“A tredici anni dipingevo come Raffaello. Ci ho messo tutta la vita per imparare a dipingere come un bambino” (Picasso)
Poveri in riva al mare, Picasso, 1903 (Washington, National Gallery of Art)
GLI OCCHI E LE MANI DI ANIME BAMBINE
Quest’opera di Pablo Picasso viene inserita nella serie di opere del “periodo blu” dell’artista, il primo di quattro dove si può cogliere come le esperienze esistenziali, sociali e politiche di Picasso si riversino sulla tela come immagini riflesse senza sforzo su di uno specchio.
Il periodo blu è il periodo della tristezza, di quella brutta notizia giunta all’improvviso sulla morte suicida di un amico. Temi ricorrenti cominciano ad essere i poveri, gli esclusi, l’angoscia, la desolazione; i colori si incupiscono, gli orizzonti quasi non esistono. Dal 1901 al 1903 il periodo blu scaturisce dal genio di Picasso, insistente, scalfente, inesorabile.
Poveri in riva al mare (opera del 1903 conservata al Cleveland Museum of Art), realizzato a 22 anni, ci propone alcune provocazioni capaci forse di toccare o perlomeno sfiorare le nostre vite e i periodi blu di queste nostre vite.
Un uomo, una donna, un bambino. Probabilmente una famiglia. Scalzi, muti, raggiunti non da altri che non siano le onde di un mare deserto. Avvolti in vestiti scuri, tutti senza parole. Non conosciamo la storia di questi personaggi. Possiamo intravedere in loro la condizione di tanti uomini e donne ripiegati su stessi proprio da se stessi oppure piegati e appesantiti dalle vicende della vita: frustrazioni, delusioni, perdite, buio. Spesso infatti l’uomo è così preso dal dolore da abbassare lo sguardo, da soffocare ogni possibile parola, da lasciar spazio soltanto al rumore di un respiro confuso con l’infrangersi delle onde del mare, immagine di tutto ciò che capita, inarrestabile.
Eppure in questo dipinto è come se ci fosse qualcosa di scandaloso e di difficile da accettare: c’è un bambino. Il dolore e la desolazione sembrano coinvolgere anche lui e questo stona, presi come siamo dal pensiero che in qualche modo i piccoli andrebbero preservati, protetti, salvati dai “problemi” degli adulti. Invece il bambino è lì e ci regala una gestualità del tutto diversa da quella della donna e dell’uomo.
I loro occhi sono rivolti verso il basso e quasi chiusi, i suoi non guardano ancora a terra, probabilmente i suoi hanno appena cercato quelli di mamma e papà, senza trovarli e solo ora si cominciano ad abbassare, ma non ancora del tutto.
Le loro mani non si vedono, nascoste tra i manti di braccia conserte, le sue sono lì, l’una appoggiata sull’uomo e l’altra protesa incerta verso la donna.
Quel bambino è l’incipit della desolazione, che va fermata, non va lasciata dilagare, va presa e lanciata lontano. Quel bambino è il riso benevolo alla vita spento brutalmente dalla disillusione e dal non senso imperante, è un riso incrinato, rimasto ferito e disorientato. Quel bambino è il dubbio se la fiducia possa essere una categoria valida davvero o una bugia da abbandonare presto. Quel bambino è la tenacia di uno sguardo che non vuole arrendersi subito e di mani che continuano a cercare aiuto da ricevere forse per imparare a sua volta a darne, è la briciola di resistenza alla disperazione, è il tempo breve, a volte un istante, in cui scegliere se riguardare in alto o totalmente in basso, se incrociare le braccia per stringersi da soli in solitudine oppure tentare tocchi anche imprudenti ma che hanno il gusto di un abbraccio che rinvigorisce e rilancia nella vita, anche se sgangherata.
Il periodo blu non fu la fine, ma ad esso seguirono un periodo rosa (di ritrovata serenità dopo la crisi e lo sconforto), un periodo africano (segnato dall’incontro con il diverso da sé) e il pieno periodo cubista (dove la realtà viene rappresentata per quello che è: disordinata perché sfaccettata in molteplici punti di vista). Possiamo pensare che il Picasso-bambino di Poveri in riva al mare non sia stato vinto dal pessimismo e dalla chiusura derivanti dalla sofferenza, ma che abbia fatto di essa il luogo in cui rimanere vulnerabile tra i vulnerabili, sensibile alla mano tesa e disponibile a tenderla a sua volta. Quasi che di mano tesa in mano tesa sia riuscito a scalare la vetta del dolore, con fatica ma non in solitaria. Scalare significa fare presa con mani scoperte e guardare in alto verso la meta. E quella scalata sarà diventata forse ad un certo punto una sfida o addirittura un gioco: è la freschezza della nostra anima giovane (o bambina o fanciulla), che non chiede altro che appigli di vita per affrontare tutto ciò che la ostacola.
“A tredici anni dipingevo come Raffaello. Ci ho messo tutta la vita per imparare a dipingere come un bambino” (Pablo Picasso).
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Articolo di: Suor Jessica Soardo
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