autori che hanno vissuto nella propria esistenza tale legame e hanno provato a comprenderlo meglio nei suoi fondamenti: p. Saverio Corradino e p. Michel Ledrus, entrambi gesuiti.
          Lo studio, per il credente, è «un servizio per l’uomo, una carità ecumenica, ma nondimeno un’esperienza spirituale. Un servizio insieme umile e alto, che richiede rigore e impegno: che esige solitudine ma non isolamento, e insieme grande liberalità e generosità, proprio perché lo studio è sempre ricerca di senso globale, approfondimento della verità che è nel cuore dell’uomo. In tal modo lo studioso diviene uomo della verità, uomo al servizio dell’uomo, in una dedizione talvolta ingrata, ma che reca il segno del trascendente e dell’infinito» (5). In maniera lucida e precisa così p. Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa Vaticana e della Radio Vaticana, sintetizza nella sua presentazione il senso del volume, parlando dello studio come esperienza spirituale.
Analogia o competizione?
          Ciò che fin qui abbiamo dato per acquisito, cioè l’analogia tra studio e preghiera, in realtà è tutto da verificare. Nel suo saggio, p. Ledrus constata innanzitutto che la vita di studio, «quale attività intellettuale costante, disciplinata, metodica, dedicata al progresso del sapere, concepita e amata come servizio disinteressato e universale del progresso scientifico, rappresenta una forma di vita interiore» (6). Tuttavia subito dopo afferma che tra le due «vie interiori», cioè quella dello studio e quella della preghiera, sembra invece regnare il contrasto, l’incompatibilità, fino a ipotizzare «l’impossibilità di una sintesi di vita interiore per lo studioso» (7).
          Riportiamo il pensiero di p. Ledrus che con grande lucidità espone il problema: «Non parliamo della preghiera come semplice dovere di vita cristiana, adempiuto con l’orazione mattutina, con l’assiduità alla Santa Messa, con le visite al Santissimo e le giaculatorie immesse nel lavoro. L’attuazione marginale e intermittente della preghiera nella vita di studio è senza dubbio un preliminare indispensabile, come la mescolanza giusta del carburante e di aria nel cilindro del motore. Occorre però che questi necessari esercizi di pietà non rimangano mera cornice religiosa di una occupazione intellettuale svolta con animo profano. Bisogna passare dalla coesistenza della preghiera e dello studio a una simbiosi, in modo da rendere studiosa la preghiera e religioso lo studio. Il problema di vita interiore che stiamo considerando è appunto quello di realizzare il Semper orate voluto dal Signore (Lc 18,1), la continuità dell’orazione, la familiarità con Dio, in una doverosa intensa applicazione allo studio, e pure allo studio profano di materie profane.
          In che modo si potrà mantenere come operazione eminente del cuore l’elevazione della mente in Dio e la consapevolezza celeste, caratteristica della fede viva, mentre si è vincolati e assorbiti da impegni scientifici? Non si è forse infiltrata in molti scienziati, anche se non privi di sentimenti religiosi, la convinzione che bisogna, sì, pregare per la salvezza dell’anima e per le necessità dell’esistenza, ma che lo studio, la ricerca scientifica è di competenza esclusiva del proprio ingegno e sudore? Sarebbe vanto della scienza il non aver bisogno della preghiera!» (8). Non si tratta dunque di conciliare due realtà distinte, simili esteriormente, ma della continuità della preghiera nell’applicazione allo studio, di qualunque tipo si tratti.
          A questo punto è proprio la loro analogia che sembra contrapporre studio e preghiera. Infatti la preghiera tende «a snervare lo studio», a distrarre, perché la prima attinge alle stesse risorse interiori del secondo, e perciò sembra loro destino quello di contendersi il cuore dell’uomo, di soppiantarsi vicendevolmente come concorrenti. Lo studio, più di ogni altra occupazione, richiede l’impegno di tutto l’essere umano, interiormente e senza distrazioni esteriori. È un problema di bilanciamento di energie: studio e preghiera tendono ad assorbirle in profondità. E così, anzi, chi è intento a una occupazione manuale che non richiede grande concentrazione può trovare facile un vero raccoglimento di preghiera. Invece, nello studio, l’attenzione si trova impegnata e assorbita, per cui la preghiera sarebbe una distrazione.
          Non solo: la competenza spesso fa insuperbire, indice di autosufficienza. E basterebbe ricordare le parole del Vangelo: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11,25). Ecco dunque il nodo vero al di là di qualunque analogia estrinseca: la sintesi di vita interiore capace di vedere la compenetrazione mutua dello studio e della preghiera in uno slancio unico, e non in una giustapposizione esteriore. Ci si illude che la vita intellettuale, proprio perché spirituale, sia permeabile allo spirito di Dio, e quindi alla preghiera: sì, «la vita intellettuale è spirito; ma è spirito dell’uomo; e diviene facilissimamente, quasi per spontanea necessità, lo spirito dell’uomo nella sua autonomia, nel suo cavare tutto da se stesso, del suo non avere bisogno di nessuno. In queste condizioni può accadere che si ricorra a Dio soltanto per avere una benedizione da fuori, quasi una specie di medaglia che venga a premiare questo splendido prodotto dell’egoismo puro» (9). Ecco dunque che ciò che sembrava vicino per analogia proprio perché simile appare invece opposto, alternativo.
L’offerta e la sintesi
          Lo studioso che è uomo spirituale va alla ricerca di una sintesi profonda, che faccia sì che preghiera e studio siano virtualmente indistinti come l’equilibrio non si distingue dal camminare, né il movimento uniforme del treno si distingue dagli spostamenti del viaggiatore nel compartimento, per usare due immagini efficaci di M. Ledrus. Egli è interessato alla preghiera propriamente detta dello studioso, ne afferma l’importanza e persino la descrive, provando a comprenderne le caratteristiche generali. Parla di una preghiera «sobria, disadorna, ellittica», tendenzialmente poco portata alla devozione sentita, all’emozione religiosa, alla facondia intima affettiva e commossa. L’uomo di studio, a suo avviso, «ha parecchio dell’anacoreta» (10).
          La richiesta di una sintesi supera sia la preghiera posta accanto al lavoro, nei momenti liberi, sia il livello della santificazione delle attività e del lavoro intellettuale, già di per sé estremamente importante: non basta esercitare la propria professione e «avvolgerla» di intenzioni buone e spirituali perché quell’impegno secolare si trasformi in preghiera. L’obiettivo deve essere quello di scendere ancora più in profondità. Ledrus trova nell’«offertorio», nell’offerta del mondo a Dio un livello importante e superiore di sintesi: «Ora nell’offertorio universale, la parte dello scienziato è di primo rilievo. Il mondo elaboratamente conosciuto dalla scienza si offre a lode di Dio molto più degnamente che non un mondo tuttora caotico, ignorato nei suoi ordinamenti, a modo di materia grezza» (11). Lo studio che mette in luce i tesori della creazione in qualche modo «somiglia alla consacrazione per il pane dell’offertorio» (12). Dio è «punto di convergenza» (13): «Sia che si trovi chinato sul tavolino con la penna in mano, sia che si trovi in raccoglimento all’inginocchiatoio, lo scienziato cristiano serve un solo Maestro e lo serve a norma del Primo Comandamento, con tutto il cuore non meno che con tutta la mente» (14).
          Parlando del binomio tra ricerca scientifica, intesa in senso ampio, e preghiera, è necessario ricordare il gesuita Pierre Teilhard de Chardin. Egli ha sempre incarnato una dialettica intensa, ora serena ora inquieta, tra la sua professionalità di studioso fino in fondo e la sua testimonianza profetica vissuta in spirito di preghiera.
          La sua esperienza resta un riferimento col quale confrontarsi. Fra l’altro, egli dedica una sua conferenza parigina del 1921 dal titolo «Scienza e Cristo» a esporre — come scrive nel sottotitolo del testo — alcune «osservazioni su come lo studio scientifico della materia possa e debba servire a elevarsi fino al centro Divino» (15). La sua tesi è che lo studio, per il fatto di essere analitico, «ci fa dapprima procedere in senso inverso rispetto alle realtà divine», poi però proprio questa penetrazione scientifica ci invita a fare inversione di marcia, «e ci risospinge, in forza di una intensa propensione naturale, verso il Centro unico delle Cose, il quale è Dio Nostro Signore» (16).
          Sentendosi mosso da un appello del Superiore Generale del suo Ordine, Teilhard si chiede: «Perché è importante, proprio per noi gesuiti, partecipare alla Ricerca umana fino a penetrarla e impregnarla della nostra fede e del nostro amore per Cristo?». La sua risposta è: «Perché la Ricerca è la forma sotto la quale si dissimula e opera più intensamente, nella Natura attorno a noi, il potere creatore di Dio. […] Dunque, il posto di noi sacerdoti è esattamente al punto di emergenza di ogni verità e di ogni nuova potenzialità: perché Cristo dia forma ad ogni crescita dell’Universo in movimento, attraverso l’Uomo» (17). Qui il pensiero di Teilhard si fa luminoso e vede il sacerdote au point d’émergence de toute puissance nouvelle. S. Corradino, estendendo la riflessione a ogni coscienza cristiana, afferma che essa sa «cogliere il momento in cui, per convergenza di affioramenti diversi, viene alla luce una conquista nuova: la cultura impegnata come servizio per il mondo, e quindi nutrita di vigilanza cristiana, ha sempre il senso delle novità essenziali che stanno maturando nel mondo di oggi» (18). La ricerca dunque non resta chiusa in se stessa.
          La preghiera, secondo Teilhard, è comunione profonda con tutto il mondo, con l’itinerario dell’universo umano e pre-umano, che egli coglieva come studioso e ricercatore di paleoantropologia. Il nucleo di tale atteggiamento è «l’incontro con il Signore e con tutto quanto per mezzo del Signore affiori con nuova consistenza, si accomuni in modo nuovo, si colleghi e si scambi, si ritrovi trasfigurato dalla luce di Dio» (19). Sembra quasi che per il credente, a questo punto, la preghiera sia alla base, a fondamento dello studio e della ricerca scientifica, non solamente qualcosa che l’accompagna o che la segue come suo vertice e compimento. È l’unione con Cristo, col «punto Omega», secondo l’espressione teilhardiana, che muove e spinge alla ricerca intellettuale e allo studio analitico.
          Ci limitiamo a indicare la direzione della riflessione di Teilhard e l’intima relazione che egli discerne tra vita di fede e vita di ricerca. Tutta l’esperienza interiore di Teilhard, quella che traspare nei suoi saggi e nelle sue lettere, è «il volto di fede della sua attività professionale. Egli sa leggere l’esistenza umana, in tutti i movimenti dello spirito e del corpo, così come lo Spirito di Dio li spinge, li afferra, li unifica, se ne appropria: e l’esistenza si trova risolta in consapevolezza della presenza di Dio, della comunione con Dio, della parola di Dio, dell’urgenza di Dio» (20). La vita interiore dunque può diventare il volto di fede della professionalità dedita allo studio e alla ricerca.
Carisma e impegno culturale nell’Università
          In questa breve nota abbiamo voluto richiamare il lettore a una rinnovata attenzione all’incontro tra studio e preghiera, prendendo spunto da un volume che raccoglie tre saggi sul tema. Studio e sapienza presenta almeno due caratteristiche peculiari: la prima è che il Curatore, docente di Storia del Cristianesimo all’Università «La Sapienza» di Roma, e gli Autori appartengono a una spiritualità precisa, quella ignaziana; la seconda è che il volume nasce in ambito universitario, quello della cappella de «La Sapienza» (Roma). Perché ribadiamo questi due aspetti, richiamando l’attenzione su di essi?
          In un nostro articolo di qualche anno fa dicevamo che ogni spiritualità cristiana non è soltanto un modo di pregare, ma anche un modo di vedere la realtà e di essere al mondo: essa dà «forma» a una vita umana e le conferisce una particolare sensibilità, la quale si proietta anche in un certo stile di vita. In concreto, chi si riconosce in una via spirituale (benedettina, domenicana, carmelitana, ignaziana, salesiana…) non solo vive la propria fede, ma anche la propria esperienza di vita alla luce di un carisma particolare, coinvolgendo anche tutti gli aspetti dell’esistenza (21). Le diverse spiritualità cristiane perciò hanno una ricaduta specifica anche a livello del rapporto tra la vita di studio e quella di preghiera.
          Vogliamo dunque richiamare il compito specifico proprio di coloro che sono portatori di un carisma spirituale nella Chiesa. Ci limitiamo qui, giusto a titolo di esempio, a ricordarne almeno uno, fornito nel 1995 da p. Timothy Radcliffe, allora maestro generale dell’Ordine domenicano, dal titolo La perenne sorgente della speranza (22). È un testo di grande profilo, che declina il significato e le modalità dello studio e della ricerca alla luce del carisma domenicano. Ricordiamo che anche A. D. Sertillanges, autore del fortunatissimo libro La vie intellectuelle, del 1920, era domenicano.
          La seconda osservazione riguarda il fatto che viviamo in tempi nei quali si corre il rischio di smarrire il senso dello studio e di vederlo solamente in maniera funzionale a una occupazione lavorativa. Certamente lo studio «serve» l’uomo e lo aiuta anche a trovare il proprio posto nel mondo come lavoratore. Il rischio però è quello di vivere lo studio in maniera occasionale e funzionale, e non più come una forte e preziosa esperienza di vita. La presenza cristiana in un ambiente di studio come l’Università dunque deve innanzitutto puntare non ad aggiungere attività ad altre attività, ma ad aiutare il giovane studente a vivere in maniera cristiana la sua attività principale: lo studio. Men che meno formazione cristiana e studio accademico possono essere considerate in competizione tra loro.
          È chiaro che questo compito si scontra con molti limiti. Il mutamento strutturale e funzionale della realtà universitaria (pendolarismo dei docenti, distribuzione dei corsi lungo l’arco dell’intera giornata senza tempi liberi fissi, moltiplicazione delle sessioni di esame, distribuzione periferica degli istituti…) fa sì che la vita degli studenti e dei docenti sia sempre più frammentata. Viene spesso rilevato dai cappellani universitari che tale situazione diventa particolarmente preoccupante riguardo agli studenti dei corsi di laurea di primo livello, per i quali la «corsa» verso l’esame da sostenere diventa affannosa. E tuttavia proprio questi sono gli anni «critici» nei quali si formano le attitudini alla ricerca e allo studio inteso come attività dello spirito. La presenza cristiana nell’Università ha il compito di aiutare studenti e docenti a maturare una «spiritualità dello studio», ad avere una visione del mondo e della realtà che possa fornire una motivazione alla ricerca.
 
 
1 Cfr J. Guitton, Il lavoro intellettuale. Consigli a coloro che studiano e lavorano, [1951], Cinisello Balsamo (Mi), Ed. Paoline, 1991; A. D. Sertillanges, La vita intellettuale [1920], Roma, Studium, 19986; A. Gratry, Le sorgenti [1862], Milano, Città Armoniosa, 1977; P. Teilhard de Chardin, La scienza di fronte a Cristo. Credere nel Mondo e credere in Dio [1965], San Pietro in Cariano (Vr), Il Segno dei Gabrielli, 2002.
2 Cfr S. Weil, «Riflessioni sull’utilità degli studi scolastici al fine dell’amore di Dio» [1949], in Id., Attesa di Dio, Milano, Rusconi, 19965, 75-84.
3 M. Ledrus, «Studio e Preghiera. Sintesi di una vita interiore», in G. Pani (ed.), Studio e sapienza. La passione per la verità e l’assoluto, Palermo, Vittorietti, 2008, 46.
4 Cfr G. Pani (ed.), Studio e sapienza…, cit.
5 F. Lombardi, «Presentazione», ivi, 13.
6 M. Ledrus, «Studio e Preghiera»…, cit., 46.
7 Ivi, 47.
8 Ivi, 47 s.
9 S. Corradino, «Ricerca scientifica e preghiera in Teilhard de Chardin», in G. Pani (ed.), Studio e sapienza…, cit., 38.
10 M. Ledrus, «Studio e Preghiera»…, cit., 53.
11 Ivi, 66.
12 Ivi, 70.
13 Ivi, 74.
14 Ivi, 49.
15 P. Teilhard de Chardin, La scienza di fronte a Cristo…, cit., 93.
16 Ivi, 50.
17 Ivi, 231.
18 S. Corradino, «Ricerca scientifica e preghiera»…, cit., 41. Corsivo nostro.
19 Ivi, 41.
20 Ivi, 31 s.
21 Cfr A. Spadaro, «La letteratura come immersione interattiva. Tra “Esercizi Spirituali” e “Realtà Virtuale”», in Civ. Catt. 2004 II 37-49.
22 Lo si può reperire sul sito http://www.domenicani.net
padre Antonio Spadaro S.I
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