“Pongo il mio arco sulle nubi”

Noè e la sua famiglia sono scampati alle acque del diluvio: in mezzo alla perversione degli uomini della sua generazione, Dio ha visto la sua giustizia e lo ha salvato, promettendogli un destino di benedizione: “Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite la terra” I DOMENICA DI QUARESIMA

“Pongo il mio arco sulle nubi”

da Teologo Borèl

del 27 febbraio 2009

ANNUNCIARE

 

“Pongo il mio arco sulle nubi” Gn 9,8-15

Noè e la sua famiglia sono scampati alle acque del diluvio: in mezzo alla perversione degli uomini della sua generazione, Dio ha visto la sua giustizia e lo ha salvato, promettendogli un destino di benedizione: “Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite la terra” (cfr. Gn 9,1-7). Ma in forza di quale speranza ricominciare a vivere e investire energie nuove, con la minaccia che “il diluvio” possa verificarsi ancora?

Questa la preoccupazione che si legge tra le righe della pagina di Genesi con cui si apre la liturgia della Parola della prima domenica di Quaresima. Quella di Noè e dei suoi familiari è la situazione drammatica del popolo di Israele all’indomani dell’esilio, di quel resto scampato alla minaccia babilonese che cerca una speranza per ricostruirsi un avvenire. Alla fine, questa speranza Israele la scopre rileggendo e re-interpretando, alla luce della propria storia, i miti delle origini dell’universo, cioè di quel tempo primordiale in cui Dio si è eternamente impegnato a proteggere la vita, a tutelare l’uomo del diluvio dalla devastazione del male: “con voi e con i vostri discendenti dopo di voi, con ogni essere vivente che è con voi… - dice Dio agli scampati - io stabilisco la mia alleanza”.

Quest’alleanza è totalmente diversa dalle alleanze umane, quelle che si stringono tra i popoli, che si fanno e si disfano a seconda dell’interesse e della fedeltà dei contraenti; quest’alleanza è inossidabile, anche più forte dell’alleanza con Mosè al Sinai, perché neppure l’infedeltà dell’uomo la può intaccare, dal momento che Dio solo vi si impegna, incondizionatamente, senza chiedere alcun contraccambio!

Quale motivo di speranza più grande di questo per l’avvenire di Israele? Dio, davanti agli occhi di Noè, stabilisce la sua alleanza per dare stabilità al futuro dell’uomo e… pone il suo arco sulle nubi.

L’arcobaleno, pertanto, è il misterioso segno scelto da Dio per perpetuare la memoria dell’alleanza. Un simbolo misterioso dal significato enigmatico: forse un arco appeso in cielo, perché Dio ha deciso di deporre la sua ira e di concludere la sua guerra con l’umanità? Un arco puntato in alto per proteggere la terra dalle forze cosmiche che sempre la minacciano? Forse un ponte, una connessione tra il mondo divino e quello degli uomini? Oppure un segno, dopo la tempesta, a ricordare che è passato il temporale ed è tornato il bel tempo, la luce e la vita sulla terra!

In questa domenica, all’inizio del cammino quaresimale, in cui ricordiamo che Cristo, nostra Pasqua, ha attraversato per gli uomini il deserto della morte e l’ha vinta, inaugurando la pienezza dei tempi (cfr. Mc 1,12-15) e salvandoci in forza della sua Risurrezione (cfr. 1Pt 3,18-22), come cristiani, non possiamo non riconoscere in lui questo arco celeste, posto da Dio alla sua destra come segno di alleanza con gli uomini! Egli è davvero la nostra speranza, poiché la sua vittoria è definitiva e sicura, e in nessun modo può essere compromessa dal potere del male e della morte: dopo la sua Pasqua, davvero il diluvio non devasterà più la terra!

 

CELEBRARE

Invitati alla mensa: la preparazione dei doni.

Nella liturgia cristiana, si varca la soglia del rito compiendo abitualmente gesti di avvicinamento. Nulla è dato immediatamente, improvvisamente, poiché la meta è sempre desiderata, attesa, preparata.

Come la liturgia della Parola è preparata dai riti di Introduzione, così la liturgia Eucaristica, - che costituisce il cuore dell’intera celebrazione della Messa - viene introdotta dai riti offertoriali: la preparazione dei doni.

I piedi, lo sguardo, le mani, si tendono verso l’altare per vivere la gioia dell’invito a partecipare alla cena del Signore. La processione si muove dalla navata, abbraccia i fedeli presenti attirando lo sguardo verso il punto focale: l’altare. Qui verrà imbandita una mensa: sopra una tovaglia, verranno deposti un piatto ed un calice, colmi di doni.

I gesti della preparazione dei doni sono semplici, familiari, essenziali. Sono i riti della tavola che, attraverso le generazioni, conservano intatta la forza e la bellezza del simbolo conviviale.

I Prænotanda del Messale Romano esplicitano: «All’inizio della Liturgia eucaristica si portano all’altare i doni, che diventeranno il Corpo e il Sangue di Cristo. Prima di tutto si prepara l’altare, o mensa del Signore, che è il centro di tutta la Liturgia eucaristica, ponendovi sopra il corporale , il purificatoio, il Messale e il calice, se non viene preparato alla credenza. Poi si portano le offerte […]» (OGMR 79).

Quando la mensa è imbandita sin dall’inizio della Messa, quando i doni vengono portati all’altare solo occasionalmente, tutta la forza eloquente del rito del pasto viene ad essere mortificata. Avviene così che, molto spesso, si tende a spostare l’attenzione, non tanto sulla preparazione della mensa e la processione, quanto sulle cose portate, caricando i doni di un eccesso di significato che non aiutano i fedeli a comprendere il senso della Liturgia eucaristica. Infatti, se la processione diventa solo un rito occasionale, da riservare solo nelle occasioni particolari, i doni del pane e del vino appaiono troppo poveri e ordinari. La tentazione sarà, così, di aggiungere altri oggetti rappresentativi, puramente decorativi, senza nessun significato eucaristico.

La preparazione dell’altare, nella sua ordinarietà, non ha bisogno di grandi spiegazioni o inutili didascalie esplicative, è quel rito familiare che invita alla tavola, che predispone il cuore alla convivialità, accende il desiderio e conduce gradualmente i fedeli dentro il cuore del rito cristiano.

 

TESTIMONIARE

Incontri lungo il cammino...

Evelin ha un vestito rosa con il pizzo, su cui sono ricamati dei fiori. La sua mamma si chiama Margaret. Sono entrambe molto belle. Hanno lo stesso naso un po’ all’insù. Evelin ha 5 anni, è disabile ma così abile nei suoi sorrisi da farmi sprofondare nel suo mondo. L’ho incontrata stamattina, mercoledì 2 aprile 2008, al centro nutrizionale di Pamosi. Ndola. C’erano altri 40 bambini, venuti con le loro mamme o nonne per il controllo del peso e per verificare il procedere del programma contro la malnutrizione.

L’ho vista subito, ha una faccia furbetta. Lei non parla, ma sa che il suo corpo, le sue espressioni comunicano per lei. Aiuto a pesare i bambini, arriva il suo turno. La bilancia consiste in una bilancina a cui all’estremità è attaccato un marsupio. Evelin si muove tutta e penso che nemmeno iovorrei infilarmi in quell’arnese così scomodo. Pesa 10 kg. ”E’ aumentata!”. Sorridiamo tutte e tre insieme, Margaret la sfila dal marsupio e si allontana.

Nel frattempo una volontaria del centro prepara il porridge per i bambini. C’è una sedia libera accanto a Margaret. “Posso?” non vorrei disturbarla mentre mangia, ma sembra che la mia presenza sia utile nel far stare ferma Evelin. “Siediti”. Osservo Margaret. Soffia su ogni cucchiaiata, ne mette una puntina in bocca e quando è sicura che il porridge sia tiepido, con delicatezza lo pone davanti alla bocca di Evelin, che si apre senza esitazioni. Caldo o freddo che sia, il porridge le piace davvero molto.

Bacio Evelin e lei ricambia con uno così forte da sentire lo scrocchio. Do la mano a Margaret, lei si avvicina carezzandomi il viso.

Qualche tempo dopo, parlando di quel centro con una volontaria, mi racconta che la mamma di Evelin è un’ex prostituta e che dalla relazione con un cliente era nata la piccola. Ora lavorava lì, nello stesso centro, due giorni a settimana, con altre donne uscite dalla strada creando dolci oggetti per bambini che poi cercano di vendere tramite il progetto. Ciò non cambiò nulla per me, pensai solo a quelle due creature meravigliose che in poche ore mi avevano stregata e mi avevano insegnato una dolce attesa.

 

Una giovane “casco bianco” in Zambia

... verso una vita nuova

Inizia la Quaresima, un cammino da intraprendere un passo alla volta, senza scoraggiarsi… come fa Margaret che gioisce di ogni progresso di Evelin, senza badare a quel peso così incredibile: 10 kg a 5 anni! Il primo incontro che proponiamo è quello tra una giovane che impara “una dolce attesa” e una donna e la sua bambina, con il suo carico di sofferenza passata, con il futuro tutto da costruire.

Imparare dai poveri: questo è l’atteggiamento giusto. E per farlo occorre trovare le occasioni per conoscerli, per stare insieme a loro, umilmente, forse rendendoci disponibili per qualche servizio.

 

PREGHIERA INTORNO ALLA MENSA

Pongo il mio arco sulle nubi, perché sia il segno dell’alleanza tra me e la terra. Quando

ammasserò le nubi sulla terra e apparirà l’arco sulle nubi, ricorderò la mia alleanza che è tra me e voi e ogni essere che vive in ogni carne, e non ci saranno più le acque per il diluvio. (Gen 9,13-15).

Signore, tu hai fatto un patto con gli uomini di ogni tempo e di ogni nazione: hai promesso di volerci bene sempre, di non pentirti mai di averci creati, nemmeno di fronte alla nostra cattiveria e alla nostra ingratitudine. Grazie per questa promessa che ci apre alla fiducia e alimenta la nostra speranza. Aiutaci a testimoniare la gioia di sentirci amati e a far conoscere a tutti questa buona notizia.

 

Conferenza Episcopale Italiana

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