Il fatto è che noi non si chiede aiuto al vento. Non abbiamo bisogno di qualcosa che cambi le nostre azioni, ma qualcosa che cambi la nostra persona. E questo è l'affidarsi completamente a quell'Infinito. E' dire: “fai tu, che da solo non ci riesco”. E in quel “fai tu” si scopre la forza di fare noi, ma cento volte di più che se ci provassimo con le nostre sole forze.
«Bevi» dice «perché non sai da dove vieni nè perché. Bevi perché non sai quando ripartirai nè dove sei diretto. Bevi, perché le stelle sono crudeli e il mondo è inutile come una trottola. Bevi, perché non vi è nulla su cui valga la pena contare, nulla per cui valga la pena lottare. Bevi, perché tutte le cose scorrono perennemente uguali in una pace infausta.» Ed ecco che con una mano ci porge il calice. E presso il sommo altare del cristianesimo vi è un'altra figura, nella cui mano vi è un altro calice di vino. «Bevi» dice «perché il mondo intero è rosso come questo vino, cremisi come l'amore e l'ira di Dio. Bevi, perché le trombe inneggiano alla battaglia e questo è il bicchiere della staffa. Bevi, perché quello che ti offro è il mio sangue del Nuovo Testamento. Bevi, perché so da dove vieni e perché. Bevi, perché so quando ripartirai e dove sei diretto.» (G.K.C.)
L'uomo che crede e accetta il calice dal primo che glielo offre è già ubriaco.
Infatti non manca chi è pronto a dire che il senso della vita è la vita stessa, che la strada è il fine, che lui è forte perché sa accettarlo e non pretende rassicurazioni di una vita futura.È quella mentalità, oggi dominante, per la quale l'unica risorsa che l'uomo ha per affrontare la sua vita è se stesso, la sua intelligenza, i suoi progetti, le sue capacità tecnologico-scientifiche. Io mi faccio da me. Io sono come Dio.
E alla fine quale uomo conosciamo che non abbia visto fallire, una volta o l'altra, la propria intelligenza, i propri progetti o capacità tecnologiche-scientifiche? Tanto più si confida in sè, tanto più si è forti di carattere, tanto più questo fallimento schianta.Troppo spesso giochiamo a fare Dio. Ci crediamo i re del creato, immortali, eterni, incompresi nella nostra grandezza da quanti ci circondano. E agiamo di conseguenza.La Chiesa chiama questa nostra assurda convinzione, mille volte smentita dall'evidenza dei fatti, "peccato originale". Volere essere come Dio, pensare di essere come Dio.Questa folle idea di grandezza ci fa vivere male, e fa vivere male coloro che ci circondano, come tanti re su un'unica collina. È questo IL peccato: mancare di realismo.
Il fatto è che il pensare che riusciamo noi a fare tutto, con le nostre sole forze, che riusciamo noi con la nostra morale a cambiare il mondo, o anche solo noi stessi, si scontra con la realtà.Perché è evidente, non ce la facciamo. Se si osserva, l'uomo si scopre limitato, noi ci scopriamo limitati. Facciamo fatica ad alzarci la mattina, figurarsi cambiare il mondo. L'autorealizzazione è uno sforzo titanico, perché ogni uomo deve fare i conti con il proprio limite. Per quanto mi alzi sulla punta dei piedi, arrivo solo fino ad una certa altezza.Quella stessa mentalità dice che chi chiede aiuto alle divinità è un debole. Non ho certezza su quanto un uomo possa essere forte o debole nel chiedere intervento al divino, ma di questo passo è certamente vero che la strada è breve per considerare ogni uomo ansimante un reietto della società.
Il fatto è che noi non si chiede aiuto al vento. Non abbiamo bisogno di qualcosa che cambi le nostre azioni, ma qualcosa che cambi la nostra persona. E questo è l'affidarsi completamente a quell'Infinito. È dire: "fai tu, che da solo non ci riesco". E in quel "fai tu" si scopre la forza di fare noi, ma cento volte di più che se ci provassimo con le nostre sole forze. "Con le nostre mani, ma con la Tua forza" era il motto dei benedettini che cambiarono il mondo nel medioevo, riportando la civiltà in terre rese inospitali e selvagge dalla natura e dall'uomo. E in questo riconoscimento uno si scopre pienamente uomo, e capace di cose che non avrebbe mai sognato.
Accorgersene, e capire che esiste solo una strada per smettere di infliggersi e infliggere dolore: essere quello che si è, che si deve essere. E ce lo dice quella figura con il calice di vino in mano, presso il sommo altare del cristianesimo.
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