Una domanda che tutti ci portiamo dentro è: perché bisogna soffrire, pagare con la sofferenza? Ma allora Dio si compiace della mia sofferenza? Per capire bene il problema della sofferenza, bisogna tener presente la frase: «Alla fine il mio Cuore Immacolato trionferà». Un filo rosso collega tutte le apparizioni di Fatima: sono i tanti sacrifici richiesti dal Cielo ed eroicamente offerti dai Pastorelli. Il dolore è un enigma per l'uomo, ma guardando il Crocifisso, capiamo che questo è l'unico mezzo per trasformare il male in bene.
del 19 maggio 2011
 
 
          Il dolore è un enigma per l’uomo, ma guardando il Crocifisso, capiamo che questo è l’unico mezzo per trasformare il male in bene.
          Una domanda che tutti ci portiamo dentro è: perché bisogna soffrire, pagare con la sofferenza? Ma allora Dio si compiace della mia sofferenza? Per capire bene il problema della sofferenza, bisogna tener presente la frase: «Alla fine il mio Cuore Immacolato trionferà», come pure un’immagine molto bella del Vangelo: «Se il chicco di grano, caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,24).
          Il chicco di grano, caduto in terra e macinato, è Gesù, disceso dal Cielo proprio per nascere nella nostra terra e lasciarsi macinare dalla sofferenza redentiva: dalla sua Morte è nata la spiga della salvezza, l’Eucaristia, il Pane della vita!
          La Madonna chiede a questi bambini innocenti tanta sofferenza, perché non esiste altra via per riparare il peccato, vista la triste eredità che Adamo ha trasmesso all’uomo, se non quella del Sacrificio redentore, l’unico in grado di distruggere il male: solo la penitenza può cambiare nell’intimo il male, trasformandolo in bene. La penitenza è l’unica via per riconciliare la giustizia e sanare i debiti che abbiamo con Dio; l’unico modo per ristabilire la carità, e offrire il contraccambio; quindi non il sacrificio finalizzato a se stesso, ma la sofferenza per trasformare noi stessi e il mondo: la morte per donare la vita, come ha insegnato e praticato Gesù. Non si vince il male ignorandolo o dichiarando che siamo tutti risorti.
          Diceva santa Teresa d’Avila che amor con amor si paga, e quindi più è stato grande il Sacrificio di Cristo per lavare le nostre colpe, tanto più deve essere generosa la nostra penitenza. Non si tratta tanto di avere la visione di un Dio che si compiace della sofferenza, quanto di un Padre che si prende cura dei suoi figli. San Bernardo di Chiaravalle afferma che Dio non può patire, perché la sofferenza è un’imperfezione dovuta al peccato originale, mentre Dio è Essere perfettissimo, ma può compatire, perché ci ama: Dio ha tanto amato il mondo da mandare il suo Figlio, scrive san Giovanni.
          L’amore del Padre per noi si esterna nel dono del Figlio: Dio ci compatisce, donandoci il Figlio in una carne simile alla nostra, perché possa diventare il nostro Redentore, offrendo il proprio Corpo nell’unico ed eterno Sacrificio; quindi è assurdo affermare che Dio si compiace del male, anzi nel suo amore, è il Padre stesso a rimediare, col Sacrificio del Figlio, al male fatto da noi. Certamente Gesù poteva salvare il mondo senza la sofferenza, ma ha voluto redimerlo attraverso questa via dolorosa, perché è l’unica che riesce a trasformare il male nel suo intimo, ad annientarlo, a consumarlo; il male rimane, se non si riesce a trasformarlo nel bene, perché per riparare il male, bisogna fare il bene.
          A noi, suoi figli, il Padre chiede di diventare innocenti come il Figlio: sono i bambini quelli che più assomigliano a Gesù, e non per niente l’odio satanico si scatena proprio contro di loro, uccidendoli prima che vengano alla luce, oppure corrompendo in vari modi la loro innocenza. Dio non si compiace della sofferenza dei bambini, ma in essi vede il volto di Gesù, e nel suo amore suscita per l’umanità i tre Pastorelli, donando loro una carità talmente grande, che li spinge a sacrificarsi per il mondo.
          Ma badate bene che i Pastorelli in cambio hanno ricevuto il centuplo, perché soffrire per Dio significa vivere, regnare, gioire eternamente: Francesco e Giacinta hanno ricevuto immediatamente la ricompensa della vita eterna; riflettendo sulla loro vita, danno l’impressione di essere dei grandi mistici, perché hanno vissuto una spiritualità talmente intima e profonda, da raggiungere, nella loro breve vita, una perfezione spirituale paragonabile a quella dei grandi mistici, ed inoltre hanno avuto delle intuizioni simili a quelle di san Giovanni della Croce.
          Noi, invece, siamo sempre restii quando c’è da offrire qualcosa a Dio, ci sembra una perdita, mentre in realtà chi si offre a Dio, guadagna tutto; Gesù ha promesso: «Non c’è nessuno che avrà lasciato per Me padre, madre, casa, famiglia che non riceva il cento per uno e la vita eterna».
          Il «cento» che il Signore ci dà, già in questa terra, in cambio di «uno», cioè della nostra miseria, sono le grazie, e soprattutto quella primaria della carità, l’amore: amare Dio è il dono più importante, è ciò che ci realizza in pienezza, in quanto una vita senza carità è morta. I Pastorelli per questo volevano tenere il cilicio anche di notte, mentre noi pensiamo: “Che esagerazione!”. Ma loro erano assetati di carità, nella convinzione che offrendo qualche sacrificio in più, si ama di più.
          Il mondo, purtroppo, non capisce questa realtà spirituale, perché oggi, con accenti nuovi e ancor più degradanti del passato, è giunto ad un nuovo paganesimo, adorando la materia, l’ultima àncora a cui cerca di aggrapparsi: questo lo si nota in modo agghiacciante nelle mode indecenti dei tempi nostri, dove l’accento dell’adorazione è posto sul corpo. Questo significa che ormai l’uomo si pasce di materia e quindi non è più in grado di ragionare: davanti all’esempio di un santo, è solo capace di denigrare; infatti san Paolo dice che l’uomo carnale non può capire le cose spirituali.
          Saremo biasimati, ma siamo certi di essere sulla via di Dio, compiendo quello che ci chiede sua Madre, cioè essere uomini che pensano secondo lo spirito, secondo la verità, per impegnarci ad entrare nella logica del sacrificio, della riparazione, che è la logica di Dio, della Chiesa: l’unica logica capace di dare la Vita eterna. Per questo la Madonna insegna ai Pastorelli la seguente preghiera, completamento di quella insegnata dall’Angelo, e che anche noi dovremmo imparare: «Sacrificatevi per i peccatori, e dite molte volte, specialmente ogni volta che fate qualche sacrificio: “O Gesù, è per amor vostro, per la conversione dei peccatori e in riparazione dei peccati commessi contro l’Immacolato Cuore di Maria». 
          Il filo rosso che unisce tutte le apparizioni di Fatima è la richiesta di sacrificio e riparazione, rivolta dalla Madonna a tre innocenti bambini; però nei messaggi, di apparizione in apparizione, c’è un progresso rivelativo che perfeziona e spiega quello annunciato in precedenza: l’Angelo chiede sacrifici, poi la Madonna invita i bambini ad offrire se stessi in sacrificio, infine a sacrificarsi per amore di Gesù, dei peccatori e in riparazione dei peccati contro il Cuore Immacolato, che a giugno aveva mostrato circondato di spine.
          In questo Cuore c’è la sintesi, per cui ogni peccato, offesa a Gesù, trafigge pure Maria nel suo Cuore, che ospita Gesù. Qui si vede il mistero della Redenzione, per cui i meriti del Cuore di Gesù sono uniti a quelli acquisiti da Maria.
          Mentre Lucia dialoga con la Madonna, improvvisamente si vedono i volti terrificati dei tre bambini e si sente pure l’esclamazione di Lucia: «Ahi, Nostra Signora!»; la folla non sa cosa sta succedendo in quel momento, ma i Pastorelli riveleranno di aver visto l’inferno. I bambini non hanno avuto la visione del Paradiso, però contemplando lo splendore che emanava dalla Madonna, hanno avuto un’idea del Paradiso; infatti speravano di morire presto per raggiungerla quanto prima.
          Ecco come Lucia racconta la visione: «La Madonna aprì di nuovo le mani, come nei due mesi precedenti: il fascio di luce sembrò penetrare nella terra, e noi vedemmo come un grande mare di fuoco ed in esso immersi, neri e abbronzati, demoni ed anime in forma umana, somiglianti a braci trasparenti, che trascinate poi in alto dalle fiamme, sprigionatesi dalle anime stesse insieme a nubi di fumo, ricadevano giù da ogni parte, quali faville nei grandi incendi, senza peso né equilibrio, fra grida e lamenti di dolore e di disperazione, che facevano inorridire e tremare per lo spavento. I demoni si distinguevano per forme orribili e schifose di animali spaventevoli e sconosciuti, ma trasparenti come neri carboni roventi. Questa visione durò un istante, e dobbiamo grazia alla nostra buona Madre del Cielo che prima ci aveva prevenuti con la promessa di portarci in Paradiso; altrimenti, credo, saremmo morti di terrore e spavento. Fu probabilmente a questa vista che io emisi quel “ahi” che dicono di aver sentito».
          È interessante notare l’affinità di questa visione con quanto dice l’Apocalisse, che definisce la seconda morte, quella eterna, come uno stagno di fuoco; come pure è interessante constare la visione dell’inferno a Fatima, con quella vista da santa Faustina, e contenuta nel Diario della Divina Misericordia: «Dio vuole stabilire nel mondo la sua misericordia per strappare le anime dall’inferno»; e lei vede come «un mare di fuoco, nel quale si scorgono i demoni e le anime come carboni». Nel suo Diario la Santa afferma che la maggior parte di quelli che si dannano sono proprio le anime di coloro che negavano l’esistenza dell’inferno, anche se corrono lo stesso rischio quelli che affermano che Dio è solo misericordia e quindi giustifica i peccati di tutti, portando tutti in Paradiso.
 
Padre Serafino M. Lanzetta
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