Di qui innanzi il suo pensiero dominante è di dare alle proprie opere una salda stabilità. Per questo assicura il governo di tutta la Congregazione, creandosi d'accordo con la Santa Sede in Don Rua un Vicario generale che gli abbia poi a succedere dopo la sua morte
del 07 dicembre 2006
Anche questo biennio è ricco di avvenimenti per la vita di S. Giovanni Bosco. Due viaggi in Francia, un'andata a Roma, il conseguimento dei privilegi, la partecipazione all'Esposizione nazionale di Torino, il riordinamento dell'Oratorio la nomina del Vicario, la consacrazione del primo Vescovo salesiano, lo stabilirsi dei Salesiani a Parigi e a Barcellona, il loro ingresso nel Brasile e poi molte e svariate cose che chiameremo di ordinaria amministrazione, ma che, venendo da Don Bosco o avvenendo per suo impulso o secondo le sue direttive, rivestono sempre un carattere di peculiare importanza. Contemporaneamente si accentua purtroppo il declinare della sua salute, la quale, sebbene non sia stata mai scevra d'incomodi, ora tuttavia va deperendo a segno che anche esteriormente la persona gli si curva sotto il peso delle infermità.
Di qui innanzi il suo pensiero dominante è di dare alle proprie opere una salda stabilità. Per questo assicura il governo di tutta la Congregazione, creandosi d'accordo con la Santa Sede in Don Rua un Vicario generale che gli abbia poi a succedere dopo la sua morte; per questo organizza definitivamente le Missioni dell'America meridionale, ottenendo da Roma che siano affidate a un Vicario e a un Prefetto apostolico nelle persone di Don Cagliero e di Don Fagnano; per questo si preoccupa di riassettare la Casa Madre, affinchè si mantenga costantemente modello di tutte le altre; per questo infine rende normale il noviziato quanto all'andamento interno e quanto alla procedura da seguire nelle ammissioni. Anche alla Pia Unione dei Cooperatori apporta non solo aumento di numero, ma anche maggior forza di coesione. Egli si adopera insomma a far sì che i Salesiani prendano in seno alla Chiesa e in mezzo alla civile società la consistenza d'un corpo omogeneo, vigoroso e capace di ulteriori sviluppi, anche quando egli non sarà più.
Intanto la sua fama di santità va riempiendo il mondo. Grazie impetrate mediante le sue preghiere, l'avverarsi di sue predizioni, guarigioni prodigiose avvenute in sua presenza o con invocare da lungi la sua benedizione confermano ognor più la generale opinione che egli sia un grande taumaturgo e un inviato del Cielo e si accorre quindi e si scrive a lui dai più remoti Paesi dell'Europa e dell'America per implorare il soccorso de' suoi lumi o il benefizio delle sue orazioni. Nè sono genti del popolo soltanto quelle che si sentono attratte così verso la sua persona; ma si veggono dignitari altissimi del clero e del laicato, italiani e stranieri, visitarlo nell'Oratorio o durante il corso delle sue peregrinazioni per conoscerlo, per chiedergli consiglio, per esserne benedetti. E tutto questo nonostante che giornali settari gli spargano contro velenose insinuazioni o nere calunnie. L’eroismo delle sue virtù e la realtà delle sue grandi opere, non potendo restare sotto il moggio, s’impongono talmente che qualsiasi mena avversaria finisce con cadere a vuoto come telum imbelle sine ictu.
Il sapientissimo Leone XIII, a mano a mano che veniva conoscendo l’uomo di Dio, dava sempre maggiori prove della sua stima verso di lui. Un giorno, circondato da una corona di prelati, mise il discorso su Don Bosco e li interrogò che cosa ne pensassero. I pareri erano divisi. Finalmente il Papa fece una domanda: - Può un uomo con le sole sue forze naturali fare quello che fa Don Bosco? -Ed enumerate le sue opere, proseguì: - No, non può. Dunque ci vuole qualche cosa di soprannaturale che lo animi, nè questo potrebbe essere altro che Dio o lo spirito delle tenebre. Ma quale sia il suo vero movente, è facile argomentarlo dalla natura degli effetti. Ex fructibus eorum cognoscetis eos.
Continuano nel 1885 i sogni missionari. Il panorama delle future Missioni salesiane si delinea e si dilata a dismisura dinanzi allo sguardo antiveggente di Don Bosco. Nel 1883 nel fulmineo viaggio da Cartagena a Puntarenas ha scorto le località dell’America meridionale, dove saranno chiamati i suoi figli. Indi fra il gennaio e il febbraio del 1885, intravedendo confusamente i nuovi mezzi delle comunicazioni aeree, contempla i trionfi che si riporteranno specialmente a partire dal Brasile fino alla Terra del Fuoco, e in luglio percorre a volo il campo di azione che la provvidenza riserba ai Salesiani nell’Asia, nell’Africa e nell’Australia. Sono espansioni di cui allora, umanamente parlando, neppure sulle ali della più fervida fantasia egli avrebbe mai potuto raggiungere il sospetto. Altre manifestazioni dello stesso genere avrà ancora Don Bosco in seguito, cosicchè al termine della vita egli avrà divinato e prospettato a’ suoi figli un programma missionario, alla cui attuazione si porrà mano progressivamente da parecchie generazioni.
La menzione di questi sogni particolari invita a dire una parola sopra i sogni di Don Bosco in generale. Quelli che egli chiamava sogni accompagnarono il Santo dai primi albori della ragione fino al tramonto della vita. Bisogna però distinguere bene sogni da sogni, perchè la comune denominazione ha fatto un mescolamento di fenomeni assai disparati. Volendoli debitamente classificare, diremo che sotto il nome generico di sogni di Don Bosco vanno confusi sogni che non furon sogni, sogni nient’altro che sogni e sogni rivelatori. Certi sogni si debbono assolutamente chiamare visioni, perchè accaddero fuori dello stato di sonno; tali furono, per esempio, la rivelazione profetica presso il capezzale del giovinetto Cagliero morente e l'altra del 1870 sull'avvenire dell'Italia e della Francia, di Roma e di Parigi. Sono dello stesso genere le apparizioni di Luigi Colle, che egli soleva denominare distrazioni. Talora al contrario Don Bosco narrò nell'intimità sogni veri e proprii, alcuni dei quali s'incontreranno pure in questo volume e nel seguente. A rigor di termini, non sarebbe il caso di tenerne conto nella sua biografia; nondimeno, poichè egli li raccontò e fra noi piace sapere tutto ciò che è possibile conoscere intorno alla sua persona, li abbiamo accolti in queste Memorie, senza però attribuirvi maggior importanza che non vi desse egli medesimo; almeno possono sempre avere qualche interesse dal lato psicologico. Ma la categoria più numerosa e caratteristica dei sogni di Don Bosco è costituita da quelli che contenevano elementi rivelatori, inafferrabili con le sole forze della sua mente. In essi egli rivedeva il passato, vedeva il presente, antivedeva il futuro. Per lo più le rivelazioni gli si presentavano sotto specie di simboli; ma non di rado gli si affacciava anche la nuda realtà, come quando gli si scoprivano i segreti delle coscienze o gli si spiegavano dinanzi le particolarità di luoghi a lui sconosciuti o comunque fuori di mano.E qui nasce la questione sull’origine di siffatti sogni.
E teologicamente certo che gli Angeli buoni e gli angeli cattivi, permettendolo Iddio, esercitano un potere sulla materia. Niente, dunque impedisce loro di agire sul nostro cervello, per “eccitare una data cellula, la cui attività si collega al formarsi di un dato sentimento, di una data immagine o di un dato pensiero ”, producendo così in noi l’impressione che ci si voglia tentare o illuminare. Inoltre può sempre Iddio “creare senz’altro una realtà che ci venga incontro durante il sonno sotto forma di sogno o durante la veglia sotto forma di visione”. Tale appunto sembra essere stata la maniera prescelta dalla provvidenza per guidare Don Bosco nella sua via.
É del pari biblicamente vero che Dio talora per mezzo di sogni parlò a’ suoi servi o procurò ad essi la rappresentazione di vari oggetti. Ad Aronne e a Maria, sua sorella, Dio disse che sarebbe comparso agli altri profeti in visione e avrebbe parlato loro nei sogni. Ad Abimelech, re di Gerara, Dio rivelò in sogno la sorte che lo aspettava per aver rapito Sara; in sogno Labano fu avvertito di non proferir parola torta contro Giacobbe. Nel libro di Gioele, alludendosi alla copia di grazia che sarà diffusa sopra i Cristiani, si annunzia che vi saranno profezie, sogni e visioni . In sogno parlò Dio a Salomone, colmandolo di celeste sapienza. Più volte poi l'Angelo fece conoscere a S. Giuseppe in sogno i voleri di Dio, come in sogno furono messi sull'avviso i Magi, perchè non ripassassero da Erode. Tre motivi adduce il Cardinal Bona per mostrare come la quiete del riposo notturno si presti meglio a ricevere certe impressioni del cielo con quella forma di visioni che si dicono immaginarie. Nel sonno l’anima è meno distratta da molteplicità di pensieri; inoltre, essendo più passiva, è disposta più ad accettare e meno a discutere; infine in quel silenzio dei sensi le immagini si stampano meglio nella fantasia.
È poi storicamente provato che certe anime elette furono favorite così di visioni immaginarie durante il sonno. Dalla celebre Passio di Santa Perpetua del 203 alla storia di non pochi fondatori e fondatrici d’Ordini religiosi e alle vite d’illustri convertiti quante volle non vediamo entrare il sogno come elemento soprannaturale per premunire, confortare, ispirare, scuotere! Un Santo che molto s’assomigliò al Nostro fin da giovane nel ricevere dormendo superne illustrazioni sul carattere della missione a lui destinata dal Cielo, fu Anscario, il grande Apostolo del Nord nel secolo nono.
Bisogna ritenere per altro che le rivelazioni fatte veramente da Dio nei sogni sogliono essere piuttosto rare e che d’ordinario i sogni di tal natura riescono di non, facile interpretazione, involti come si presentano in simboli e figure poco intelligibili.
Ecco perchè vi occorrono interpreti, che posseggano il dono della discrezione degli spiriti, se si voglia penetrarne con sicurezza il recondito significato. Nessuno interpretò i due sogni di Giuseppe ebreo, e la loro intelligenza si acquistò solo quando i fatti ne diedero molti anni dopo la spiegazione. Non così fu dei sogni delle sette e sette vacche, delle sette e sette spighe fatti dal Faraone d'Egitto, perchè Giuseppe ne chiarì il senso; e lo stesso accadde mercè l'interpretazione di Daniele per i sogni della statua gigantesca e del grandissimo albero, mandati a Nabucodonosor. Sim­bolici solevano essere i sogni di Don Bosco; ma la difficoltà del­l’intenderli gli veniva appianata durante i sogni medesimi o per bocca di personaggi che gli facevano da guide o per mezzo di didascalie tanto scritte che orali.
La discrezione degli spiriti non è meno necessaria per ben discernere quando si tratti di sogni divini o di illusioni diaboliche o di scherzi della fantasia. Albergava senza dubbio questo carisma nell’anima del Beato Cafasso. Ora egli, consultato ripetute volte da Don Bosco in confessione, gli rispondeva sempre di stare tranquillo e di raccontare quei sogni, perchè facevano del bene. E del bene realmente ne producevano, giacchè nei giovani uditori ne veniva alimento alla pietà e orrore al peccato. Osservando inoltre come le notizie comunicategli per tal via rispondessero al vero e come si avverassero le previsioni di morti e di altri fatti contingenti e umanamente imprevedibili, noi abbiamo le più tangibili prove che non si navigava nel solito gran mare dei sogni. Anche la maniera tenuta da Don Bosco nell’esporli deponeva in favore della loro natura soprannaturale; poichè il Santo condiva di sincera umiltà le sue narrazioni, cercando con destrezza di allontanare dalle menti altrui ogni idea che egli possedesse meriti o godesse di privilegi eccezionali. Onde a buon diritto il Servo di Dio Don Rua nei processi li qualificava senz’altro per visioni; anzi dichiarava di sentirsi portato a credere che Don Bosco riguardasse come un dovere da parte sua il render note per vantaggio spirituale delle, anime tali cose mostrategli in sogno e che a questo lo movesse un impulso soprannaturale.
A meglio comprendere la natura specifica di questi sogni giova considerare come nell’andamento di essi ci si presenti uno sviluppo logicamente ordinato ad uno scopo; il che non si verifica nei sogni consueti. Qui infatti è un inseguirsi più o men confuso di ricordi come di note musicali incalzantisi all’impazzata sulla tastiera della nostra intelligenza addormentata. Quanta assurdità in quella ridda d’immagini! Per questo fu detto che affannarsi a scoprire in tale accozzo un nesso e un senso è come voler scoprire un motivo musicale in una scorribanda notturna di topi lungo un pianoforte. Invece nei sogni di Don Bosco si ravvisa costantemente un fondo serio che costituisce la base di tutta l’azione onirica; siffatta azione poi, ora semplice ora molteplice, procede a gradi senza dar luogo alle incongruenze o alle banalità che in generale non si scompagnano mai dalle fantasmagorie risvegliantisi e rigirantisi nell'immaginazione di chi dorme. Che se a volle compaiono fenomeni che abbiano dello strano, Don Bosco li avverte come tali, ne chiede il perchè e ne riceve spiegazioni sotto ogni riguardo soddisfacenti. Eccoci dunque fuori del mondo dei sogni propriamente detti.
Vi sono certi sogni che, quand’egli li raccontò, parvero davvero sogni e nulla più; invece chi ha potuto aspettare, si è dovuto convincere che nascondevano l’annunzio di eventi futuri. Valga per tutti il seguente. Una volta, non sappiamo in che anno, Don Bosco sogna di trovarsi in S. Pietro, dentro la grande nicchia che si apre sotto il cornicione a destra della nave centrale, perpendicolarmente alla bronzea statua del principe degli Apostoli e al medaglione in mosaico di Pio IX. Egli non sa come sia capitato lassù e non si dà pace. Guarda attorno se vi sia modo di scendere; ma non vede nulla. Chiama, grida; ma nessuno risponde. Finalmente, vinto dall'angoscia, si sveglia. Orbene se taluno, udendo questo sogno, avesse creduto di scorgervi alcun che di profetico, si sarebbe detto che colui sognava a occhi aperti. Al contrario; quando queste pagine cadranno sotto gli occhi dei lettori, sorriderà proprio dall’alto di quella nicchia il magnifico Don Bosco del Canonica.
Piacerà infine conoscere quale fosse il pensiero di Don Bosco intorno a’ suoi sogni. Per coglierlo giusto non bisogna badare a quello che diceva in pubblico, ma alla sua maniera di agire e di esprimersi in privato. Suo pubblico erano per questo unicamente i giovani e i Confratelli dell’Oratorio e talvolta i soli Superiori del Capitolo. In pubblico non usava altro termine che di sogni, nè si lasciava sfuggire espressione, dalla quale si potesse argomentare che li volesse far prendere per rivelazioni soprannaturali; anzi nel raccontarli usava frasi e motti arguti, che nella sua intenzione, dovevano servire a rimuovere dalla mente degli ascoltatori qualsiasi idea di tal genere. Personalmente invece egli faceva gran conto delle cose vedute. Così, per esempio, con i conti Colle, parlando o scrivendo delle apparizioni del defunto loro figlio, non adoperava mai la parola sogno, ma esponeva tutto senza qualificare(I). Molto degna di nota è poi un’osservazione di Don Lemoyne. Discorrendo con Don Bosco il 5 gennaio 1886 del sogno sulla guarigione del chierico Olive, del qual sogno ci occuperemo nel volume diciottesimo, il segretario del Capitolo chiamò visioni i sogni di lui e il Santo gli diede ragione. Quindi nel suo notiziario Don Lemoyne avvertiva: “ Fino all'anno 1880 circa, Don Bosco, raccontando i sogni, non aveva mai detta questa parola [visioni], ma con Don Lemoyne negli ultimi anni, benchè non la pronunciasse mai pel primo, pure assentiva alla frase usata da colui che conosceva molto bene il caro Padre, e solo in questi colloqui di confidenza ”.
   Oggi ancora, dopo non breve lasso di tempo, dacchè la viva voce e la presenza del Santo cresceva efficacia alle sue esposizioni, i sogni di Don Bosco si rileggono da noi con vera utilità e ripe­tuti ai giovani destano in loro vivo interesse e producono buoni frutti. Fra estranei può darsi che tosto o tardi non vi si annetta più una grande importanza, prevalendo il naturale pregiudizio che induce a mettere tutti i sogni in un sol fascio e a considerarli al più al più come bei vaneggiamenti d’una bella immaginazione; ma negli ambienti nostri, dove si fa l'orecchio a udirli spesso menzionare e quindi gli animi si abituano a ritenerli come arcane rivelazioni, continueranno ad aver corso, formando un rivolo perenne di quella tradizione salesiana che risale alle origini.
Ed ecco appunto una delle più forti ragioni che consigliano di radunare e ordinare in queste Memorie biografiche ogni atto, ogni detto, ogni scritto del nostro grande Fondatore. Che fuori della nostra famiglia certe cose appaiano minuzie non meritevoli dell'onore di figurare accanto a fatti degnissimi di poema e di storia, non ci deve sorprendere: il gran pubblico non tiene calcolo de minimis; ma per noi sono tanti elementi preziosi che contribuiscono a fissare saldamente la tradizione. E per conseguire tale intento è indispensabile che le generazioni lontane ritrovino poi nei nostri volumi la figura vivente del padre con i suoi lineamenti distintivi, con le sue abitudini domestiche e con le sue personali maniere di pensare, di parlare, di operare, sicchè attraverso a queste pagine egli continui ad esercitare quanto sarà possibile, sopra i suoi la primiera efficacia formativa, nè abbiano mai a fare capolino deviatrici incomprensioni. Quest’ultimo pericolo sarà più facilmente scansato, se esisterà un punto sicuro di riferimento, rimandando al quale sia lecito ripetere: Inspice et fac secundum exempla.
 
Torino, 1935.
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