Perché non basta l'alfabeto a fare gli italiani?

Nel suo nuovo libro "Alfabeti d'Italia. La lotta all'ignoranza nell'Italia unita", Chiosso ripercorre le risposte date ad interrogativi come: «Fino a che punto le masse dovevano essere ‚Äòistruite' e in nome di quali valori potevano essere ‚Äòeducate'? Valori soltanto laici o anche religiosi?». L'autore focalizza l'attenzione anche sull'operato di Don Bosco e dei Salesiani...

Perché non basta l’alfabeto a fare gli italiani?

da Quaderni Cannibali

del 19 maggio 2011

 

 

          «Che volete che faccia dell’alfabeto colui a cui manca l’aria e la luce, che vive nell’umido e nel fetore, che deve tenere la moglie e le figlie nella pubblica strada tutto il giorno? Non otterrete mai nulla. E se un giorno vi riuscisse d’insegnare a leggere ed a scrivere a quella moltitudine, lasciandola nelle condizioni in cui si trova, voi apparecchiereste una delle più tremende rivoluzioni sociali. Non è possibile che, comprendendo il loro stato, restino tranquilli».

          Così Pasquale Villari, in un celebre articolo pubblicato nella «Nuova Antologia» nel novembre 1872, riassumeva i termini del vero e proprio dilemma che caratterizzava le classi dirigenti liberali all’indomani dell’Unità, strette fra l’esigenza  del fare gli italiani, attraverso la graduale alfabetizzazione delle masse popolari, e i crescenti timori che proprio l’indispensabile alfabetizzazione delle classi popolari, se non accompagnata da misure atte a rimuovere la miseria e le gravi disuguaglianze sociali che caratterizzavano il nuovo Stato e, nel contempo, da un’opera educativa capace di promuovere al loro interno una solida coscienza etica e un vivo sentimento di appartenenza alla comunità nazionale, avrebbe finito inevitabilmente per sovvertire le fragili strutture del neonato Stato unitario.

          L’analisi di Pasquale Villari costituisce un po’ lo sfondo del recente e brillante saggio di Giorgio Chiosso, 'Alfabeti d’Italia. La lotta all’ignoranza nell’Italia unita' (SEI, Torino, 2011), nel quale l’autore propone una lettura organica e a tutto campo dei molteplici itinerari e delle complesse vicende che contrassegnarono, all’indomani dell’Unità e fino ai primi decenni del XX secolo, la «battaglia contro  l’ignoranza» e, più complessivamente, il processo di formazione dell’identità nazionale e della cittadinanza nel nostro Paese, lumeggiando il carattere composito e multipolare di un simile processo e demolendo definitivamente una serie di triti luoghi comuni, come pure talune interpretazioni storiografiche troppo ideologicamente connotate per risultare credibili e fornire una spiegazione degli eventi e delle esperienze che hanno contribuito a fare gli italiani e a promuovere il senso di appartenenza e un nuovo costume civile nel nostro paese.  

          «La battaglia contro l’ignoranza», naturalmente, fu qualcosa di più della lotta all’analfabetismo e della semplice estensione delle capacità alfabetiche all’intera popolazione; non a caso, come sottolinea l’autore, essa fu a lungo accompagnata da alcuni dilemmi: «Fino a che punto le masse dovevano essere ‘istruite’ e in nome di quali valori potevano essere ‘educate’? Valori soltanto laici o anche religiosi? Attraverso quali vie si potevano promuovere sentimenti di appartenenza a un’unica storia?».

          Ripercorrendo le risposte date a questi interrogativi, Chiosso viuole ricostruire alcuni passaggi strategici della vicenda educativa e culturale dell’Italia unita e documenta come tale processo di crescita culturale ed etico-civile del paese abbia rappresentato il risultato di un impegno corale, che ha visto protagonisti non solamente lo Stato, ma anche la Chiesa nelle sue diverse organizzazioni e articolazioni (parrocchie, istituti religiosi di antica e recente fondazione, associazioni laicali ecc.), nonché ampi settori della società civile, sulle cui molteplici attività ed esperienze assistenziali ed educative nei riguardi dei ceti popolari solo recentemente si è concentrata l’attenzione della storiografia.

           Il passaggio «dall’Italia dell’ignoranza all’Italia alfabeta», sotto questo profilo, «si compì mediante il concorso di numerosi soggetti sociali, politici e religiosi che, con scopi spesso diversi e talora alternativi, risposero in modo positivo ai cambiamenti nei quali si trovarono ad agire». 

          Le scuole elementari e popolari, al pari di quelle rurali per i contadini e dei corsi serali destinati agli adulti e ai giovani lavoratori, così come il variegato e composito mondo magistrale ebbero, su questo versante, un ruolo di primo piano, ben evidenziato dall’autore, il quale dedica particolare attenzione alla funzione esercitata in questo ambito dall’editoria scolastica ed educativa, dai libri di testo e dalla pubblicistica pedagogica destinata alle classi popolari; nonché al rinnovamento dei metodi didattici e ai molteplici sussidi destinati a sostenere e a potenziare l’opera di alfabetizzazione e istruzione popolare. 

          Nel quadro delle iniziative promosse su questo versante dai cattolici, l’autore focalizza l’attenzione sull’operato di Don Bosco e dei Salesiani, il cui obiettivo di formare «onesti cittadini e buoni cristiani» si tradusse in una molteplicità di esperienze ed istituzioni: dagli oratori che, specie per i figli del popolo e per la gioventù delle classi subalterne, rappresentarono per lunga pezza la principale – e talora unica – forma di accesso ad una dimensione comunitaria più ampia e articolata di quella della famiglia d’origine, il luogo in cui sperimentare per la prima volta i valori e le regole della civile convivenza; alla fitta rete di istituzioni e di iniziative scolastiche (scuole artigiane, laboratori professionali, corsi serali per giovani lavoratori, colonie agricole, convitti per operaie, centri di formazione ecc.) le quali, oltre a fornire risposta alle variegate e crescenti esigenze di inserimento della gioventù delle classi popolari nel mondo del lavoro e della produzione, si rivelarono un formidabile strumento per far acquisire ai giovani – anche a quelli più problematici e «a rischio» – una disciplina interiore e uno stile di vita ordinato e regolare; nonché il mezzo per veicolare tra le giovani generazioni, attraverso l’applicazione al lavoro manuale e artigiano,  quelle virtù e quei valori  (impegno, senso di responsabilità, spirito costruttivo, fiducia nei propri mezzi e nelle proprie capacità ecc.) che avrebbero reso possibile la loro positiva integrazione nella vita del paese.

          Particolarmente innovative, infine, sono le pagine dedicate da Giorgio Chiosso ai «nuovi protagonisti dell’educazione», ovvero a quelle figure di filantropi, medici condotti, divulgatori agrari, che, al di fuori dei tradizionali canali scolastici, e talora in contesti geografici e socio-culturali particolarmente difficili, esercitarono una funzione d’indubbia rilevanza sul terreno della promozione etico-civile e della diffusione dei valori nazionali nel mondo agricolo e tra le fasce più marginali e neglette delle popolazioni urbane.

Roberto Sani

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