Piccole escort

Per il sesso a scuola basta un sms, le liste delle ragazze escono dagli istituti e si allungano con quelle di altre scuole, creando un vero mercato di prostituzione. «Ho un'amica ke manda con il cell le sue foto nuda a un ragazzo ke in cambio le fa una ricarica». «C'è chi fa servizietti in cambio di giochi della Play station».

Piccole escort

da Attualità

del 06 maggio 2011

  

 

          Lo fanno per uscire dalla bolla. La “bolla” è noia e routine, vuoto di passione e zero fiducia nel futuro. Lo fanno per sentirsi forti, padroni di sé. In cambio gli basta poco: una ricarica telefonica, qualche euro, bijoux da niente. Lo fanno a scuola: nei bagni, alla ricreazione, in palestra, in fondo all’aula. Il clou sono le feste: party a casa dei coetanei, mentre i genitori sono fuori. Lì il gioco si incattivisce ancora: si può arrivare allo stupro.

          È un riflettore puntato su un fenomeno che né le rare denunce, né le statistiche, né i casi sollevati dalla cronaca hanno ancora saputo raccontare nella sua oggettività: prostituzione tra meno che minori, 10-11-12-13 anni. Studenti di scuola media e dei primi anni delle superiori che smerciano corpi e barattano sesso.

          A lanciare l’allarme è la giornalista Marida Lombardo Pijola, con un libro, “Facciamolo a Skuola”. Storie di quasi bimbe in vendita” (in uscita per Bompiani l’11 maggio), che scoperchia quest’universo delicato, ignorato persino da educatori e genitori. Un mondo che in miniatura riproduce quello adulto, con escort, utilizzatori e “talent scout”: sfruttatori cioè, coetanei ben informati che compilano le liste delle ragazzine disponibili e organizzano gli incontri nelle scuole. «Ho voluto indagare questa realtà», dice l’autrice che di questo microcosmo delicato si era già occupata in “Ho 12 anni, faccio la cubista, mi chiamano principessa”, «scomoda, apparentemente marginale e invece più vicina, e grave, di quanto si immagini».

          Al centro del libro la storia di Nina, terza media in una scuola romana, raccontata dalla psicoterapeuta che l’ha avuta in cura per sei mesi. Dopo, l’ha persa di vista: i genitori, chiamati alla responsabilità di denunciare, hanno preferito tacere e interrompere ogni rapporto con lei. Ma quell’arco di tempo è stato sufficiente per penetrare in una quotidianità di giochi di ruolo e di branchi feroci, di prove tecniche di crescita ed emozioni negate: tra bimbi dalla doppia vita, che si vendono senza percepirne l’oscenità. Sperduti e soli, nei loro tentativi di diventare grandi.

          «La cosa che risalta da tutte queste storie è l’assoluta incapacità di comunicare», dice l’autrice: i genitori non parlano abbastanza con i figli. E i ragazzi non parlano più tra di loro, quando le situazioni si fanno gravi: tutti pronti a sfilarsi, a caricare la colpa sugli altri, a far finta di non sapere.

«C’è una sciatteria emotiva, una paralisi dei sentimenti, un inaridimento in questa società che i più giovani traducono nel modo peggiore: fanno sesso perché è un modo per distinguersi, per provare emozioni, e perché ciò che il gruppo ordina è legge».

          Nina, tra i 13 e i 14 anni, si vende a scuola per scrollarsi di dosso l’epiteto di “Porcospino” («Per via di questi capelli di merda che c’ho, cioè tutti arruffati»). Arrotonda la paghetta («Da straccioni, dieci euro alla settimana, da vergognarsi proprio, meglio niente. Per fortuna le mie tette sono belle»). E non è un caso isolato, avverte Lombardo Pijola: «Nessuno sa davvero quanti siano, nessuno li ha contati. Sono mimetizzati in mezzo agli altri, e gli altri li nascondono mentre soppesano le tentazioni di imitarli».

          «È un’epidemia», si lamenta un’insegnante su “Le Nouvel Observateur”, in un’inchiesta intitolata “Una generation d’enfantes perdus” sulla pubertà sempre più precoce: ragazzine a 10 anni già abbigliate come piccole donne. Dentro, tutti i rischi della “ultrasessualizzazione” della società.

          “Escort” si chiamano tra loro, con un termine orecchiato e fatto proprio come una medaglia al valore.

          «Una escort è una escort, mica una puttana, sennò la chiamavano puttana e arrivederci. Cioè tecnicamente escort è un lavoro. Ma mica vai a battere per strada. In pratica vai con gente importante, con i vip. Puoi farci soldi, politica, televisione. Scriverci pure i libri e tutto il resto, no?», argomenta Nina alla psicoterapeuta.

          «Non hanno alcuna colpa. Sono nativi di questa società, cresciuti in un’atmosfera dove la sessualità è compulsiva e mercificata. Sono l’incarnazione fedele di un messaggio che hanno assorbito, da bambini, da parte di un sistema mediatico e politico: se ti comporti come Noemi o come Ruby si parla di te, ottieni cose, raggiungi il successo, sei invitata in discoteca, e magari avrai qualche incarico politico; persino le istituzioni sono al tuo servizio», chiarisce Lombardo Pijola.

          Il linguaggio, appunto, conferma: nati in tempi di fervida creatività lessicale, adottano con entusiasmo parole come “olgettine”, oppure espressioni come “facciamo il bunga bunga”. Ruby è personaggio riconoscibile ed emblema di successo: la ragazza che dispone del suo corpo come le pare. Qualcosa da esibire, da prestare o da vendere, in base a ciò che serve al successo. A lei, su Facebook, senza linee di confine tra l’emulazione e il dileggio, sono dedicate un centinaio di pagine e Ruby fan club: «Ci sono ragazze anche più piccole che il sabato sera si confondono facilmente con prostitute. Ma non tutte diventano famose come Ruby», scrivono.

          «Proposte di vita propagandate dalle stesse istituzioni», ribadisce l’autrice: «La cosa grave è che neanche all’interno delle famiglie c’è un controcanto, un insegnamento alternativo, l’indignazione necessaria. Successo, ricchezza e bellezza sono valori assoluti. La scorciatoia, la strada per raggiungerli. Senza freni etici».

          «I genitori? Quando c’è di mezzo la sessualità si ritengono estranei, la faccenda non riguarda mai i loro figli, non accettano discussioni». A rincarare la dose è Luca Bernardo, che dirige l’Ambulatorio per il disagio adolescenziale dell’Ospedale Fatebenefratelli di Milano: il primo a denunciare la prostituzione tra le mura scolastiche. Nel 2008 parlò di “microprostituzione”: da allora continua a occuparsene («Ho in cura alcune di quelle ragazzine: il cambiamento è lento, hanno bisogno di sostegno continuo. Questo barattare il corpo per un vantaggio è una dipendenza: diventa un modo di esprimersi»). Dodici i casi accertati dall’Ambulatorio, decine le segnalazioni. «È  un fenomeno sommerso: non c’è la percezione che a 13-14 anni si abbiano così spesso esperienze di prostituzione».

          «Una liceale su tre è stata o sarà coinvolta in un rapporto sessuale violento», avverte però un’osservatrice come Eve Ensler, una vita a tracciare la strada per la libertà delle donne, oggi con l’occhio puntato sulle ragazzine: le più vulnerabili di tutte: «Il 40% delle adolescenti tra i 14 e i 17 anni dice di conoscere una coetanea che è stata picchiata dal suo ragazzo», scrive in “Io sono emozione. La vita segreta delle ragazze” (Piemme).

          «Sul piano delle violenze credo che i dati disponibili siano davvero inferiori rispetto al fenomeno», concorda Bernardo: «Gli abusi sessuali commessi all’interno delle famiglie, da parenti o adulti che gravitano intorno, sono un tabù inesplorato. Ma anche senza guardare ai casi di violenza, il dato che colpisce è che si abbassa drammaticamente l’età delle esperienze sessuali: di recente, è arrivata una ragazzina di 11 anni, che chiedeva la pillola del giorno dopo per aver avuto un rapporto a scuola con un coetaneo. Per non parlare delle teenager che utilizzano il Web per scambiare il loro corpo».

          Undici anni è l’età media della prima visione di contenuti pornografici on line, secondo ormai diverse fonti. Nella fascia 12-14 anni il 7,5% ha pubblicato su Internet foto provocanti, per la Società italiana di Pediatria. Conferma l’allarme l’Ecpat, che si occupa di difendere i bambini e gli adolescenti dallo sfruttamento sessuale: se prima il “grooming”, l’adescamento on line, era il problema, oggi il pericolo maggiore è costituito dalle “candy girl”, minorenni che barattano foto e video per soldi e che si immettono involontariamente nella trappola dei pedofili. «Ho un’amica ke manda con il cell le sue foto nuda a un ragazzo ke le fa una ricarica». «C’è chi fa servizietti in cambio di giochi della Play station». «Andiamo, tantissime fanno sesso nei bagni. L’85% delle studentesse dei licei lo hanno fatto almeno una volta, lo sappiamo tutti!!!», documenta “Facciamolo a Sckuola” da forum e social network.

          «La ragazzina che si vende lo fa con consapevolezza: si sente forte, pensa in questo modo di far valere il suo potere sugli altri. Quello di cui non ha assolutamente consapevolezza è la gravità del suo comportamento», prosegue Bernardo.  «È convinta di esercitare la sua libertà. Senza comprendere che sta facendo il gioco altrui», interviene la sociologa Francesca Zajczyk: «Colpisce l’assenza di punti di riferimento di questa generazione. D'altra ’arte, se non hai una mappa di valori, tutto ti è consentito: perché non rubare? Prostituirsi, perché no? E a cosa dovrebbero attingere, questi ragazzi, se i genitori li assolvono da ogni responsabilità e li giustificano in ogni comportamento?».

Tutta colpa di madri e padri? Di una plateale distrazione, così collettiva da mettere in pericolo un’intera generazione?

          «Forse, ognuno per i propri ambiti di competenza, non ha fatto abbastanza per rileggere criticamente gli anni Ottanta. Sono lì le radici dei comportamenti di oggi: in quegli anni di benessere che esaltavano uno stile di vita edonistico e nei quali la televisione ha preso il sopravvento», aggiunge l’autrice de “La resistibile ascesa delle donne in Italia”: «Li abbiamo messi nel cassetto, abbiamo attraversato i Novanta pensando che quegli eccessi non avrebbero avuto conseguenze. E invece eccoli lì, spontanei nei comportamenti dei giovanissimi. Figli di genitori che hanno costruito l’esistenza coltivando, in fondo, dentro di loro, la speranza di quel tipo di successo: mediatico, materiale. È un’intera generazione a essere chiamata in causa», prosegue Zajczyk: «Padri e madri, ma anche educatori, studiosi. E politici: la politica ha consentito che queste idee penetrassero così rapidamente».

          Basterà il risveglio delle donne a salvare i più piccoli? «I momenti di piazza ci hanno fatto ritrovare un linguaggio comune. Ora dobbiamo renderci comprensibili dalle più giovani. È un momento cruciale. Bisogna reagire rapidamente». Anche perché i giovani alzano la posta continuamente: per il sesso a scuola basta un sms, le liste delle ragazze escono dagli istituti e si allungano con quelle di altre scuole, creando un vero mercato di prostituzione. Dalle feste di alcune medie di Napoli sono emersi i “dollar party”: soldi finti distribuiti ai maschi all’ingresso della discoteca, da dare alle ragazze in cambio di baci. Vince a fine serata quella col gruzzolo più alto. Ed è niente. «In una scuola privata milanese è in voga una variante del vecchio “gioco della bottiglia», racconta Bernardo: «I ragazzi si mettono intorno a un tavolo, le ragazze sotto. Hanno rapporti orali. Il maschio di turno deve indovinare chi è stata».

 

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